CULTURA. Un Nobel contro i silenzi e le bugie del colonialismo

Nena News Agency – 11/10/2021

Autore di dieci romanzi e svariati racconti, il tanzaniano ABDULRAZAK GURNAH è stato premiato per ‘la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti’. Uno scrittore che ha dedicato la sua opera a narrare nei modi più belli e inquietanti ciò che sradica le persone e le costringe alla fuga

di Federica Iezzi

Roma, 11 ottobre 2021, Nena News – Il Premio Nobel per la letteratura 2021 è l’autore tanzaniano Abdulrazak Gurnah. Il prestigioso premio è stato assegnato per la ‘compassionevole penetrazione degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel divario tra culture e continenti’.

Nato a Zanzibar e trasferitosi in Gran Bretagna come rifugiato negli anni ’60, Gurnah ha recentemente lasciato la sua cattedra di letteratura inglese e post-coloniale all’Università del Kent, a Canterbury, dopo aver seguito il lavoro di scrittori come Soyinka, Ngũgĩ wa Thiong’o e Salman Rushdie.

È il primo scrittore africano a vincere il premio dopo Doris Lessing, scrittrice zimbabwese di origine britannica (2007), John Maxwell Coetzee, scrittore, saggista e accademico sudafricano naturalizzato australiano (2003), Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana (1991), Nagib Mahfuz, scrittore, giornalista e sceneggiatore egiziano (1988), e Wole Soyinka, drammaturgo, poeta, scrittore e saggista nigeriano (1986). Dei 118 vincitori della letteratura, da quando è stato assegnato il primo Nobel nel 1901, più dell’80% sono stati europei o nordamericani.

Ha pubblicato 10 romanzi e alcuni racconti. È noto al grande pubblico per il suo lavoro del 1994 Paradise, ambientato nell’Africa orientale coloniale durante la prima guerra mondiale, selezionato per il Booker Prize for Fiction e per il Whitbread Prize.

Anders Olsson, presidente del Comitato Nobel per la letteratura, lo ha definito “uno degli scrittori postcoloniali più importanti del mondo”, dal suo debutto con Memory of Departure, in sostanza la sua storia di profugo, al suo più recente Afterlives, storia che affronta gli effetti generazionali del colonialismo.

“Non credo che i recenti sviluppi politici nel mondo o la crisi dei rifugiati abbiano influito su questa scelta, ma penso che probabilmente il premio arriva dalla necessità di guardare più da vicino l’importanza e l’acutezza della letteratura post-coloniale”’, così Gurnah commenta il suo Nobel.

Gurnah ha sempre scritto sul tema dell’immigrazione, nei modi più belli e inquietanti di ciò che sradica le persone e le fa esplodere attraverso i continenti. In uno dei suoi più pregiati romanzi By the Sea, c’è l’immagine inquietante di un uomo all’aeroporto di Heathrow con una scatola di incenso intagliata, ed è tutto ciò che ha. Arriva e dice un’unica parola, ed è ‘asilo’.

Gurnah è uno scrittore potente e ricco di sfumature il cui lirismo ellittico contrasta i silenzi e le bugie della storia imperiale degli anni ’50 imposta nell’Africa orientale. I personaggi dei suoi romanzi, si trovano nell’abisso tra culture e continenti, tra la vita lasciata alle spalle e la vita a venire, affrontando razzismo e pregiudizio. Tra frammenti di casa, poi voci più lunghe, poi storie di altre persone, le sue opere esplorano il trauma persistente del colonialismo, della guerra e dello sfollamento.

Gli stessi temi che lo hanno impegnato all’inizio della sua carriera, quando stava ancora elaborando gli effetti del suo stesso sfollamento, si sentono sempre più urgenti oggi, visto che sia ​​l’Europa che gli Stati Uniti sono stati colpiti da un contraccolpo contro immigrati e rifugiati, allontanati dai loro Paesi di origine a causa di instabilità politica e guerre. Nena News

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UGANDA. Dall’indipendenza dalla Gran Bretagna al regno del terrore di Idi Amin

Nena News Agency – 17/07/2020

Pedina in varie occasioni della guerra non dichiarata tra il mondo arabo e l’Occidente, il Paese africano ha avuto a partire dagli anni ’60 ottime relazioni con Israele con cui, dopo la rottura diplomatica ai tempi della dittatura di Amin, mantiene tuttora ottimi rapporti

The Unseen Archive of Idi Amin

Uganda, The unseen archive of Idi Amin

di Federica Iezzi

Roma, 17 luglio 2020, Nena News – Cuore verde dell’Africa orientale, l’Uganda è attualmente alle prese con il compito di riunire una vasta gamma di gruppi di minoranze etniche in uno stato-nazione, deciso e imposto da vecchi confini geografici, disegnati dai padroni coloniali inglesi, causa negli anni di duri conflitti.

Il Paese oggi non è in pericolo di rinnovata guerra civile o violenza ribelle, ma rischia di scivolare in una crisi politica che potrebbe minacciare la stabilità conquistata negli anni. Kampala si destreggia tra politiche di patrocinio inefficienti, una spirale discendente di governance in declino, scarsi risultati economici e insicurezza locale.

Dopo 20 anni di conflitti e lo sfollamento di circa due milioni di persone, durante il mandato dell’ultima presidenza autocratica di Yoweri Museveni, l’Uganda divenne di nuovo una pedina nella guerra apparentemente infinita e non dichiarata tra il mondo arabo e l’Occidente. Nel 1994, l’amministrazione Clinton iniziò a finanziare in aiuti militari l’Uganda e altri Paesi africani, per destabilizzare i governi di matrice araba.

