Come è cambiata la vita dei bambini in Siria?

Nena News Agency – 24 settembre 2014

Reportage sulla vita dei bambini siriani che corrono per le strade sotto assedio, lavorano, vanno a scuola e subiscono violenze, in una guerra civile che non accenna ad arrestarsi 

 

Al-Hasakeh (Syria) - Games of syrian children - by Alan Ali

Al-Hasakeh (Syria) – Games of syrian children – by Alan Ali

di Federica Iezzi. Foto di Alan Ali (al-Hasakeh, Siria)

Aleppo (Siria), 24 settembre 2014, Nena News – Ogni giorno donne nascoste dietro al niqab, cercano di trascinare prepotentemente i propri bambini fuori dalla guerra. I ricordi dell’infanzia, nei sobborghi delle città siriane, rimangono imprigionati sotto le macerie. I croccanti. Le giornate di sole. Nessun bambino vedrà più le nonne preparare l’hummus a pranzo.

I bambini. Vulnerabili nei campi da gioco, nelle scuole, sulla spiaggia, nei rifugi. Secondo i dati dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani il numero di bambini uccisi in più di tre anni, nel conflitto siriano, è di 17.139.

Almeno 500.000 bambini sono stati feriti. Convivono con ustioni, ferite da proiettile e fratture. 200.000 avranno una disabilità permanente. Più di 350.000 bambini sono rimasti orfani.

I bambini arrestati dalle forze di Bashar al-Assad hanno sopportato, in una spirale buia di silenzio, forme di violenza fisica durante gli arresti, i trasferimenti o gli interrogatori.

Cinque milione di bambini sono oggi rifugiati in territorio siriano nel mezzo di una accanita guerra civile. Campi affollati. Dalle condizioni igieniche scadenti. Violente e inaspettate oscillazioni di temperature segnano il corpo martoriato dei più piccoli. Dai 35 gradi estivi si passa ai -6 nei rigidi inverni continentali. Cresce costantemente il rischio di malattie infettive come la polmonite. In più, centinaia di migliaia di bambini non hanno ricevuto vaccinazioni di routine per più di due anni, diventando vulnerabili alle malattie infettive come il morbillo e la poliomielite. Nella provincia di Idleb una dozzina di bambini ha perso la vita dopo la vaccinazione antimorbillosa, per le compromesse condizioni di salute. E i numeri sono destinati a crescere.

Molti bambini rimangono i soli capifamiglia, dopo la morte di padri, nonni, zii e cugini. Per mandare avanti la casa, lavorano per pochi soldi in condizioni pericolose e di sfruttamento. Vendono succhi di frutta, zucchero, tabacco, accendini, benzina e caramelle sugli angoli delle strade dove bombe, proiettili e colpi di mortaio fanno da teatro. Comprano otto pite arabe per 25 lire siriane e le rivendono in strada al doppio del prezzo. Rovistano nei cassonetti e poi vendono lattine di alluminio vuote. In una settimana guadagnano 10 dollari. Questo già a sei anni.

I ragazzini più grandi, fino a 12 anni, lavorano nei negozi come magazzinieri. In inverno cercano nei cassonetti e nelle strade rottami da bruciare per difendersi dal freddo pungente. In estate cercano ghiaccio o acqua fredda nei bar, in cambio del proprio lavoro. Puliscono. Riordinano. Servono. Chiedono ai passanti se hanno bisogno di qualunque tipo di aiuto in cambio di poche lire. Alcuni chiedono l’elemosina, accasciati senza forze sui marciapiedi. Altri si occupano delle loro magre capre.

Dai dodici anni in poi si lavora per 11 ore al giorno nei campi al confine con la Turchia. In quei pochi rimasti. Spalle e piedi doloranti, per raccogliere irrisorie quantità di ortaggi e verdure. I campi coltivati sono vicini a fogne a cielo aperto. Unica fonte di acqua pulita sono pozzi a chilometri di distanza. I campi attorno ad Aleppo sono continuamente bombardati dalle forze governative e oggi anche dai combattenti jihadisti dell’ISIS.

Gli adolescenti lavorano in fabbriche alla preparazione di stoffe, di cibi e di materiale per le pulizie in seminterrati insalubri e poco illuminati. Guadagnano tra i 50 e gli 80 dollari al mese, dopo almeno 12 ore di lavoro al giorno.

