UNICEF. Un milione e mezzo di bambini rischiano la morte da malnutrizione

Nena News Agency – 22/04/2017

Somalia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen soffrono gravissime carestie, dovute alla guerra ma con origini diverse: territori occupati da gruppi jihadisti, conflitti, errori della comunità internazionale, siccità, blocchi aerei

Sud Sudan

di Federica Iezzi

Roma, 22 aprile 2017, Nena News – I bambini. Sono sempre loro a pagare le conseguenze peggiori di guerre, carestie e disastri naturali in varie aree del mondo. In TV li vediamo spaventati, con gli occhi incavati e persi nel vuoto, spesso soli. Eppure il cosiddetto mondo sviluppato volge lo sguardo dall’altra parte e preferisce non sapere che più di un milione di neonati e bimbi rischiano realmente di morire di fame.

L’allarme arriva diretto dall’UNICEF. Almeno un milione e mezzo di bambini tra Somalia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen, risultano a rischio di morte imminente da malnutrizione. E più di 20 milioni di persone si troveranno ad affrontare la fame nei prossimi sei mesi.

La grave catastrofe provocata da malnutrizione e carestia, che oggi stringe questi paesi, risulta in gran parte provocata dagli scorretti atteggiamenti umani. Un’azione più veloce è prerogativa irrinunciabile per non permettere che si ripeta la tragica carestia che colpì il Corno d’Africa nel 2011 e che solo in Somalia uccise 250mila persone.

Nello Yemen, dove la guerra ha imperversato per più di due anni, 462mila bambini soffrono di malnutrizione. Non ancora dichiarato lo stato di carestia, lo Yemen fa i conti con 27 milioni di persone nel limbo dell’insicurezza alimentare. Tre milioni di persone soffrono di malnutrizione acuta, di cui più di due milioni sono bambini.

Il destino per altri 500mila bambini è ancora peggiore: malnutrizione acuta grave. Secondo l’Unicef si è assistito ad un aumento del 200% rispetto al 2014. Anche prima del conflitto interno, lo Yemen era costretto a fronteggiare la difficoltà della fame cronica. Ma era un problema, per la maggior parte, gestibile, visto che le agenzie umanitarie riuscivano a muoversi per il paese con relativa facilità.

L’economia è ora in piena caduta libera, con l’80% delle famiglie in debito. Il costo del cibo è elevato visto che i ritardi e le cancellazioni di voli commerciali e viaggi con navi mercantili sono all’ordine del giorno.

Almeno 450mila bambini sono gravemente malnutriti nel nord-est della Nigeria, territorio minato dei jihadisti di Boko Haram, che non permettono ancora l’ingresso di convogli umanitari. La crisi nigeriana è una crisi sia di finanziamento che di accesso. L’emergenza è stata lenta a rivelare la sua vera dimensione. Boko Haram aveva il controllo di gran parte del nord-est fino al 2014 e poco si sapeva dei bisogni dei civili intrappolati in quelle zone. E le zone rurali ancora oggi rimangono inaccessibili. Inoltre rimane il problema dell’insicurezza alimentare dei 1,8 milioni di sfollati interni nei tre stati del nord-est di Adamawa, Borno e Yobe.

La siccità in Somalia ha lasciato 185mila bambini sull’orlo della fame, cifra destinata a salire fatalmente. Anche qui, si osservano reazioni al rallentatore da parte della Comunità Internazionale. Vaste aree del Paese in cui la crisi alimentare tocca livelli preoccupanti e dove i guerriglieri di al-Shabab sono l’autorità de facto, sono classificate come ‘no-go zone’ per quasi tutte le agenzie umanitarie, a cui viene negato il permesso di accesso e di lavoro.

In Sud Sudan oltre 270mila bambini sono malnutriti. Già invocato da ONU e governo locale lo stato di carestia in alcune zone a nord del paese, in cui vivono più di 20mila bambini. Il paese è un mosaico sconcertante di gruppi armati, tra le fazioni ribelli, l’esercito e le milizie governative. E tutte le parti sembra si siano impegnate in uccisioni di massa a sfondo etnico. E le uniche scelte in mano alle agenzie umanitarie sono state le misure straordinarie negli interventi, spesso senza un programma concreto alle spalle.

Attualmente le aree a rischio di fame potrebbero avere una possibilità di scongiurare una catastrofe, se l’accesso umanitario rimanesse protetto e rispettato, secondo una dichiarazione dell’UNOCHA.

