ALEPPO, l’ostinazione di chi resta

Il Manifesto – 13 maggio 2015

REPORTAGE. Nella seconda città della Siria 400 mila persone, quel che rimane di suoi 2 milioni di abitanti, resistono a una guerra che non risparmia neanche gli ospedali. Tra cumuli di macerie, senza luce né acqua, monta l’odio per tutti gli schieramenti. “Non vogliamo né le forze di Assad né i ribelli”

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di Federica Iezzi

Aleppo (Siria) – Yaman ci dice che «il tonfo delle pale del rotore di coda degli eli­cot­teri e l’esplosione di ordi­gni libe­rati dalle truppe del governo siriano ormai sono rumori fami­liari; fami­liare è la corsa dispe­rata delle mamme con in brac­cio i figli verso i piani più bassi degli edi­fici già deva­stati; e fami­liare è anche l’inevitabile car­ne­fi­cina umana negli ospe­dali». Non sono sicuri nem­meno quelli. Bombe e mor­tai can­cel­lano senza alcun pre­av­viso l’esistenza di uomini che lavo­rano, vivono e muo­iono tra quelle vec­chie mura mac­chiate di iodio.

Nella metà orien­tale di Aleppo si muore. La città è con­tesa tra le forze gover­na­tive, che hanno il con­trollo della parte occi­den­tale e che con­ti­nuano ad avan­zare verso nord, e le forze di oppo­si­zione, con capo­li­sta il Fronte al-Nusra, il brac­cio siriano di al-Qaeda, che ha il con­trollo della parte orien­tale della città. Il quar­tiere di Sheikh Maq­soud è sotto il con­trollo delle auto­rità curde. Almeno 19 gruppi armati invece gareg­giano per i quar­tieri al con­fine tra le tre aree. Cumuli di mace­rie alti decine di metri coprono vie e strade dell’antico trac­ciato elle­ni­stico. I segni di una guerra che ha pro­messo la spe­ranza, ma ha invece con­se­gnato alla Siria solo anni di disumanità.

Solo pol­vere gri­gia e odore di fuoco

«Ieri pome­rig­gio ho respi­rato den­tro una nuvola di fumo e pol­vere, dopo aver sen­tito quel rumore assor­dante che ti scop­pia den­tro il torace. Era un’esplosione vicino a una ban­ca­rella di frutta. Né il ven­di­tore né il suo cliente si sono tirati indie­tro. Io ero dall’altra parte della strada», ci rac­conta Hanan. Car­relli di arance, mele, banane e coco­meri get­tati vio­len­te­mente per terra senza più colori né sapori. Solo pol­vere gri­gia e odore di fuoco. E’ que­sta oggi Aleppo.
Chie­diamo a Kha­lil, un vec­chio signore del quar­tiere di al-Sakhour, per­ché 400.000 per­sone si osti­nano a rima­nere ancora ad Aleppo. Risponde con un sor­riso, una rarità nel nord della Siria. «Que­sto è il posto da dove vengo e que­sto è il posto dove morirò».

Nei giorni scorsi, il quar­tiere è stato nuo­va­mente e dura­mente ferito da raid aerei delle truppe gover­na­tive. Col­pito l’al-Sakhour hospi­tal, costretto a sospen­dere tutte le atti­vità. Nel solo mese di marzo nell’ospedale sono stati ammessi 2444 pazienti e sono state ese­guite più di 300 pro­ce­dure chi­rur­gi­che d’urgenza. Men­tre ad al-Sakhour i feriti ven­gono mala­mente medi­cati nei pochi sot­ter­ra­nei e rifugi rima­sti, di fronte, nel quar­tiere di al-Shaar, il Fronte Isla­mico cura i suoi com­bat­tenti in un ospe­dale da campo, ambi­gua­mente spon­so­riz­zato dagli Emi­rati Arabi.

La nuova fami­glia di Ammar

Ammar cam­mina sui ciot­toli lisci e tra i palazzi smem­brati di al-Shaar, zop­pi­cando visto­sa­mente. Kefiah a qua­dretti bian­chi e neri in testa, una sorta di uni­forme mili­tare verde scuro, nes­suna arma. Ha 21 anni e il Fronte Isla­mico è la sua nuova fami­glia. Lui la chiama così. È sal­tato su un ordi­gno: «Sono stato ope­rato già una volta — dice -, ho viti e plac­che di acciaio nella mia gamba sini­stra. Ho avuto un’infezione sulla ferita. Non cam­mino ancora bene. Ma tor­nerò pre­sto a com­bat­tere. Allah mi ha dato una seconda possibilità».

Secondo l’ultimo report di Human Rights Watch, su Aleppo si com­batte una guerra aerea indi­scri­mi­nata e ille­gale con­tro i civili. Nell’ospedale da campo di al-Shaar c’è una con­nes­sione inter­net via satel­lite. Ammar segue così i suoi “fra­telli”. Que­sto è l’unico modo per avere noti­zie. Per quasi due anni nelle zone della Siria con­tro il regime, tutti i mezzi di comu­ni­ca­zione, tele­foni fissi e rete mobile sono stati tagliati. «Quando com­bat­tevo avevo un walkie-talkie sem­pre con me, è così che comu­ni­cavo le mie posi­zioni, i miei spo­sta­menti, le mie azioni».