In tanti non vanno più a scuola. Le stime dell’UNICEF parlano di un milione di bambini che non avrà la possibilità di andare a scuola quest’anno. Nelle aree di Idleb e al-Raqqa circa la metà dei bambini non seguirà, per il quarto anno consecutivo, le lezioni del nuovo anno scolastico. Rimangono indietro. Rimangono indietro per la vita. Molte scuole sono diventate rifugi per gli sfollati. Il tempo di insegnamento è sceso da cinque a due ore al giorno. In più molti insegnanti sono fuggiti dalla Siria.

I bambini più fortunati li ritrovi a giocare nei cortili pieni di detriti, sporchi di terra e fango, con pistole e fucili giocattolo. Giocano alla guerra. Giocano alla vita reale. E’ tutto un gioco. E’ tutto vero. L’esercito del Presidente contro l’Esercito Siriano Libero. Conoscono già a tre anni il suono di un’arma da fuoco. Sanno riconoscere il rumore di una cannonata dal rumore delle raffiche del kalashnikov. Sanno riconoscere il fragore dei raid aerei, dei barili bomba, degli obici. Sanno puntare al petto e premere il grilletto dei loro giochini, facendo finta di uccidere un amichetto e lasciarlo in un bagno di sangue.

Ancor prima di nascere i bambini combattono una guerra contro la propria mamma e contro quello che lei ha intorno. Le donne sono costrette spesso a lavorare duramente durante tutta la gravidanza. Respirano aria satura di quel petrolio che entra in Siria da vie non governative. Mangiano non a sufficienza, cibi surgelati, non conservati bene. Molti bambini nascono con cardiopatie congenite. Con buchi nel cuore.

Mentre i prezzi alimentari salgono, secondo i dati dell’UNICEF un numero crescente di bambini è a rischio di malnutrizione. Il latte e i pannolini sono molto costosi e difficili da trovare negli scaffali dei negozi siriani. Alle famiglie non bastano i soldi per comprare ne cibo ne medicine. Ed ecco che i bambini diventano l’unica risorsa per arrivare alle 35.000 lire siriane al mese. Nena News

 

Nena News Agency 24/09/2014 “Come è cambiata la vita dei bambini in Siria?” – di Federica Iezzi. Foto di Alan Ali

“I bambini della Siria” – Reportage di Federica Iezzi. Immagini di Alan Ali

 

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KENYA. I bambini operati al cuore tornano a correre nella savana

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Missione di cardiochirurgia – Luglio 2014

Kenyatta National Hospital – Nairobi (Kenya)

 

 

Nena News Agency – 25 luglio 2014

 

Dalle regioni più povere del Kenya a Nairobi. Il viaggio dei piccoli operati al cuore, nella missione italiana di cardiochirurgia al Kenyatta National Hospital di Nairobi

 

Nairobi (Kenya) - Kenyatta National Hospital 18 luglio 2014  - Steria e Sinante in reparto, dopo l'intervento al cuore

Nairobi (Kenya) – Kenyatta National Hospital 18 luglio 2014 – Steria e Sinante in reparto, dopo l’intervento al cuore

 

Testo e foto di Federica Iezzi

Nairobi (Kenya), 25 luglio 2014, Nena News – Il vento che graffia la terra arida. La polvere che si insinua ovunque. Si sente fin dentro l’anima. Tutt’intorno il deserto e le carovane cariche di sale. Qualche piccolo villaggio a ricordare che anche in questa parte del mondo c’è qualcuno che prova a vivere. Un Paese ancora schiacciato tra deserto e povertà. Il 60% della popolazione sopravvive con un dollaro al giorno.

Sono partiti nella buia notte africana, al lume di una lampada a petrolio, i piccoli pazienti cardiopatici, dal distretto di Isiolo e dal distretto di Uasin Gishu, nel centro-nord del Kenya. La pista di laterite rossiccia ha accompagnato il lungo viaggio, per raggiungere l’ospedale nella capitale kenyana. Lungo la strada euforbie, palme, manghi e tamarindi riempiono l’aria di odori penetranti.

Le acacie come ombrelli accarezzano il cielo, dagli altipiani. E’ la stagione delle piccole pioggie. Alla terra rosso sangue si alternano sconfinati spazi verdi. I nuovi germogli acerbi delle acacie, sostituiscono le vecchie foglie verdastre. Le pozzanghere sulle strade diventano un prezioso nutrimento per stuoli di piccoli animali che, come anime perennemente in fuga, abitano la savana. Le euforbie giganti tendono le loro lunghe braccia al cielo blu cobalto, verniciato di soffici nuvole bianche.

