FOCUS ON AFRICA

#focusonafrica

Rubrica a cura di Federica Iezzi su Nena News Agency

International Labour Organization

Roma, 30 aprile 2022, Nena News – L’International Labour Organization (Ilo) stima che circa 100 milioni di ragazzine siano coinvolte nel lavoro minorile a livello globale. E un quinto delle ragazze africane entra precocemente nel mondo del lavoro. Oggi milioni di bambine sono spinte a diventare lavoratrici per prendersi cura di se stesse e delle proprie famiglie. Anche l’accattonaggio fa parte del lavoro minorile, che secondo la definizione dell’Ilo è un lavoro che priva i bambini della loro infanzia, delle loro potenzialità e della loro dignità.

Secondo lo studio “Begging for Change”, condotto dall’organizzazione Anti-Slavery International, non è raro trovare bambini costretti a mendicare per il loro bisogno di sopravvivere. E sono proprio le ragazze a correre rischi maggiori perché sono più vulnerabili allo sfruttamento sessuale e ad altre forme di abuso.

In Ghana le minorenni sono spesso spinte a lavorare al posto dei fratelli maschi in quanto i genitori di fatto considerano l’istruzione delle loro figlie un investimento scarso, dal momento che ci si aspetta che si sposino e lascino la famiglia. In altri casi, le ragazze vengono formate come domestiche, altra forma di lavoro considerata tra le occupazioni meno regolamentate. Lavorando nel buio delle singole case, le bambine sono spesso invisibili al mondo esterno e quindi particolarmente vulnerabili alla violenza, allo sfruttamento e agli abusi.

Per combattere il lavoro minorile femminile, il governo del Ghana ha implementato il National Plan of Action against Child Labor. Il programma, coordinato delle politiche di sviluppo economico e sociale del Ghana, in collaborazione con il Ghana Shared Growth and Development Agenda, dovrebbe fungere da quadro operativo per migliorare la protezione dei minori e per affrontare i livelli esorbitanti di disoccupazione giovanile nel Paese.

Settantacinque anni di brutale colonialismo europeo continuano ad avere un impatto devastante sulla Repubblica Centrafricana e hanno aperto la strada a molte delle difficoltà che il Paese continua ad affrontare oggi. Come lo sfruttamento del lavoro legato alla raccolta di caffè, cotone, gomma e altre risorse locali. Nella Repubblica Centrafricana esiste un quadro giuridico nazionale consolidato per la protezione dei diritti dell’infanzia e il Paese ha ratificato trattati internazionali chiave sui diritti dell’infanzia, tra cui il Child Rights Convention e l’African Charter on the Rights and Welfare of the Child.

Il Paese, tuttavia, non è parte della Convenzione dell’Aia del 1980, in materia di minori. Sembra esserci un’ampia mancanza di applicazione di queste leggi. Secondo l’Unicef, il 31% dei bambini dell’Africa centrale tra i 5 ei 17 anni lavora.

Il Sudafrica è un Paese di origine, transito e destinazione per la tratta di bambini. Anelli di traffico iniziano nelle zone rurali e maturano nei centri urbani come Bloemfontein, Cape Town, Durban e Johannesburg. Il Paese ha compiuto notevoli progressi per eliminare le più pesanti forme di lavoro minorile. L’adozione della Phase IV of the National Child Labor Program of Action for South Africa ha aumentato i finanziamenti per il Child Support Grant, destinati ai bambini vulnerabili.

Dal 1990, a livello internazionale e regionale, l’Angola fa parte della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, ratificata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Adottati anche i suoi Protocolli Opzionali. Tuttavia, la crisi economica derivante dal calo dei prezzi del greggio ha fatto sì che lo stato angolano abbia meno fondi da investire in programmi sociali per migliorare la situazione dei bambini e garantire il rispetto dei loro diritti, Nena News

Nena News Agency “PRIMO MAGGIO. Lavoro minorile femminile in Africa” di Federica Iezzi


International Crisis Group

Roma, 23 aprile 2022, Nena News

Somalia – Dal 1990 la Somalia è stata oggetto di ripetuti interventi esterni di rafforzamento dello Stato. Una serie di governi e organismi internazionali hanno cercato di ricomporre una sorta di autorità centrale sul territorio dell’ex Repubblica di Somalia. Tuttavia, la shari’a, la legge sacra della religione islamica, è rimasta nell’aria del Paese come un’ombra.