Sono già in programma visite da parte degli ambasciatori del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel nord della Nigeria, in Camerun, Ciad e Niger, con il fine comune di evitare il ripetersi di una delle più gravi carestie di sempre, che colpì l’Etiopia nei primi anni ‘80. Dopo anni di siccità consecutivi, la dittatura militare di Mengistu, ha visto morire di stenti più di un milione di civili.

E in quegli anni l’attenzione della comunità internazionale si concentrò sull’impedire spedizioni di aiuti umanitari nelle aree controllate dai ribelli, che condusse definitivamente l’Etiopia al baratro.

Più di tre decenni più tardi, il rischio per Somalia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen è il medesimo. Da cosa è sorretto il rischio? La risposta più semplice è il conflitto, che accomuna le storie dei quattro Paesi. Queste quattro carestie hanno somiglianze ma origini diverse. Diverse traiettorie. E le esigenze di conseguenza sono differenti.

Evitare una catastrofe umanitaria è solo una parte della battaglia. Ideare una strategia di risposta corretta e assicurare l’accesso necessario in zone dove la guerra entra complessa e frammentaria sono la vera sfida.

L’assistenza di emergenza aiuta solo se le persone che possono accedervi. Molto maggiore dovrebbe essere l’accento sulle contrattazioni diplomatiche nell’impegno della risoluzione dei conflitti, alcuni dei quali trascinati per anni, e per i quali qualsiasi metodo di assistenza umanitaria non risulta altro che un palliativo. Nena News

Nena News Agency “UNICEF. Un milione e mezzo di bambini rischiano la morte da malnutrizione” di Federica Iezzi

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NIGERIA. Emergenza alimentare nello stato di Borno

Nena News Agency – 21/11/2016

14 milioni di persone, tra cui 400.000 bambini, hanno oggi bisogno di assistenza umanitaria nella regione, ex roccaforte di Boko Haram. Da quando il gruppo jihadista ha iniziato i suoi attacchi nel Paese nel 2009, sono state uccise decine di migliaia di persone. Oltre 2 milioni gli sfollati

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di Federica Iezzi

Maiduguri (Nigeria), 21 novembre 2016 – In mezzo a fame e migrazioni forzate, sono quasi spariti i bambini al di sotto dei cinque anni di età. E’ l’allarmante appello di Medici Senza Frontiere. Siamo nello stato di Borno, nel nord-est della Nigeria. Non ci sono più nei centri per la cura della malnutrizione, non ci sono più negli ambulatori medici, non ci sono più nei reparti degli ospedali, non ci sono più legati sulle spalle delle loro madri. E’ singolare non vedere bambini piccoli quando vengono allestiti nuovi campi per gli sfollati interni. Esistono sempre e solo fratelli e sorelle più grandi. Allora, dove sono andati?

Tra il 2013 e il 2014, i civili del nord-est della Nigeria lasciano le proprie case per sfuggire agli attacchi dei jihadisti di Boko Haram. Da villaggi limitrofi, a migliaia trovarono rifugio a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno. Il governo nigeriano ha lanciato una controffensiva nel 2014, che si è intensificata l’anno successivo. Mentre i combattimenti continuavano ad inghiottire la regione, milioni di civili sono stati sradicati dalle loro terre, spogliate di qualsiasi mezzo di sopravvivenza. La mancanza di cibo e di nutrienti essenziali ha portato a tassi di malnutrizione preoccupanti. La malnutrizione spazza via la resistenza di un bambino o di un anziano alle malattie più banali. E allora un focolaio di morbillo diventa mortale. Malaria, diarrea e infezioni respiratorie hanno decimato la popolazione, la mancanza di vaccinazioni ha fatto il resto.

Solo lo scorso giugno, il governo nigeriano ha dichiarato l’emergenza alimentare nello stato di Borno. Ormai troppo tardi. Troppi bambini e neonati avevano già perso la vita a causa della malnutrizione, aggravata da infezioni e malattie prevenibili. Sono state vittime della fame. Le proiezioni nutrizionali svolte in diverse località a Borno nei mesi tra maggio e ottobre hanno rivelato che il 50% dei bambini sotto i cinque anni sono acutamente malnutriti.