In cambio, l’attuale leader ugandese ha ricevuto tolleranza dai Paesi occidentali, in violazioni dei diritti umani, brogli elettorali, torture e uccisioni di sostenitori dell’opposizione. Tradizione angosciante tra i leader occidentali di confondere l’abuso e la repressione per motivi di sicurezza, con la normalità.

Tra i Paesi occidentali, Israele ha avuto sicuramente un rapporto speciale con l’Uganda, già dall’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1962. A partire dagli anni cinquanta, David Ben-Gurion, allora Primo Ministro israeliano, cercò partenariati strategici con gli stati ai margini del mondo arabo, compresi Uganda, Kenya, Iran e Turchia, per contrastare le nazioni ostili ai confini di Israele. Come parte di quella che divenne nota come la ‘dottrina periferica’, Israele addestrò ed equipaggiò i militari dell’Uganda e realizzò progetti di costruzione, di agricoltura e di sviluppo.

Le relazioni dell’allora demagogo presidente Idi Amin con Israele si inasprirono, dopo che Israele si rifiutò di vendere aerei da combattimento a Amin con i quali, il leader sperava di bombardare la Tanzania, dove l’ex presidente ugandese Obote stava sollevando un esercito ribelle.

Amin si rivolse alla Libia di Gheddafi, che accettò di vendere armi agli ugandesi, ma solo se quest’ultimo avesse rotto i legami con Israele. Dunque l’impulsività bizzarra di Amin espulse prontamente tutti gli israeliani dal Paese e installò l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nell’ex-ambasciata israeliana. La religione islamica divenne un feticcio per questo uomo squilibrato, e la sua schietta trasgressione ne fece un grave danno alla causa musulmana in Africa.

Ma quale è stata la vita e quali le miserie di Idi Oumee Amin Dada?

Nato a Koboko, nell’Uganda nordoccidentale, da padre Kakwa e madre Lugbara, Idi Amin si unì presto ai King’s African Rifles (KAR), un reggimento dell’esercito coloniale britannico, con cui combattè in Somalia contro i ribelli Shifta e in Kenya nella repressione della rivolta Mau Mau.

Dittatore spietato la cui ascesa al potere fu facilitata dalle autorità coloniali britanniche, estremamente carismatico e abile, ottenne il grado di ‘effendi’, la posizione più alta per un soldato dell’Africa nera all’interno del KAR, e fu presto nominato comandante delle forze armate.

Dopo oltre 70 anni sotto il dominio britannico, l’Uganda ottenne l’indipendenza nel 1962 e Milton Obote divenne il primo ministro del Paese. Nel 1964, Obote strinse una forte alleanza con Amin, che contribuì ad espandere le dimensioni e il potere dell’esercito ugandese. Nel febbraio del 1966, in seguito alle accuse secondo cui Obote e Amin erano responsabili del contrabbando di oro, caffè e avorio, scambiati per armi, nell’attuale Repubblica Democratica del Congo, Obote sospese la costituzione e si autoproclamò presidente esecutivo.

Obote iniziò a mettere in discussione la lealtà di Amin e durante una sua breve assenza, Amin, attraverso un colpo di stato, prese il controllo del Paese costringendo Obote all’esilio.

Una volta al potere, Amin iniziò le esecuzioni di massa su Acholi e Lango, tribù cristiane fedeli a Obote e quindi percepite come una minaccia. Attraverso forze di sicurezza interne da lui organizzate, come lo State Research Bureau (SRB) e la Public Safety Unity (PSU), ha di fatto eliminato chiunque si opponesse al suo regime.

Nel 1979 il regno del terrore di Amin terminò quando gli esiliati ugandesi e tanzaniani presero il controllo della capitale Kampala, costringendo il dittatore a fuggire. L’amministrazione di Kijambiya (‘macellaio’ come gli ugandesi chiamavano Amin) ha governato l’Uganda con il fervore e l’energia di una campagna militare. Mai consegnato alla giustizia per i suoi atroci crimini, sebbene originariamente cercasse rifugio in Libia, Amin ha trascorso comodamente il resto della sua vita in Arabia Saudita.

La brutalità di Amin, ha suscitato fascino oltre i confini dell’Uganda. Alcuni nazionalisti africani applaudirono i suoi insulti agli europei. Gli arabi radicali libici, guidati da Muammar al-Gheddafi, lo corteggiarono attivamente come alleato, e per un certo periodo lo fece anche l’Unione Sovietica.

I media del governo di Amin facevano parte di uno scintillante ensemble che ha contribuito a creare un’ingannevole narrazione degli eventi. Ecco perché così tanti ugandesi hanno trovato motivo per sostenere il governo di Amin. La presenza di telecamere negli eventi pubblici ha trasformato occasioni banali e accessorie, in una contraffatta cronaca di lotta nazionale.

Oggi, dopo tanta storia, che pochi ugandesi credano che il cambiamento politico avverrà attraverso l’urna elettorale, una rivolta popolare o un dialogo nazionale attendibile non sorprende, dato lo stato dell’opposizione politica, che soffre di carenza di finanziamenti, combattimenti e cooptazione del regime. Nena News

Nena News Agency “UGANDA. Dall’indipendenza dalla Gran Bretagna al regno del terrore di Idi Amin” di Federica Iezzi

 

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