Le visioni coloniali dell’ordine legale tendono anche in Somalia a creare disordine e oppressione. I tentativi di centralizzare il potere si sono scontrati con idee alternative resilienti del diritto. Le leggi prodotte dallo Stato sono prive di legittimità agli occhi delle amministrazioni locali e le strutture che hanno lo scopo di far rispettare tali leggi sono spesso corrotte e arbitrarie.

La conseguenza è che oggi i somali vedono gli attuali sforzi di costruzione della governance, da parte delle agenzie internazionali, come i diretti successori dei precedenti interventi coloniali.

Il messaggio è chiaro. La stabilità e la pace non possono essere prodotte importando esperti legali per tenere seminari e consigliare processi legislativi. Devono basarsi su atti quotidiani di risoluzione delle controversie tra violenze e disordini.

In contesti come quello somalo, per il 99% musulmano sunnita, la flessibilità tra shari’a e stato di diritto diventa fondamentale. La shari’a è talvolta descritta come un vincolo indipendente, fisso e sacro al potere politico. Lo stato di diritto appare come qualcosa di molto diverso dal semplice ordine legale che attori esterni cercano di imporre. Lo stato di diritto, in senso più espansivo, può essere collegato al liberalismo politico e alla promozione dei diritti umani, dell’uguaglianza e della libertà.

Le tensioni tra queste due idee di stato sono significative. Ne è un esempio la storia dell’alto clero musulmano che ha energicamente denunciato le idee dei progressisti sul diritto di famiglia, introdotte dal regime dittatoriale di Siad Barre.

Una serie di leggi e politiche che promuovevano la parità di genere, tra cui il diritto di famiglia del 1975, con eredità, divorzio e poligamia. Gli sheikh si sono opposti al diritto di famiglia a causa della sua insistenza sull’uguaglianza di genere e non come semplice atto di resistenza alla dittatura. Quindi stavano affermando la propria inflessibile lettura della shari’a.

Entra nel grado di flessibilità della shari’a l’affascinante capitolo sulle donne attiviste della regione del Somaliland e il loro utilizzo della legge islamica come mezzo per affermare i diritti delle donne. In questo caso, la shari’a è stata usata per perseguire una particolare idea di diritto di protezione della donna, che si allineava con le attuali norme internazionali sui diritti umani.

Le attiviste hanno fatto affidamento sugli sheikh per ottenere interpretazioni e giudizi su delicati argomenti come la violenza contro le donne, i matrimoni precoci e le mutilazioni genitali femminili. Piuttosto che enfatizzare i diritti legali previsti dal diritto internazionale, le attiviste si sono concentrate sull’insegnamento di come l’uguaglianza per le donne sia compatibile con i principi dell’Islam.

Le democrazie occidentali tendono a proteggere con attenzione la separazione tra chiesa e Stato, ma molti Paesi a maggioranza musulmana sfidano le nozioni occidentali di islam e di legislazione secolare. I dittatori e gli amministratori coloniali europei hanno troppo spesso usato la shari’a per giustificare il loro potere.

Allo stesso modo la popolazione somala ha invocato il libro sacro dell’islam per resistere agli oppressori, espellere i signori della guerra, combattere per l’uguaglianza di genere e costruire un percorso verso il governo di legge. In molti oggi stanno reinterpretando, riaffermando e rivendicando le fonti della shari’a, sia che vogliano opprimere, sia che vogliano progredire. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Somalia tra shari’a e stato di dirittto” di Federica Iezzi


Yoruba

#antropologia

Roma, 16 aprile 2022, Nena News

Nigeria – Gli Yorùbá sono stati parte integrante della politica in Nigeria a partire dal 1914, dalle vicissitudini della politica delle lotte nazionaliste contro l’imposizione coloniale, alla politica di indipendenza e di costruzione della nazione, i valori tradizionali fondamentali e la visione filosofica. La giustizia per la popolazione Yorùbá è al centro della vita sociale, non importa quanto comunalista o individualista. E la famiglia rappresenta l’unità di base della vita sociale. Nella società Yorùbá tradizionale, il marito è il capofamiglia riconosciuto. In quanto tale, ci si aspetta che sia leale nei rapporti con la moglie e i figli, per non danneggiare la coesione familiare.