Nel mese di luglio, secondo i report redatti dall’ONU, quasi un quarto di milione di bambini in aree dello stato di Borno è affetto da malnutrizione grave. E almeno 75.000 bambini nel nord-est della Nigeria rischiano di morire per la fame nei prossimi mesi. Il prezzo degli alimenti di base è salito alle stelle negli ultimi mesi. E un numero sempre crescente di famiglie residenti o sfollate, semplicemente non può permettersi di mangiare.

La distribuzione gli aiuti umanitari al di fuori della capitale Maiduguri è estremamente difficoltosa. Le aree periferiche sono isolate e la lotta a Boko Haram infuria ancora attorno a villaggi rasi ormai al suolo. L’agricoltura è annientata, i mercati rimangono vuoti, il personale sanitario e le strutture mediche sono in condizioni gravose. 1,8 milioni di bambini a Borno non va a scuola a causa degli attacchi da parte dei combattenti di Boko Haram. I civili rimasti sono alla disperata ricerca di cibo, e hanno bisogno di assistenza medica, comprese le campagne di vaccinazione. Il ministero della salute nigeriano, con il supporto dell’OMS, si propone di raggiungere più di 75.000 bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 15 anni, in 18 campi sfollati, tra cui Muna Garage, Custom House e Fariy, per le campagne di immunizzazione.

14 milioni di persone, tra cui 400.000 bambini, hanno oggi bisogno di assistenza umanitaria nella regione, ex roccaforte dei militanti di Boko Haram. Decine di migliaia di persone sono state uccise e si contano più di due milioni di sfollati da quando Boko Haram ha iniziato le sue operazioni militari nel 2009 nello stato di Borno e in altre aree nord-nigeriane. Nena News

Nena News Agency “NIGERIA. Emergenza alimentare nello stato di Borno” di Federica Iezzi

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NIGERIA. Liberarsi della poliomielite

Nena News Agency – 02 novembre 2015

Solo nel 2012, nel paese africano si erano contati più della metà di tutti i casi documentati nell’intero globo. L’ultimo risale al 24 luglio dello scorso anno, confermata l’assenza di nuovi casi nei 12 mesi successivi. Adesso inizia il periodo di sorveglianza di almeno due anni, prima che l’Africa sia dichiarata libera dalla malattia

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di Federica Iezzi

Abuja (Nigeria), 2 novembre 2015, Nena News – L’annuncio ufficiale arriva dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: la poliomielite non è più endemica in Nigeria, ultimo paese dell’Africa in cui continuava una regolare trasmissione del virus.  Secondo la Global Polio Eradication Initiative, il partenariato pubblico-privato che guida la lotta per eradicare la malattia, l’ultimo caso di poliomielite in Nigeria risale al 24 luglio dello scorso anno. Tutti i dati di laboratorio hanno confermato l’assenza di nuovi casi nei 12 mesi successivi.

Adesso inizia il periodo di sorveglianza di almeno due anni, prima che l’Africa sia dichiarata libera dalla poliomielite, visto che si possono contare fino a 200 casi asintomatici di malattia, e quindi non si ha certezza del numero di serbatoi umani di virus attualmente presenti nel continente. L’ultimo caso è stato registrato in Somalia l’11 agosto 2014. Si aspetta dunque, in questa fase latente, la conferma da parte dell’OMS che gli ultimi campioni prelevati da persone in aree precedentemente colpite siano esenti da virus.

Solo nel 2012, in Nigeria si erano contati più della metà di tutti i casi di poliomielite documentati nell’intero globo. Portata avanti dal governo di Muhammadu Buhari un’enorme campagna di vaccinazione, che ha immunizzato contro il poliovirus 45 milioni di bambini sotto l’età di cinque anni.

I centri di vaccinazione hanno lavorato ininterrottamente per anni contro diffidenza, violenza e attacchi da parte dei militanti di Boko Haram. Secondo i dati dell’UNICEF, almeno mezzo milione di bambini negli ultimi cinque mesi è fuggito a causa di attacchi da parte di Boko Haram, mancando agli appuntamenti nei centri medici di vaccinazione. Per evitare recrudescenze della malattia gli operatori sanitari hanno concentrato l’attenzione anche sulle famiglie di rifugiati in fuga dalla Nigeria e dai Paesi limitrofi, come Cameroon e Ciad. Guerre e disordini civili rimangono il più grande ostacolo alla vaccinoterapia.

Per quasi un anno, nel 2003, alcuni stati della Nigeria del nord avevano boicottato il vaccino antipolio orale, credendo che fosse la causa della sterilizzazione femminile. Nel 2013 nove operatori sanitari impegnati nelle campagne di immunizzazione sono stati uccisi e tre rapiti nell’area di Kano, nella Nigeria settentrionale.