Centinaia di persone, distese su sottili stuoie, sui pavimenti di terra battuta, nelle loro capanne, aspettano il canto del gallo al mattino, per iniziare la giornata. Risvegli senza acqua, senza elettricità, senza un fornello da accendere. Ma con lo squisito sapore del pane, cotto nella sabbia, e il te bollente con qualche goccia di latte. I bambini indossano l’uniforme scolastica azzurra. A cingere le spalle di giovani donne, dalla pelle levigata, regali kenta a fiori.

L’Africa ha lo straordinario potere di rinascere dalle proprie ceneri a Kigali, a Mogadiscio, a Bamako. La gente sopravvive strappando miglio e nutrimenti alla terra. Sulle rive dei fiumi, dove nei secoli sono fioriti villaggi e mercati di regni scomparsi, oggi vive un popolo di conciatori, pescatori, agricoltori e piccoli mercanti, con le loro necessità incolmabili e con i loro contrasti.

I piccoli samburu della savana, arrivano nella caotica Nairobi, con gli occhi ancora assonnati. Ad aspettarli nell’unico ospedale pubblico della grande città, i muzungu [“uomini senza pelle”: sono gli uomini bianchi, ndr]. E’ la seconda missione umanitaria in meno di un anno. La scorsa missione è stata tra novembre e dicembre scorsi e ha visto protagonisti 19 piccoli pazienti sottoposti a delicati interventi al cuore. Oggi questi bambini imitano i loro giocatori di calcio tra le acacie africane. Portano al pascolo il loro gruppetto di capre. E rassicurano i volti impauriti dei bimbi con il cuore malato, che aspettano pieni di speranza il loro turno in sala operatoria. Inconsapevolmente tinteggiano questa vita umanissima, in cui la felicità e l’infelicità camminano spesso abbracciate.

La lista operatoria riempie velocemente e con precisione decine di fogli bianchi. Sono i nomi dei bambini che aspettano il loro momento in sala operatoria. Da Oldonyiro, nel distretto di Isiolo, a nord del Kenya, i piccoli hanno viaggiato per 5 ore. Da Eldoret, nel distretto di Uasin Gishu, nelle regioni centrosettentrionali kenyane, si arriva a Nairobi dopo aver percorso 300 chilometri di strade sterrate.

Nell’ambulatorio di cardiologia del Kenyatta National Hospital di Nairobi, sono tutti in silenzio accanto all’ecocardiografo. Non ci sono genitori, non ci sono amici. Nessun bambino piange. Si tengono compagnia fra di loro. Si dividono la frutta. In terapia intensiva, finiti gli interventi, chiedono biscottini e yogurt. Dopo due giorni sono in piedi, in reparto, pronti a camminare scalzi, come nella savana.

Tetralogia di Fallot, difetto atrioventricolare, malattia valvolare: non importa quale sia la diagnosi. Dopo l’intervento l’elegante passo dei samburu riempie l’aria. Sotto il sole a picco dell’equatore. Sotto quel cielo che in Africa sembra più vicino alla terra. Nena News

 

Nena News Agency “KENYA. I bambini operati al cuore tornano a correre nella savana” – di Federica Iezzi

 

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GAZA. Sempre più critica la situazione sanitaria

Gaza City (Gaza Strip) 20 july 2014 – Massacre in Shujaya neighborhood

 

Nena News Agency – 12 luglio 2014

 

Gli ospedali sono vicini al collasso. L’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala l’insufficienza di forniture mediche e di carburante per i generatori autonomi di elettricità. Condizioni che non consentono di gestire l’ondata dirompente di feriti, mutilati e invalidi

 

Gaza3

 

di Federica Iezzi

Khan Younis, 12 luglio 2014, Nena News – L’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala la grave carenza nei serivizi sanitari palestinesi. Insufficienza di forniture mediche e di caburante per i generatori degli ospedali, rendono le strutture sanitarie della Striscia di Gaza inadatte a gestire l’ondata dirompente di feriti, mutilati e invalidi causata dall’offensiva aerea israeliana.