Questo livello di giustizia è direttamente proiettato sulla comunità e sulle relazioni gerarchiche. L’errata percezione della violazione gerarchica è stata al centro di vari disordini civili nello Yorùbáland pre-coloniale. Lottare è contro natura ed essere ostacolati da altri esseri umani è un ulteriore insulto che chiama la resistenza. Gli Yorùbá esprimono apertamente e coraggiosamente la loro opposizione a ciò che percepiscono come un’imposizione ingiusta di un dominio dagli strani costumi e convenzioni che calpestano di fatto la loro tradizionale vita sociale e politica.

Prima dell’incursione britannica in Africa, furono combattute numerose guerre civili tra gli Yorùbá a causa della percezione dell’ingiustizia. Ògún, il dio della giustizia Yorùbá, è venerato per il suo approccio intransigente alla sua responsabilità. Una credenza comune è che Ògún punirà chiunque infranga un voto o una promessa. L’idea è che chiunque si appropria indebitamente di qualcosa non la farà franca. Oltre alle situazioni di conflitto, gli Yorùbá fanno appello alla giustizia nella valutazione di specifiche realtà, come l’assegnazione di beni e servizi o la corruzione pubblica.

L’approccio tradizionale alla giustizia punitiva è al centro dell’attenzione. I valori morali tradizionali del popolo Yorùbá presuppongono una rete di relazioni tra individui concepite per essere metafisicamente eguali. Nonostante questa uguaglianza metafisica, è giustificato l’ordine gerarchico nella vita sociale, in risposta al bisogno sociale di stabilità e protezione comune.

Una delle basi per l’allontanamento di un capo è il tradimento della fiducia dei soggetti subalterni. La giustizia preserva il bene della vita sociale attraverso un sistema di aspettative reciproche: dalla società c’è l’aspettativa che ogni individuo contribuisca con i suoi sforzi alla stabilità e al progresso del gruppo. Dall’individuo, c’è l’aspettativa che i suoi bisogni vengano soddisfatti. Nei moderni contesti politici delle relazioni interetniche e delle implicite lotte per il potere, gli Yorùbá sono stati apparentemente guidati dai tradizionali appelli alla giustizia nel contesto delle relazioni sociali e politiche. Il dominio straniero si insinuò nello Yorùbáland nel 1861 con l’annessione di Lagos, che, un anno dopo, divenne una colonia formale della Gran Bretagna. Fu solo nel Nigerian Youth Movement (NYM) che il fascino yorùbá per la giustizia incontrò per la prima volta il Consiglio Legislativo nigeriano.

Alle porte dell’indipendenza, la Nigeria era una federazione di tre regioni: nord, ovest ed est, ciascuna con una nazionalità etnica maggioritaria e una miriade di nazionalità minoritarie le cui culture e lingue erano a grave rischio di estinzione. Il nord era a maggioranza fulani. L’occidente aveva gli Yorùbá e l’oriente aveva gli Igbo. Era chiaro che, per una questione di equità e giustizia, se il Paese non sostituiva il colonialismo esterno con il colonialismo interno, il posto delle minoranze etniche nella democrazia nigeriana veniva perduto.

Da un’onesta osservazione della politica della Nigeria dall’era coloniale è chiaro come l’acuto senso di giustizia che ha spinto gli Yorùbá a lottare contro l’imposizione coloniale, contro un traballante sistema federale, difendendo i diritti delle minoranze in tutto il Paese, ha invocato un vero sistema democratico. Che gli Yorùbá siano stati le voci principali nella lotta per la ristrutturazione nigeriana post-coloniale, è indubbio. È coerente con la loro avversione all’ingiustizia sociale e con la promozione dell’unità, evitando la marginalizzazione culturale ed economica. Nena News

Nena New Agency “Alla conoscenza degli Yorùbá” di Federica Iezzi


Roma, 9 aprile 2022, Nena News

Kenya – Negli ultimi anni, la democrazia in Africa ha tremato. Il ritorno dei colpi di stato militari in Guinea, Ciad e Mali, l’inefficace rivoluzione democratica in Sudan, i conflitti civili e la violenza politica in Etiopia e Somalia. In Uganda e Tanzania, elezioni libere ed eque si sono rivelate un obiettivo sfuggente.

