La testimonianza da HAITI. Shelaiska tornava da scuola e le hanno sparato, l’abbiamo salvata

Corriere della Sera – 26 maggio 2022

#mondocapovolto

di Federica Iezzi

Port-au-Prince, Haiti – Shelaiska è arrivata da Cité Soleil, uno dei quartieri più problematici della capitale haitiana Port-au-Prince. Occhi neri in cui si può leggere tutta la paura di una bambina di 7 anni che si sveglia in ospedale, dopo essere stata ferita in una sparatoria tra gruppi armati. Siamo al centro traumatologico d’urgenza e per grandi ustionati di Tabarre che Medici Senza Frontiere, presente nel Paese da piu di trent’anni, gestisce nella capitale. È qui che Shelaiska è stata portata di corsa con mezzi di fortuna, in fin di vita.

Tornava a casa da scuola con il suo papà, quando la raffica di proiettili le ha colpito entrambe le gambe. Ed è proprio in quella frazione di secondo, che il mondo di tutte le persone vicine a Shelaiska è cambiato. Non si gioca per strada a Cité Soleil, non si va a trovare amici, non si passeggia. Si esce solo per motivi essenziali, per andare a lavorare, a scuola o all’ospedale. Prendendo grandi rischi e decidendo anche per i bambini. Non ti salva nemmeno il coprifuoco.

I rischi sono molteplici. Oltre al pericolo delle pallottole vaganti, c’è per esempio anche quello del fuoco: un gioco pericoloso usato dai membri di questi gruppi armati, per lo più giovani sbandati, per mandare messaggi intimidatori e punire in modo indiscriminato uomini, donne e bambini. I danni sono spesso irreparabili, molti soccombono alle ustioni. Il reinserimento nella società di un grande ustionato è estremamente difficile.

La violenza è diventata un problema di salute pubblica ad Haiti per migliaia di persone che vivono in aree della capitale soggette al controllo o alla violenza dalle gang, con un impatto rovinoso sull’accesso alle cure mediche. La violenza viene a gravare ulteriormente sugli abitanti dei quartieri della capitale assediati di Martissant, Cité Soleil, Carrefour, Croix-des-Bouquets, che faticano già a far fronte ai loro propri bisogni vitali: in molti non hanno accesso all’acqua, alla salute, al cibo, ai ricoveri.

Dopo decenni di instabilità politica, violenza e povertà persistente, oggi, la prima repubblica nera e indipendente della storia moderna, è nota piuttosto come un Paese in crisi che non come una nazione dal ricco passato politico e culturale. Haiti è uno dei Paesi più densamente popolati e più poveri dell’emisfero occidentale.

L’accesso al sistema sanitario, già molto fragile, è reso piu complicato dai numerosi scioperi che colpiscono il settore. L’assistenza sanitaria privata è fuori portata della maggioranza che fatica persino a pagarsi il trasporto per recarsi in una struttura medica. A questa situazione vengono ad aggiungersi le barriere create dall’insicurezza e dai cicli di violenza: interi quartieri isolati da scontri a fuoco e barricate che impediscono la circolazione di veicoli e ambulanze. La violenza si espande a zone sempre più ampie della capitale e costringe la gente a fare lunghe circumnavigazioni per raggiungere alcuni quartieri di Port-au-Prince.

Gli scontri ricorrenti tra bande armate spingono centinaia di persone a fuggire. Alcune si rifugiano presso famiglie di accoglienza finché la violenza non cessa, ma tante altre non tornano indietro. Se hanno i mezzi finanziari si troveranno un alloggio alternativo altrove, altrimenti finiranno in campi per sfollati dove vivranno in condizioni di estrema vulnerabilità. Tutti sognano di lasciare il Paese.

Questa stessa violenza oggi avrebbe potuto rubare la vita a Shelaiska che viene trasportata di corsa in sala operatoria per guadagnare quel tempo che non c’è. Gli occhi smarriti del padre, devastati ma lucidi, l’accompagnano e la sostengono in questa sua battaglia per la vita. Le armi da fuoco di grosso calibro spesso non risparmiano. Facili da usare, precise, efficaci. I proiettili esplodono nel corpo e trovarne i frammenti diventa un lavoro estenuante.

Tutte le sale operatorie sono occupate e accanto a Shelaiska un esercito di altri pazienti lotta tra la vita e la morte. Nonostante la stanchezza, la rassegnazione e lo sgomento, medici e infermieri resistono. È fortunata Shelaiska: molto provata, la bimba passa dalla terapia intensiva al reparto. Si salverà. Ma la paura di non poter più camminare o chissà, la preoccupazione di rientrare in quella casa che non sente più sicura, continua a tormentarla durante tutto il periodo di degenza. Sarà solo quando, dopo giorni di lacrime, nel corridoio dell’ospedale poggerà i piedi di nuovo per terra che ci regala il primo sorriso. Guarda confusa e un po’ stupita medici e infermieri e cerca lo sguardo sollecito del papà, mentre stenta a fare i primi passi.

E se non ci fosse stato l’ospedale di Medici Senza Frontiere? Dove avrebbero portato Shelaiska? Ogni corsa sarebbe stata vana, ogni prezioso attimo sarebbe stato perso. Un ospedale può fare la differenza tra la vita e la morte in un posto devastato dalla violenza come Port-au-Prince.

Corriere della Sera – Mondo Capovolto 26/05/2022 https://www.corriere.it/NewsletterCorriere/mondo-capovolto/48fa4f94-dc36-11ec-b480-f783b433fe60_CorriereMondoCapovolto.shtml?paragraph=2&fbclid=IwAR1L4SppSa9s3kR_hy2gY7z-G7QtTr0EVDLqJe6d67o7Ia593JpKi20qzIQ

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