Grazie all’istituzione di centri operativi di emergenza per coordinare campagne di vaccinazione e raggiungere i bambini anche in zone inaccessibili, oggi il numero di famiglie che rifiuta la vaccinazione per i propri figli è diminuito drasticamente. Anche lo stesso nord-est nigeriano ora è arrivato ad un tasso di immunizzazione contro la polio che sfiora l’85%.  La vaccinazione ha ridotto il numero di casi del 99% a partire dal 1988, dopo che la poliomielite aveva paralizzato, in 125 Paesi, almeno 350.000 bambini ogni anno.

Frenata quasi ovunque, con un vaccino che costa solo pochi centesimi, la poliomielite rimane oggi endemica in soli due Paesi, Pakistan e Afghanistan. Nel 2015 sono stati segnalati 41 nuovi casi di poliomielite: 32 in Pakistan e 9 in Afghanistan. 200 i casi nel 2014.  Esperti di salute globali puntano a eradicare la poliomielite in tutto il mondo entro il 2018. Questo significherebbe eliminare la seconda malattia nella storia dopo il vaiolo. Nena News

Nena News Agency “NIGERIA. Liberarsi dalla poliomielite” – di Federica Iezzi

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AFRICA. Ancora lunga la lotta all’infibulazione

Nena News Agency – 25/06/2015

Sono almeno 40 i Paesi in cui si pratica questa orribile mutilazione  che colpisce le donne. E’ una legge tribale, antica. La percentuale di esecuzione sulle bambine sfiora il 98%

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di Federica Iezzi

Abuja (Nigeria), 25 giugno 2015, Nena News –  Infibulazione. Deriva da ‘fibula’, in latino ‘spilla’. Il termine descrive in modo spietato, la radicale alterazione che subiscono gli organi genitali femminili. La vagina viene parzialmente chiusa attraverso una sutura che lascia solo un piccolo passaggio per l’urina e il sangue mestruale. A questo si aggiunge l’asportazione di clitoride, piccole labbra e parte delle grandi labbra vaginali.

Ogni anno, due milioni di piccole vittime vanno ad aggiungersi ai 135 milioni di donne che vivono con il marchio di questa ferita. Sudan, Somalia, Mali, Egitto, Guinea, Gibuti, Eritrea e Sierra Leone. L’Africa sub-sahariana e occidentale sono le aree di maggior diffusione.

La Nigeria è attualmente il primo stato africano a bandire l’infibulazione. Il disegno di legge, che criminalizza la pratica nel Paese, approvato dall’Assemblea Nazionale, parte dell’ultimo mandato del presidente uscente Goodluck Jonathan, è ancora in attesa di convalida. Si stima che risparmierà oltre 40 milioni di donne e ragazze dall’usanza culturale della mutilazione genitale. Ma le leggi sono lì, solo sulla carta, e le pene non scoraggiano anni di tradizioni.

Aliyaa, nel giorno del suo matrimonio, a Khartoum, ci racconta “Questa notte, la madre di mio marito con un piccolo coltello mi ha tagliata. Mi vergogno ma lei mi ha detto che adesso finalmente posso avere dei figli”. Dolorante cerca di camminare e sorridere agli inviatati. Cerca di nascondere i segni della sofferenza sul suo viso mentre la riempiono di foto. Le amiche la sorreggono, la sorella del marito non le guarda nemmeno gli occhi.

La tradizione impone alle donne della famiglia dello sposo una profonda ispezione della futura moglie. Trovare l’infibulazione intatta significa che la donna è ‘perbene’. L’allargamento dell’apertura vaginale, per permettere rapporti sessuali, di solito avviene per mano della donna più anziana della famiglia dello sposo, la sera prima del matrimonio. Procedimento desolante, spesso condotto senza alcun anestetico né antidolorifico.

Estendere l’apertura vaginale non è affatto sufficiente per consentire il parto. Asma, una giovane ragazza somala, ci racconta la sua prima gravidanza. “Ho avuto dolore quando sono stata con mio marito. Il mio bambino è arrivato subito, grazie a Dio. Un giorno il mio vestito si è bagnato e mia madre mi disse che Khaliif stava per nascere. Mia nonna prese un rasoio e mi tagliò. Non so se quel sangue che vedevo proveniva dal taglio o da mio figlio. Poi non ricordo più niente”.