È in questo ambiente febbrile che il Kenya si prepara ad affrontare i propri demoni elettorali. A partire dai sondaggi. A volte sono stati davvero strumenti per l’espressione della volontà popolare, come nel 2002, quando l’ex dittatore Daniel Arap Moi, successore di Jomo Kenyatta, perse contro il democratico Mwai Kibaki, leader della National Rainbow Coalition.

Solo cinque anni dopo, il Paese si è quasi fatto a pezzi a causa dei risultati elettorali contestati. Da allora, le elezioni sono diventate occasioni che ispirano grandi speranze di cambiamento e contemporaneamente una terribile paura dei risultati.

Gli ultimi due cicli elettorali presidenziali hanno visto questa dinamica all’opera. Sono ancora vividi i ricordi delle violenze etniche post-elettorali del 2007-2008 tra i due principali schieramenti politici, i Kikuyu del Partito di Unità Nazionale, guidati dal Presidente Mwai Kibaki, e i Luo del National Super Alliance (NASA), coalizione dei principali partiti all’opposizione, con a capo Raila Odinga.

Tensione alta anche nel 2013 durante le elezioni di presidente, membri del Parlamento, governatori regionali e dirigenti di 47 assemblee distrettuali. Nonostante le abbondanti prove, le elezioni non si svolsero nel rigoroso rispetto della legge e la neonata Corte Suprema, guidata dall’avvocato Willy Mutunga, fece di tutto per dichiarare valido il risultato. Così, Uhuru Kenyatta divenne presidente.

Nel 2017, l’offerta di Kenyatta per la rielezione è naufragata quando la Corte Suprema, guidata da David Maraga, giudice ultra-conservatore, ha annullato le elezioni per mancato rispetto della legge.

I tribunali kenyani negli ultimi anni hanno dimostrato coraggio nella difesa della Costituzione, frenando i tentativi di Kenyatta e di Odinga di cambiarla. I sondaggi presidenziali meno violenti sono stati nel 2002 e nel 2013, quando i limiti di mandato hanno impedito rispettivamente a Daniel Arap Moi e al suo successore Mwai Kibaki di candidarsi ancora.

Kenyatta affronterà la stessa barriera l’anno prossimo e la sua volontà di minacciare e cooptare istituzioni indipendenti rimane immutata. Ma Martha Koome, rinomata avvocata, difensora dei diritti umani e prima donna a capo della giustizia del Paese, ha mostrato poca voglia di combattere con l’esecutivo.

Il sostegno alla democrazia in tutto il continente rimane ostinatamente alto, secondo i sondaggi di opinione. L’avvento della democrazia multipartitica in Kenya nel 1992 ha portato all’etnicizzazione della politica, con i partiti che si uniscono attorno ai mediatori del potere tribale, e a un panorama politico in continua evoluzione, mentre le alleanze interetniche si formano e si disgregano.

In assenza di partiti basati su un’ideologia politica coerente, la strumentalizzazione delle identità tribali e la manipolazione delle lamentele etniche rimangono la base primaria della mobilitazione politica, con la seria minaccia della violenza. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Il Kenya a un anno dal voto per una politica sempre più etnicizzata” di Federica Iezzi


 

#humanrights

Roma, 2 aprile 2022, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – Le indagini della Corte Penale Internazionale si sono concentrate su presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi principalmente nella Repubblica Democratica del Congo orientale, nella regione dell’Ituri e nelle province del Nord e del Sud Kivu, dal luglio 2002.