I risultati degli indiscriminati bombardamenti fanno salire ora dopo ora il numero di civili feriti, che si riversano caoticamente negli atri e negli affollati corridoi degli ospedali maggiori della Striscia. I pazienti arrivano negli ospedali in ambulanze, furgoni, auto private e taxi collettivi, senza nessuna forma di allertarmento. Il 23% sono bambini.

Attualmente almeno 250 palestinesi non hanno la possibilità di ricevere cure mediche adeguate, per la mancanza assoluta di letti e barelle nei centri di pronto soccorso. Bloccata le attività sanitarie in elezione.

Mancano farmaci di emergenza, antibiotici e antidolorifici, materiale monouso e materiale sterile. Mancano guanti, cateteri urinari, punti di sutura e attrezzature mediche diagnostiche. Crolla l’attività  dei laboratori. Pesante lo stato delle banche del sangue. Già in utilizzo le scorte di materiale, che diminuiscono severamente. Non ultime, mancano forniture di carburante medico-ospedaliero per fronteggiare le innumerevole ore in cui l’elettricità manca. Critiche le condizioni dei pazienti ammessi nei reparti di emergenza, nelle rianimazioni e nelle sale operatorie.

Nel centro della Striscia di Gaza, nei pressi dei campi profughi di al-Nussairat e al-Maghazi,  negli ultimi bombardamenti sono stati danneggiati un ospedale, tre cliniche secondarie e un centro di desalinizzazione di acqua. Secondo il portavoce del Ministero della Salute palestinese, Ashraf al-Qedra, mancherebbe il 30% dei farmaci essenziali per la cura dei feriti gravi. A Gaza rimane un’autonomia del 15% per il resto dei farmaci, utilizzati nelle cure croniche.

Il Primo Ministro palestinese, Rami Hamdallah e il Ministro della Salute palestinese, Jawad Awwad, hanno coordinato una spedizione via mare, dai territori cisgiordani, Ramallah e Nablus, di farmaci per cure croniche, come diabete e malattie renali, farmaci oncologici, soluzioni arteriose, sacche di sangue e materiale di laboratorio.

Il Qatar avrebbe donato 5 milioni di dollari per l’acquisto di forniture ospedaliere e per servizi di emergenza nella Striscia di Gaza. La donazione sarebbe stata annunciata da Muhammad al-Ummadi, membro del Ministero degli Esteri del Qatar, che presiede il Comitato per la ricostruzione della Striscia di Gaza.

Intanto il personale medico gazawi lavora senza sosta, con turni logoranti senza orari.

Tre giorni fa, l’European Gaza Hospital di Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza, ha subito danni durante un attacco aereo avvenuto a breve distanza. Un infermeire è stato ferito. Nonostante il barbaro perpetrarsi di bombardamenti senza preavviso su case, famiglie e bambini, nei pressi dell’ospedale, il personale sanitario continua a lavorare. Divisi in tre gruppi, medici e infermieri, coprono le 24 ore.

Ormai gli spostamenti sono diventati troppo pericolosi. Alcuni non riescono ad arrivare in ospedale perché vivono troppo lontani, per affrontare, senza rischi, il cammino a piedi. A molti mancano soldi per il trasporto pubblico. L’ospedale al-Shifa, nel distretto di Rimal a Gaza City, riceve ininterrottamente da quattro giorni feriti da schegge di proiettili – pare in qualche caso anche dalle operazioni di lancio dei razzi indirizzati dai miliziani palestinesi verso Israele – vittime dei martellanti bombardamenti e dei crolli degli edifici. I 12 letti della terapia intensiva dell’ospedale sono assiduamente occupati.

Da quando, giovedì, le autorità egiziane hanno aperto il valico di Rafah, dopo estenuanti pratiche burocratiche, solo 11 pazienti con ferite gravi hanno avuto il permesso di attraversare il confine tra Striscia di Gaza ed Egitto, in ambulanza. Chiuso nuovamente ieri dopo l’opera di allertamento degli ospedali egiziani più vicini a Rafah e quelli del Sinai settentrionale. Nena News

 

Nena News Agency “GAZA. Sempre più critica la situazione sanitaria” – di Federica Iezzi

 

Gaza Strip 21 july 2014 – AlJazeeza “Deaths as Israeli tanks shell Gaza hospital”

 

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SIRIA. Human Rights Watch: gruppi ribelli reclutano bambini