Dai rubi­netti che riman­gono nelle case mar­to­riate, l’acqua cor­rente c’è per un’ora a set­ti­mana. È appena suf­fi­ciente per riem­pire i ser­ba­toi sti­pati sui tetti delle case. Layal ci dice: «Quando non ci rie­sco devo com­prare l’acqua da un pozzo. I nuovi pozzi sono stati sca­vati in modo casuale, in mezzo a quar­tieri affol­lati, senza gli inge­gneri o gli studi».

Ci rac­conta che nel quar­tiere di al-Sukkari hanno ener­gia elet­trica per circa quat­tro ore al giorno, così tante per­sone pagano per avere una fonte alter­na­tiva di luce. Spesso l’elettricità manca per una set­ti­mana intera. I com­mer­cianti locali hanno inve­stito molto denaro in grossi gene­ra­tori e distri­bui­scono ener­gia elet­trica agli altri con un canone men­sile. Men­tre parla, Moha­mad pian­gendo le tira l’hijab. «Voglio por­tare la mia bici fuori per gio­care, ma i miei fra­telli non me lo per­met­tono, per­ché è pas­sato un aereo di Assad nel cielo». Moha­mad ha solo sette anni e non ricorda la vita prima della guerra.

Layal gli spiega pazien­te­mente che qual­cuno potrebbe pren­derlo. Ci dice con il ter­rore negli occhi: «Potreb­bero but­tare il suo corpo ovun­que. Non ci sono le auto­rità a inda­gare, non c’è poli­zia. Ci sono gruppi di ribelli grandi e pic­coli che si divi­dono strade e edi­fici e la gente cono­sce solo quelli che hanno basi nel loro distretto. Qui vicino ci sono i com­bat­tenti del gruppo Fista­qum Kama Oma­rit. Gli altri non li conosco».

Il mondo dei ribelli e la vec­chia Aleppo sono sepa­rate da una linea a zig-zag da sud-est a nord e il con­trollo dei ter­ri­tori è rima­sto pra­ti­ca­mente inva­riato per mesi. Le uni­che cose che hanno ancora in comune sono il caffè e il nar­ghilè.
Il pae­sag­gio è ripe­ti­tivo: sagome di edi­fici quasi crol­lati, camere aperte e fac­ciate intatte. Squa­dre di elet­tri­ci­sti rat­top­pano linee elet­tri­che rotte dopo ogni attacco. Ospe­dali sot­ter­ra­nei con­ti­nuano a fun­zio­nare, man­ten­gono ban­che del san­gue e con­ti­nuano cam­pa­gne di vaccinazione.

La solita infe­zione cutanea

Le indi­ca­zioni per arri­vare nel quar­tiere di Bustan al-Qasr suo­nano addo­lo­ranti. «Passa l’edificio com­ple­ta­mente distrutto. Poi gira a destra dopo l’edificio con i graf­fiti colo­rati e appena dopo sor­passa la casa da cui si vede l’interno di una came­retta con una culla rosa».

L’ospedale del quar­tiere è ormai un relitto: un gro­vi­glio di mace­rie, cavi e pol­vere, con la metà del sof­fitto man­cante e parti dell’edificio com­ple­ta­mente rase al suolo. È saturo di bam­bini con la solita infe­zione cuta­nea che torna con il caldo, l’«Aleppo bol­lire» come la chia­mano qui.

«Non ci sono più medi­cine, che prima arri­va­vano dalla Tur­chia, e que­ste pia­ghe diven­tano ogni giorno più grandi. Non posso fare niente» rac­conta Amira, gio­vane dot­to­ressa con alle spalle anni di studi a Dama­sco. Non va via da Aleppo per­ché non vuole entrare nella schiera dei sette milioni di sfol­lati interni in Siria o nella squa­dra dei quasi quat­tro milioni di siriani rifu­giati all’estero.

Quelli che restano di solito fanno pochi lavori umili: gui­dano mac­chine tra­sfor­mate in taxi, gesti­scono minu­scoli inter­net caffè, o sem­pli­ce­mente ven­dono merce di con­trab­bando. Le orga­niz­za­zioni non gover­na­tive por­tano solo riso e olio. Tutto il resto entra per vie ille­gali. Un rivolo di aiuti si fa strada attra­verso i con­fini labili della città.

Anche nel silen­zio della notte, in quar­tieri interi con­su­mati dal buio, la guerra va avanti. La gente ha ini­ziato a odiare tutti gli schie­ra­menti. «Non vogliamo né le forze del regime né i ribelli. Vogliamo solo vivere in pace», ci dice Majd. Prima lavo­rava per il pro­getto rifiuti solidi del Pro­gramma Onu per lo svi­luppo. «Avevo un po’ di soldi per com­prare il pane per me e i miei vicini. Ora non ho più niente. Aleppo è un’ombra, un guscio. Interi quar­tieri sono stati svuo­tati di resi­denti e case».

Il Manifesto 14/05/2015 “Aleppo, l’ostinazione di chi resta” – di Federica Iezzi

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