L’inchiesta è stata aperta nel giugno 2004, dopo numerose segnalazioni di omicidi di massa, esecuzioni sommarie, stupri, torture, sfollamenti forzati, arruolamento di bambini soldato di età inferiore ai quindici anni.

Le prime due indagini hanno portato alle condanne di Thomas Lubanga Dyilo e di Germain Katanga, e all’assoluzione di Ngudojolo Chui. Ancora in corso un processo con 13 capi di imputazione per Bosco Ntaganda, comandante delle operazioni delle Forces Patriotiques pour la Libération du Congo (FPLC).

Lubanga, ex presidente dell’Union des Patriotes Congolais/Forces Patriotiques pour la Libération du Congo (UPC/FPLC), ha giocato un ruolo chiave nel conflitto dell’Ituri. E’ stato dichiarato colpevole nel 2012, per coscrizione di bambini nell’utilizzo attivo alle ostilità. E’ stata la prima persona mai arrestata in base ad un mandato di cattura della Corte Penale Internazionale.

Katanga, presunto comandante delle Force de résistance patriotique en Ituri (FRPI), ha raccolto quattro capi di imputazione per crimini di guerra: omicidio, aggressione a una popolazione civile, distruzione di proprietà e saccheggio, durante l’attacco al villaggio di Bogoro, nel distretto di Ituri.

Uganda – Obiettivo della Corte Penale Internazionale in Uganda sono i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità nel nord del Paese a partire dal 2002, perpetrati dal Lord’s Resistance Army (LRA), di matrice cristiana, e dall’autorità di stato.

Tutti i sospettati sono rimasti latitanti per un decennio, fino all’arresto di Dominic Ongwen. Ancora ricercati membri di spicco dell’LRA, quali Joseph Kony, fondatore del gruppo ribelle, e Vincent Otti.

Solo lo scorso febbraio la Trial Chamber IX della Corte Penale Internazionale, ha dichiarato colpevole Ongwen, comandante di brigata dell’LRA, complessivamente di 61 capi d’accusa legati a crimini di guerra. Dominic Ongwen aveva circa 10 anni quando fu rapito e immediatamente arruolato nell’LRA. La richiesta di appello si basa proprio sul presunto disturbo da stress post-traumatico e su quello dissociativo dell’identità dell’ex comandante, costretto da bambino a subire abusi dall’LRA.

Sudan – Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, parlando del Darfur nel 2002, stabilì che la situazione in Sudan continuava a costituire una pesante minaccia per la pace e la sicurezza internazionali.

La Corte Penale Internazionale entra in Sudan per le accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nella regione occidentale del Darfur.

Il rapporto della Commissione internazionale d’inchiesta sul Darfur parla apertamente di atti di genocidio. Secondo le stime delle Nazioni Unite 1,65 milioni di sfollati interni e più di 200.000 rifugiati nel vicino Ciad, sono le cifre che soffocano la regione.

Le indagini della Corte Penale Internazionale coinvolgono funzionari del governo sudanese, leader della milizia filogovernativa Janjaweed e membri del gruppo ribelle United Resistance Front.

Omar al-Bashir è il primo presidente ad essere accusato dalla Corte Penale Internazionale per il crimine di genocidio.

Il primo mandato di cattura per al-Bashir è stato emesso nel 2009, il secondo l’anno successivo. L’ex autocrate, che è in carcere a Khartoum da quando è stato deposto nell’aprile 2019, oggi è ancora latitante per la Corte Penale Internazionale e il suo caso è rimasto nella fase istruttoria.

Repubblica Centrafricana – Sono due le indagini della Corte Penale Internazionale portate avanti in Repubblica Centrafricana. La prima ha come obiettivo crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel contesto del conflitto a cavallo del 2002 e 2003. Il secondo si concentra sul genocidio che ha coinvolto i gruppi musulmani Séléka e i gruppi cristiani anti-balaka, le cui violenze hanno provocato migliaia di morti tra la popolazione civile e centinaia di migliaia di sfollati.

La violenza sessuale è stata il tema portante del conflitto del 2002. E il principale protagonista fu Jean-Pierre Bemba Gombo, vice presidente della Repubblica Democratica del Congo e comandante del Mouvement de libération du Congo (MLC).