Le storie di Aliyaa e di Asma sono simili. Figlie della stessa terra. Figlie della stessa cultura. “Sono stata cucita quando avevo sette anni. Potevo sentire il dolore della lama e il morso dell’ago usato per non farmi più sanguinare”, continua Asma. Abbassa lo sguardo e stringe a se Khaliif.

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni giorno 8000 donne, bambine e ragazze subiscono mutilazioni genitali. Pratiche lontane da Islam, Cristianesimo o qualsiasi altra religione.

Nelle calde manyatte kenyane, una delle anziane donne del villaggio ha appena finito di ‘tagliare’ una bimba di pochi anni. Tre, forse quattro. Non conosce le parole tecniche della procedura. Non sa che a un nome corrisponde una parte anatomica dell’apparato genitale della bambina. Ma ha eseguito alla perfezione tagli, asportazioni e suture. Sotto l’ombra di un’acacia, parlava soddisfatta, con le altre donne, e sorseggiava lentamente un chai, tè, latte e qualche spezia. La bambina gridava sfinita dallo spasimo. La donna ci racconta che adesso “Kaweria troverà un marito. Così è pulita. Adesso si stancherà e si addormenterà. Ho messo una pasta di erbe e ho legato gambe e caviglie insieme, così la ferita guarisce presto”. Nena News

Nena News Agency “AFRICA. Ancora lunga la lotta all’infibulazione” di Federica Iezzi

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Nigeria al voto nel sangue

Nena News Agency – 30 marzo 2015

Migliaia di persone scese in strada, scontri e almeno 41 morti accompagnano la sfida tra l’attuale presidente Goodluck Jonathan e Muhammadu Buhari, candidato dell’opposizione. Con la paura che si ripeta la carneficina del 2011

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di Federica Iezzi

Lagos, 30 marzo 2015, Nena News – Problemi tecnici e ritardi hanno avviato la macchina elettorale del parlamento federale e del nuovo presidente in Nigeria. Dopo un rinvio di sei settimane per ragioni di sicurezza, urne aperte dalle 8 alle 13 dello scorso sabato, per i 70 milioni di elettori. Rallentamenti nelle procedure a causa dello sperimentale iter di registrazione dei votanti, tramite carte biometriche con le impronte digitali. Nuovo sistema progettato contro i brogli.

A causa dei recenti attacchi dei jihadisti di Boko Haram, in alcune zone del Paese, le operazioni di voto sono state sospese e rimandate a domenica. In più di 300 seggi, sui 150 mila presenti in tutto il territorio, si è continuato invece a votare. Dall’apertura dei seggi, almeno 41 persone sono state uccise nell’area di Gombe e Borno, nel nordest nigeriano, roccaforte dei militanti islamici, e nello stato di Rivers, nel sud-est del Paese.

Nei villaggi di Dukku, Birin Fulani, Tilen, Shole, Birin Bolawa e Buratai  si sono susseguiti attacchi e minacce dei militanti di Boko Haram ai funzionari elettorali. In quest’ultima località venerdì scorso i miliziani di Abubakr Shekau avevano decapitato una trentina di persone con una motosega, mentre nella provincia di Gombe avevano aperto il fuoco sulla gente in fila ai seggi.

Urne rubate e sospetti di ritardi in alcuni seggi elettorali, hanno peggiorato lo stato di veridicità delle operazioni. I confini nazionali sono chiusi da mercoledì scorso. Il traffico si è fermato nelle grandi città del Paese fino alle cinque del pomeriggio, con posti di blocco davanti ogni seggio. Ma centinaia di migliaia di nigeriani sono andati a votare, nonostante le minacce di Boko Haram.

Sono 14 i candidati alla carica di Presidente, tra cui per la prima volta anche una donna, Remi Sonaiya, del partito KOWA. Ma a contendersi davvero il mandato sono l’attuale presidente Goodluck Jonathan, attuale presidente impopolare e ampiamente accusato di corruzione, cristiano del sud, beneficiario dei ricchi introiti delle esportazioni petrolifere e il generale Muhammadu Buhari, forte del sostegno del nord islamico della Nigeria, area abbandonata dal governo centrale di Abuja e protagonista di una feroce dittatura militare nei primi anni ’80.

