15/08/2021 – Dalla Casa Bianca al Pentagono, dalla NATO alle cancellerie europee è gara a mascherare la sconfitta del ritiro delle truppe alleate dall’Afghanistan, annunciato dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.
Del resto l’accordo firmato in Qatar dall’amministrazione Trump e dai talebani nel febbraio 2020, con l’esclusione del governo Ghani, aveva l’obiettivo di offrire a Washington l’alibi per il ritiro, non certo di conseguire la stabilità dell’Afghanistan con improbabili intese tra governo e insorti jihadisti.
Gravissimo quanto affermato dal Segretario di Stato USA, Antony John Blinken, in seguito all’insediamento del regime talebano a Kabul, ‘We went to Afghanistan 20 years ago, with one mission in mind, and that was to deal with the people who attacked us on 9/11. And that mission has been successful’.
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Mentre il piano di risposta umanitaria delle Nazioni Unite per l’Afghanistan rimane poco chiaro, milioni di civili rischiano di perdere spazi sicuri e supporto. La fornitura di assistenza umanitaria rimane limitata e difficile, sulla maggiorparte del territorio afghano.
Mesi di violenza hanno provocato frequenti interruzioni nei servizi sanitari. Almeno 14,5 milioni di persone (circa il 33% della popolazione totale) necessitava di assistenza sanitaria prima della recente escalation. Secondo il World Food Programme almeno 14 milioni di civili sono oggi obbligati ad affrontare una crisi alimentare già in atto (fase 3 IPC – Integrated Food Security Phase Classification). La metà della popolazione afghana, ovvero 18 milioni di persone, dipende da aiuti umanitari e il 97% di questa potrebbe presto sprofondare al di sotto della soglia di povertà.
Al Jazeera ‘Afghanistan – Visualising the impact of 20 years of war’
#analisi
di Federica Iezzi
La Turchia, unico Paese a maggioranza musulmana nella NATO, è stato a lungo diplomaticamente e politicamente influente in Afghanistan. Eppure ha profondi legami storici, culturali, religiosi ed etnici sia con l’Afghanistan, sia con il vicino Pakistan, il principale sostenitore del regime talebano.
Durante gli ultimi vent’anni, la Turchia ha mantenuto stretti legami con varie fazioni etniche e politiche in competizione nel Paese, con la capacità di influenzare voti, milizie e coalizioni di governo – compresi i talebani. I legami turchi sono particolarmente forti con le comunità di etnia uzbeka e turkmena dell’Afghanistan settentrionale.
La Turchia conta attualmente oltre 500 soldati in Afghanistan, impegnati prima nella missione ISAF (Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza) poi nella Resolute Support Mission, truppe che non hanno mai partecipato attivamente ai combattimenti. Le loro attività si sono limitate a fornire sicurezza nella sezione militare dell’aeroporto di Kabul e ad addestrare le forze di sicurezza afghane.
A causa del suo ruolo ‘non attivo’ in Afghanistan, oggi la Turchia ha migliori relazioni con i talebani rispetto a qualsiasi altro Paese della NATO.
Sebbene i talebani abbiano già intimato alla Turchia di evacuare le sue truppe, Ankara sta facendo pressioni sul gruppo di combattenti affinché abbandoni le sue obiezioni anche attraverso i suoi preziosi alleati, Pakistan e Qatar. Indubbiamente, Turchia e Pakistan vantano forti legami strategici e hanno una visione politica sempre più allineata sulla scena globale. Entra nel quadro anche l’Ungheria di Orbán, che ha gestito la sicurezza nell’aeroporto di Kabul nel periodo 2010-2013. Gli ungheresi dunque potrebbero essere riconosciuti come partner esperti e affidabili.
L’attuale vuoto strategico in Afghanistan e il rapido peggioramento della sicurezza nel Paese, ha spinto la Turchia a chiedere sempre maggiori responsabilità nella gestione e nella protezione del cruciale aeroporto Hamid Karzai di Kabul, la principale porta d’accesso in Afghanistan.
E’ evidente che l’aeroporto di Kabul continuerà ad avere un’importanza strategica per i Paesi della NATO, per il mantenimento di una presenza diplomatica nei prossimi mesi e anni.
Il presidente turco non ha mai nascosto il suo desiderio di aumentare il peso politico della Turchia nel mondo musulmano. Sotto il suo governo, la Turchia ha notevolmente aumentato la sua influenza nell’Asia meridionale musulmana. Ankara è impegnata militarmente e diplomaticamente in molti teatri contemporanei – Libia, Siria e Iraq direttamente, Ucraina e Caucaso nella cooperazione in materia di sicurezza, Africa come progetti di sviluppo. E nell’era post-USA, Ankara ha molto da guadagnare rimanendo un attore chiave in Afghanistan.
Negli ultimi anni, il governo Erdogan ha compiuto diverse mosse di politica estera volte a mettere da parte l’Arabia Saudita e collocare la Turchia come il nuovo leader del mondo musulmano sunnita. Ha partecipato attivamente ai conflitti regionali, come la guerra in Siria, contro l’Arabia Saudita e i suoi alleati, ed è stata esplicita nelle sue critiche a Riyadh su varie questioni, dall’embargo contro il Qatar all’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi.