Nel 2018 la Appeals Chamber della Corte Penale Internazionale ha discutibilmente ribaltato la sentenza di primo grado che nel 2006 aveva condannato all’unanimità Bemba per crimini contro l’umanità commessi dalle milizie ai suoi comandi, nel corso delle operazioni militari intraprese in Repubblica Centrafricana.

Kenya – Il Kenya ha ratificato lo Statuto di Roma nel 2005, dunque la Corte Penale Internazionale sta ancora indagando su presunti crimini contro l’umanità commessi nel contesto delle violenze post-elettorali in Kenya nel 2007 e 2008, in sei province kenyane: Nairobi, North Rift Valley, Central Rift Valley, South Rift Valley, Nyanza Province and Western Province. Gli scontri videro fronteggiarsi gli appartenenti ai due principali partiti politici, ovvero il Party of National Unity, guidato dal rieletto presidente Mwai Kibaki, e l’Orange Democratic Movement, guidato da Raila Odinga.

Nell’accogliere la richiesta del pubblico ministero di aprire un’indagine, la camera preliminare della Corte Penale Internazionale ha preso atto della gravità e dell’entità della violenza. Oltre 1.000 persone sono state uccise, ci sono stati oltre 900 atti di stupro e violenza sessuale documentati, circa 350.000 civili sono stati sfollati e oltre 3.500 sono stati gravemente feriti.

Ai dibattuti crimini contro l’umanità, si è aggiunto il mandato di arresto nei confronti del giurista kenyano Paul Gicheru, emesso dalla Pre-Trial Chamber II, per reato di intralcio all’amministrazione della giustizia, tramite corruzione e tentata corruzione di testimoni.

Questa è stata la prima situazione in cui la procura ha aperto un’indagine proprio motu.

Libia – Nel 2011, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deferito la situazione in Libia alla Corte penale internazionale nella risoluzione 1970/2011. Condannate la violenza e l’uso della forza contro i civili, la grave e sistematica violazione dei diritti umani, del governo Gheddafi.

La Camera preliminare I ha classificato gli attacchi diffusi e sistematici contro la popolazione civile come crimini contro l’umanità, nell’ambito di un conflitto armato di carattere non internazionale. Ha sottolineato la necessità di rispettare le libertà di riunione pacifica e di espressione, compresa la libertà di stampa.

L’esercito di Haftar è indicato nel rapporto dell’Aia come tra i responsabili di gravi violazioni.

Il governo libico ha riaffermato la giurisdizione dei tribunali del Paese per perseguire tutti gli accusati in conformità con il codice penale, che riflette la sovranità della Libia sui suoi cittadini e sul territorio.

I tre sospetti implicati negli attuali casi attivi del pubblico ministero includono Saif al-Islam Gheddafi, figlio di Muammar Gheddafi, per il suo presunto ruolo negli attacchi ai civili durante la rivolta del 2011, Mahmoud al-Werfalli, comandante del Libyan Special Forces, e Al-Tuhamy Mohamed Khaled, ex capo dell’Internal Security Agency libica.

Costa d’Avorio – L’indagine della Corte Penale Internazionale si è concentrata su presunti crimini contro l’umanità commessi durante le violenze post-elettorali del 2010-2011, che hanno provocato almeno 3000 decessi. Le violenze post-elettorali sono scoppiate tra le forze pro Laurent Gbagbo e le forze pro Alassane Ouattara.

La Costa d’Avorio, all’epoca non aderente allo Statuto di Roma, aveva accettato la giurisdizione della Corte Penale Internazionale. Nel 2011, la III Sezione Preliminare ha accolto la richiesta della procura di aprire un’indagine proprio motu sulla situazione in Costa d’Avorio.

Gli attacchi diretti contro la popolazione civile in Costa d’Avorio sono stati diffusi e sistematici, e hanno compreso raid condotti contro le sedi del partito avversario, uso eccessivo della forza in aree densamente popolate per disperdere i manifestanti, e violenze ai posti di blocco militari.

La Corte Penale Internazionale lo scorso marzo ha confermato la completa assoluzione dell’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo.