Una sfida che si ripete, dato che erano finiti al ballottaggio anche nel 2011. In quell’occasione vinse la popolarità di Jonathan. Almeno 800 civili, in seguito ai risultati di quelle elezioni, persero la vita durante violenti scontri. E gli sfollati interni furono 65.000.

In questi ultimi mesi, non sono mancate le critiche pesanti del generale Buhari al governo Jonathan, accusato di non saper interrompere la scia di sangue dipinta tragicamente dai combattenti di Boko Haram, che  dal 2002 hanno ucciso più di 10.000 civili, di cui 1000 solo durante quest’anno.

Il nord, a maggioranza musulmana, sembra essere il territorio sotto il controllo di Buhari e dell suo partito di opposizione, l’All Progressives Congress, mentre Jonathan e il Partito Democratico Popolare hanno maggiore sostegno nel sud, prevalentemente cristiano.

Oltre alle elezioni presidenziali, i nigeriani sono chiamati a votare per i governatori di 36 stati, per i rappresentanti dei 109 seggi del Senato e dei 360 dell’Assemblea Nazionale. L’annuncio dei risultati è atteso entro 48 ore dalla chiusura dei seggi. Senza il nome di un vincitore, le sorti della Nigeria saranno in mano al ballottaggio tra sette giorni. Il nuovo governo entrerà in carica alla fine di maggio. Nena News

Nena News Agency “Nigeria al voto nel sangue” – di Federica Iezzi

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Ebola, è emergenza di salute pubblica internazionale

Frontiere News – 14 agosto 2014

 

Continuano a crescere i casi in Guinea Conakry, Sierra Leone, Liberia e Nigeria. L’Organizzazione Mondiale della Sanità esorta tutti i Paesi in cui c’è trasmissione del virus a dichiarare lo stato di emergenza nazionale

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di Federica Iezzi

Conakry (Guinea Conakry) – Il segretario generale dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, Margaret Chan, ha disegnato l’epidemia di ebola, attualmente in corso in Africa Occidentale, come un’emergenza di salute pubblica internazionale. È il risultato del primo incontro del comitato d’emergenza sullo stato dell’epidemia di ebola, convocato dall’OMS, lo scorso 8 agosto.

Intanto, trovato il focolaio di partenza della peggiore epidemia degli ultimi 40 anni. Si tratta di un bambino morto lo scorso dicembre, a Guèckèdou, in Guinea Conakry, vicino il confine con Sierra Leone e Liberia.

Dopo la Liberia, anche in Nigeria, il ministro della Sanità Onyebuchi Chukwu, ha dichiarato lo stato di emergenza per il virus ebola. Risale a fine luglio il primo caso nel Paese più popolato dell’Africa. È quello di un uomo liberiano di 40 anni, morto in un ospedale a Lagos, dopo la verifica positiva di laboratorio, per l’infezione da virus ebola. Ad oggi documentati 13 casi e due decessi, in Nigeria.

Tra il 7 e il 9 agosto scorsi, contati 69 nuovi casi di infezione dal virus della febbre emorragica. Riportati 52 morti tra Guinea, Liberia, Nigeria e Sierra Leone. In Guinea, 11 nuovi caso e 6 morti. In Liberia 45 nuovi contagi, accertati in laboratorio, e 29 decessi. In Nigeria nessun nuovo caso. In Sierra Leone 13 nuovi casi con 17 morti.

È proprio in Sierra Leone, la peggior situazione, dove sono stati chiusi i cinema e gli stadi e ci sono forti limitazioni alla circolazione. Totale di 656 contagi confermati che hanno provocato la morte di 276 persone.

Il gruppo di esperti convocato dall’OMS, ha iniziato la ricerca di trattamenti sperimentali per combattere la veloce diffusione del virus in Africa Occidentale. In questo momento, non ci sono farmaci registrati o vaccini contro il virus ebola. Diverse opzioni sperimentali sono attualmente in fase di sviluppo.

Secondo Jean-Marie Okwo Bèlè, direttore del dipartimento di immunizzazione del’OMS, si arriverebbe ad un vaccino preventivo nel 2015.

Va invece avanti il trattamento sperimentale con ZMapp contro il virus ebola, applicato ai due cittadini americani infettati in Liberia. Il farmaco era entrato anche in Spagna, per la cura del sacerdote spagnolo di ritorno dalla Liberia dopo 50 anni, morto in queste ore.

Ormai i contagi sono arrivati a 1848 nei quattro Paesi. 1013 i decessi.