Mantenere un ruolo attivo in Afghanistan, dopo il ritiro degli Stati Uniti, aiuterebbe la Turchia ad aumentare la sua importanza all’interno della NATO e a sanare le relazioni tese con gli stessi Stati Uniti.
A Bruxelles, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha sottolineato l’importanza della Turchia e il ruolo chiave che potrebbe svolgere in futuro in Afghanistan. Nessun piano di spiegamento è stato ancora deciso ufficialmente, anche se i negoziati tra Ankara e Washington potrebbero attualmente essere in corso dietro le quinte. Gli storici avversari NATO, Russia e Iran, così come l’Arabia Saudita, combattono contro la presenza turca in Afghanistan.
26/08/2021 – Almeno 175 civili uccisi e centinaia di feriti sono il risultato dell’attacco suicida nell’aeroporto Hamid Karzai di Kabul, rivendicato dall’Islamic State in Khorasan Province (ISKP). L’ISKP è una diretta appendice dello Stato Islamico. Khorasan si riferisce alla regione storica, sotto un antico califfato, che includeva aree in Afghanistan, Iran, Pakistan e Turkmenistan.
La banale risposta del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ad un copione già scritto, non tarda ad arrivare ‘We will hunt you down and make you pay’.
Come atto politico dovuto, gli Stati Uniti, usando un drone reaper, hanno compiuto un gesto di rappresaglia nell’area di Nangharar, provincia afghana nord-orientale, storica base ISKP.
06/09/2021 – Mentre i talebani rivendicano la loro vittoria sulle forze di opposizione nell’ultima provincia del Panjshir, l’anti-Taliban National Resistance Front (NRF), afferma di essere ancora presente in posizioni strategiche nella valle del Panjshir, per continuare la lotta. Proprio il Panjshir, un’aspra valle tra le montagne a nord di Kabul, ha resistito al controllo sia dell’esercito sovietico durante la lunga guerra negli anni ’80 sia del governo talebano dal 1996 al 2001.
07/09/2021 – Annunciato governo ad interim in Afghanistan. Il premier si conferma il mullah Mohammad Hassan, già capo del Consiglio direttivo dei talebani, la Rahbari Shura – inoltre figura nella lista dell’ONU di persone designate come ‘terroristi o associati a terroristi’. Il suo vice sarà il mullah Abdul Ghani Baradar, co-fondatore dei talebani, negoziatore con gli USA a Doha. Mawlawi Mohammad Yaqub, figlio del mullah Omar, guiderà il Ministero della Difesa e Sirajuddin Haqqani, figlio del celebre comandante della jihad anti-sovietica Jalaluddin Haqqani, quello dell’Interno.
A nessuna donna, di alcun gruppo etnico o movimento politico, è stato assegnato un incarico. Così come alla minoranza hazara, il terzo gruppo etnico più numeroso dell’Afghanistan. Nella nuova amministrazione i pashtun rappresentano oltre il 90% del quadro governativo.
17/09/2021 – Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso all’unanimità di rinnovare il mandato UNAMA – United Nations Assistance Mission in Afghanistan, per ulteriori sei mesi. Stabilita nel 2002, la missione continuerà la sua funzione di state building.
Quaranta milioni di afghani vivono nel timore di un disastroso crollo del sistema sanitario. Farmaci, forniture mediche e carburante rasentano già la carenza cronica. Mancano strutture ospedaliere e programmi di prevenzione. Difficile è l’accesso all’assistenza sanitaria di base. I professionisti sono stati costretti a lasciare il Paese e sono assenti programmi di formazione medica.
Da quando i Talebani hanno ripreso il controllo del Paese, Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, hanno bruscamente frenato il flusso di assistenza in Afghanistan. I finanziamenti internazionali permettono di finanziare circa l’80% del bilancio statale e nel 2020 i flussi di aiuti esteri hanno rappresentato circa il 43% dell’economia del Paese.
Cresce il numero di sfollati interni secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre. Maggiormente colpite le province di Kandahar, Helmand e Uruzgan, con un totale di 35.000 sfollati interni. E quelle nordorientali di Takhar, Kunduz, Baghlan e Badakhshan con almeno 49.000 sfollati interni.
In Afghanistan scuole medie e superiori restano chiuse alle ragazze. Per ora alle studentesse afghane sarà permesso l’accesso all’educazione primaria. E’ l’unico Paese al mondo a vietare, di fatto, l’istruzione femminile. Mahbouba Saraj, attivista afghana e presidente della NGO Afghanistan’s women network afferma che i talebani non avranno altra scelta, se non quella di rispettare i diritti delle donne afghane se vogliono sfuggire al collasso economico, all’isolamento diplomatico e restare al potere. Tuttavia, nonostante il discorso apparentemente pacato e assecondante dei rappresentanti del movimento islamista al potere, Seraj non crede alle promesse dei talebani quando assicurano che le donne afghane potranno, molto presto, tornare a lavorare e studiare.