Mali – Il Mali ha deferito alla Corte Penale Internazionale la situazione nel suo territorio dal gennaio 2012.

Le indagini in Mali si sono concentrate su presunti crimini di guerra commessi dal gennaio 2012, principalmente nelle tre regioni settentrionali di Gao, Kidal e Timbuktu, con incidenti avvenuti anche nel sud a Bamako e Sévaré.

Nel 2012 la situazione in Mali è stata caratterizzata da due eventi principali. In primo luogo, l’emergere di una ribellione armata nel Nord e, in secondo luogo, un colpo di stato da parte della giunta militare, che ha portato alla destituzione del presidente Amadou Toumani Touré, poco prima che potessero aver luogo le elezioni presidenziali.

Ahmad Al Faqi Al Mahdi, presunto membro di Ansar Eddine, movimento associato ad al-Qaeda nel Maghreb islamico, è stato riconosciuto colpevole nell’aver diretto intenzionalmente attacchi contro edifici religiosi e storici a Timbuktu.

Sotto la custodia della Corte è Al Hassan Ag Abdoul Aziz, capo de facto della polizia islamica, coinvolto negli attacchi da parte del gruppo Ansar Eddine a Timbuktu.

Burundi – Nella sua decisione di autorizzare un’indagine, la Pre-Trial Chamber III della Corte Penale Internazionale ha trovato una base ragionevole per ritenere che agenti statali insieme a membri dell’Imbonerakure, l’ala militante giovanile del partito al potere (CNDD-FDD, Conseil National pour la Défense de la Démocratie-Forces pour la Défense de la Démocratie), abbiano lanciato un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile del Burundi.

L’attacco ha preso di mira gli oppositori del partito al governo dopo l’annuncio, nell’aprile 2015, secondo il quale il presidente Pierre Nkurunziza si sarebbe candidato per un terzo mandato. Sono state uccise più di 1200 persone, almeno 3.400 sono stati gli arresti e le detenzioni arbitrarie e oltre 230.000 civili sono stati costretti a cercare rifugio nei Paesi vicini.

Nel settembre 2016, l’indagine indipendente delle Nazioni Unite in Burundi (UNIIB) ha pubblicato il suo rapporto finale su quella che ha definito una situazione di ‘modelli di violazioni diffusi e sistematici’ nel Paese. Nell’ottobre 2017, il Burundi è diventato il primo Paese a recedere dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. La Corte Penale Internazionale e l’Africa” di Federica Iezzi


Red Terror Martyrs Memorial Museum - Addis Ababa

#analisi

Roma, 26 marzo 2022, Nena News – Provengono da Etiopia e Ruanda i due esponenti africani ricercati ancora oggi per crimini contro l’umanità. Si tratta dell’ex dittatore etiope Mènghistu Hailé Mariàm e il ruandese Protais Mpiranya, ex comandante del Rwandan Presidential Guard, con un ruolo chiave nel genocidio delle minoranze tutsi e hutu moderati.

Il Negus Rosso, responsabile del Qey Shibir, il terrore rosso, condannato a morte nel suo stesso Paese nel 2008, ha vissuto negli ultimi 30 anni una vita agiata ad Harare, come consulente per la sicurezza del governo, protetto da Robert Mugabe. Quando arrivò in Zimbabwe nel 1991, Mènghistu era appena fuggito dall’Etiopia dopo 14 anni di regno alla testa di un brutale regime marxista-leninista.

Il suo comitato militare, il Derg, era noto per la crudeltà nella campagna di assassini e esecuzioni degli oppositori politici, soprattutto sostenitori dell’Ethiopian People’s Revolutionary Party (Eprp).

La sistematica uccisione di persone sospettate di essere membri dell’Eprp, iniziò nel settembre 1976. Arresti, detenzioni amministrative senza processo, torture e sparizioni erano le armi. Nessuno conosce il numero esatto di deceduti, arrestati o costretti a fuggire all’estero. Almeno 10mila furono uccisi nella sola Addis Abeba nel 1977 e probabilmente un numero comparabile nelle altre province. L’obiettivo principale del terrore rosso era la generazione di persone urbane con almeno un’educazione minima.