Secondo l’OMS non sono necessarie restrizioni internazionali ai viaggi per evitare i contagi da ebola, ma le raccomandazioni prevedono test a tutti i passeggeri di porti e aeroporti in uscita dai paesi dove l’epidemia è presente.

Continuano le misure preventive contro la folle corsa del virus nell’Africa Occidentale. Al lavoro decine di medici delle autorità sanitarie locali, supportati dagli esperti internazionali.

Frontiere News “Ebola, è emergenza di salute pubblica internazionale” – di Federica Iezzi

La Repubblica “Il fotografo sfida l’Ebola, reportage al centro dell’epidemia”

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NIGERIA, violenze senza fine: Boko Haram fa strage a Jos

Nena News Agency – 23 maggio 2014

E’ di 120 morti  il bilancio dell’ultimo attentato firmato dalla setta islamista che sta seminando i caos nel Paese. Presi di mira mercati, stazioni dell’autobus, scuole, chiese, moschee, caserme. Dall’inizio dell’anno sono state uccise 1.500 persone 

 

Boko Haram rebels

Boko Haram rebels

 

di Federica Iezzi

Jos (Nigeria), 23 maggio 2014, Nena News – Davano tutti le spalle all’esplosione. Erano al Terminus Market di Jos. Non hanno fatto nemmeno in tempo a sentirla che erano già tutti riversi a terra, con le fiamme che scaldavano la torrida aria della primavera subsahariana. Corpi fumanti e resti dei passeggeri dei vicini autobus sulla terra bruciata. Scaraventati a faccia in giù venditori abusivi, le donne che cucinavano la manioca e il pesce arrostito, i bambini che mangiavano arachidi. 120 morti, forse di più secondo fonti nigeriane. Centinaia i feriti. Ritorna martellante lo spettro Boko Haram. Paure che incidono sugli aspetti più elementari della vita, appartenenza etnica, religione, diseguaglianze regionali.

L’organizzazione jihadista sta seminando il caos con rapimenti, attentati, violenze e soprusi. Abuja sta diventando teatro di attentati, incendi dolosi e conflitti a fuoco, che colpiscono stazioni di polizia, uffici statali, chiese, moschee, scuole e università e di omicidi di funzionari politici, religiosi e gente comune.

Contro il governo del presidente Goodluck Jonathan, cristiano del gruppo etnico Ijaw, Boko Haram mira al riconoscimento della Shari’a come legge di Stato.

Il gruppo fu fondato nel 2002 da Ustaz Mohammed Yusuf. L’organizzatore materiale del piano di destabilizzazione della Nigeria fu ucciso nel 2009, dal governo del Paese. Da allora prese piede pacatamente la figura di Abubakar Shekau. Boko Haram è un gruppo anti-occidentale che rifiuta e si oppone all’ingerenza straniera.

Oggi gli obiettivi del gruppo sono l’imposizione di un certo modo di vivere e pensare a tutta la popolazione cristiana nel nord della Nigeria, di contrapporsi al sistema di educazione nigeriana di ispirazione britannica e di introdurre la legge islamica in tutto il Paese.

La popolazione nigeriana è divisa quasi a metà tra musulmani e cristiani. Le bande di Boko Haram da tre anni vagabondano inosservate, nel paese più popoloso e ricco di petrolio del continente africano, assaltando chiese, scuole e villaggi, compiendo stragi alla cieca di cristiani e musulmani.

Dopo il barbaro sequestro delle 223 studentesse all’inizio del mese, la settimana di sangue è iniziata con l’uccisione di almeno 47 persone in due attacchi contro i villaggi nigeriani di Alagarno e Shawa, nello stato di Borno, a nord-est del Paese. Martedì l’attentato alla stazione di autobus in una delle vie commerciali più affollate di Jos, ha preceduto l’esplosione dell’autobomba al mercato centrale e  provocato centinaia tra morti e feriti.

Ogni giorno si vedono i gesti dei ribelli in azione, durante le esercitazioni o a riposo. Ma anche il cielo cobalto sopra la terra rossa, con le sagome nere dei combattenti dal volto incorniciato dalla folta barba, alla luce dell’alba o del tramonto e le nuvole polverose delle esplosioni.

A Boko Haram sono attribuiti circa 4mila morti, decine di migliaia di feriti, sfollati e senza tetto. Nena News

Nena News Agency “NIGERIA, violenze senza fine: Boko Haram fa strage a Jos” di Federica Iezzi

 

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