Nena News Agency – 26 giugno 2014

 

“Maybe we live and maybe we die” è l’ultimo report dell’organizzazione per i diritti umani. L’accusa è quella di assoldare minori di 14 anni nelle milizie che combattono per l’esercito governativo di Bashar al-Assad

 

Siria

 

di Federica Iezzi

Aleppo, 26 giugno 2014, Nena News – La pratica di arruolare al jihad bambini e ragazzi, di età inferiore ai 14 anni, di trascinarli in prima linea con le armi in spalla, era già stata documentata da Human Rights Watch già nel novembre 2012, in brigate affiliate all’Esercito Siriano Libero nelle città di Daraa e Homs. Ora nell’ultimo rapporto dell’organizzazione  a tutela dei diritti umani, pubblicato il 23 giugno, si documenta come i gruppi jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, l’Esercito Siriano Libero, il Fronte Jabhat al-Nusra, i gruppi armati di Yekîneyên Parastina Gel e le forze di polizia curde di Asayish,  reclutino sistematicamente ragazzi sopra i 15 anni, addestrandoli all’uso delle armi. Anche i bambini sotto i 14 anni vengono impiegati in ruoli di supporto, come tenere posti di blocco, spiare, occuparsi dei feriti o portare munizioni al fronte. Daraa, Aleppo, Damasco e il governatorato di Idlib sono le aree maggiormente coinvolte. I ragazzini sono soprattutto reclutati dai campi profughi nella provincia di Idlib e nelle aree di Hasakeh sotto il controllo curdo, e dai campi rifugiati fuori dal territorio siriano, in quello di Zaatari in Giordania, in Turchia, Libano e Kurdistan iracheno.

Il numero esatto di “bambini soldato” coinvolto nel conflitto siriano non è noto. Il Violations Documenting Center siriano, dal settembre 2011, ha dimostrato la morte di 194 bambini, arruolati nelle forze di opposizione al governo siriano.

La popolazione civile è la vera vittima del sangue versato in Siria. I siriani inermi sono gli unici a subire le peggiori violenze dall’esercito di Assad e dalle fazioni armate a lui avverse, che vanno dall’Esercito Siriano Libero, vicino al governo di transizione, a Jabhat al-Nusra, gruppo affiliato ad al-Qaeda, e all’ISIS, la formazione di animo jihadista oggi più spietata e meglio organizzata. I 25 ragazzini intervistati da HRW raccontano di essere entrati nei gruppi ribelli per seguire amici o parenti, dopo aver subito torture o detenzioni dal regime di Assad. Alcuni ricevendo addirittura un compenso mensile fino a 100 dollari e forniture alimentari, tra cui, olio, prodotti in scatola e cereali.

La mancanza della vita scolastica è una delle motivazioni per cui i ragazzini si avvicinano agli oppositori di Assad. Proposte letture e insegnamenti. I bambini ricevono in più, dai seguaci di Abu Bakr al-Baghdadi, lezioni sulla sharia’a, sulla cultura islamica e addestramento bellico, dalle tattiche militari all’uso delle armi. Dall’analisi dei più recenti dati dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), dell’UNDP (United Nations Development Programme) e del Syrian Centre for Policy Research, il 52% dei bambini in età scolare non può più frequentare le scuole, percentuale che in alcuni centri, come Al Raqqa e Aleppo raggiunge il 90%, in altri, come Damasco, sfiora il 70%. Alla fine del 2013, 4.000 scuole erano inagibili, distrutte, danneggiate gravemente o usate come rifugio per gli sfollati.

Secondo il II Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra e secondo lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, costringere ragazzi minori di 15 anni all’arruolamento è un crimine di guerra. Il governo siriano non ha mai ratificato il II Protocollo Aggiuntivo e mai aderito allo Statuto. Nel 2003 la Siria ha invece ratificato il Protocollo Opzionale, alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, che all’articolo 4 proibisce il reclutamento alle armi per i ragazzi di età inferiore ai 18 anni.

Nel marzo 2014, il report della Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta ONU sulla Siria parla di reclutamento di ragazzi di età inferiore ai 13 anni, anche da parte dell’esercito governativo siriano, usati nei checkpoint di Aleppo, Dara’a e Tartus. Nena News

 

Nena News Agency “SIRIA. Human Rights Watch: gruppi ribelli reclutano bambini” di Federica Iezzi

 

 

 

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