Dopo la caduta del Derg nel 1991, l’Eprp al potere iniziò un ambizioso progetto per assicurare alla giustizia i membri del regime di Mènghistu. Nel 1997, più di 5mila persone implicate nel terrore rosso in Etiopia sono state arrestate o condannate in contumacia.

Negli anni ’80, Mènghistu aveva sostenuto Mugabe e il suo movimento di guerriglia per l’indipendenza in quella che era ancora chiamata Rhodesia del Sud. Mugabe in cambio ha offerto a Mènghistu passaporto diplomatico e immunità.

Da quando Félicien Kabuga, il finanziere del genocidio ruandese, è stato arrestato in Francia nel 2020, ed è stata annunciata la morte dell’ex ministro della Difesa del Rwanda, Augustin Bizimana, il nome di Protais Mpiranya è volato in cima alla lista dei ricercati.

Accanto a lui ci sono gli altri cinque rwandesi (Fulgence Kayishema, Charles Sikubwabo, Aloys Ndimbati, Charles Ryandikayo, e Pheneas Munyarugarama) ancora indagati dall’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals, nominato a svolgere le residue funzioni del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, formalmente chiuso nel dicembre 2015.

L’ex comandante della guardia presidenziale ruandese, sospettato di aver svolto un ruolo di primo piano nel genocidio del 1994, è anche oggetto di un avviso di ricerca internazionale dell’Interpol e del Dipartimento di Stato americano. Mpiranya gode di un alto livello di protezione nell’Africa meridionale, dove ha cercato rifugio.

Per lungo tempo ha beneficiato del regime di Mugabe e delle autorità sudafricane. È stato inviato in Zimbabwe come rappresentante delle Democratic Forces for the Liberation of Rwanda, milizia composta da ex hutu implicati nel genocidio. Si è poi spostato impunemente tra Zimbabwe, Swaziland, Lesotho e Sudafrica.

In fuga da 20 anni, accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità, nonché mandante dell’omicidio dell’allora primo ministro Agathe Uwilingiyimana, Mpiranya è il maggior ricercato dei sei latitanti rimasti, incriminati da un tribunale internazionale, per il massacro del 1994 che ha provocato circa 800mila morti. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Crimini contro l’umanità, due ricercati niente giustizia” di Federica Iezzi


Somalia_ UN Women

#analisi

Roma, 19 marzo 2022, Nena News

Somalia – Nel luglio 2011 le Nazioni Unite dichiararono una carestia in Somalia che attirò immediatamente l’attenzione mediatica. Sebbene l’annuncio delle Nazioni Unite abbia contribuito a mobilitare governi in tutto il mondo, la comunità internazionale ha percepito che fosse arrivato troppo tardi, portando a un preoccupante ritardo nell’assistenza umanitaria. Si stima che circa 258.000 persone abbiano perso la vita a causa del ritardo dell’azione globale.

Alla fine del 2016 sono stati dichiarati avvisi di un’altra potenziale carestia, sollevando campanelli d’allarme nelle lussuose capitali dei donatori. I ricordi dei tragici eventi del 2011 erano ancora freschi. Questo ha aiutato a mobilitare fondi più celermente, anche se i decessi hanno già raggiunto la quota di 45.000. Osservazioni e rapporti pubblici confermano prove sufficienti per suggerire che una parte significativa della popolazione somala sta affrontando una grave crisi alimentare.

La carestia del 2011 era stata causata da una combinazione di fattori, tra cui siccità consecutive, prezzi alimentari elevati a livello globale e interno e un raccolto di grano locale molto scarso.
Anche la politica ha giocato un ruolo fondamentale. All’epoca il gruppo militante, al-Shabab, era impegnato nel conflitto con il nascente governo somalo e i suoi sostenitori internazionali, azioni che hanno limitato la portata degli aiuti umanitari alle regioni remote del Paese.

Oggi, analogamente a quanto accaduto nel 2011, si sono verificati almeno due gravi cali consecutivi di pioggia, combinati con un raccolto di grano molto scarso. Inoltre, la Somalia è scossa dall’instabilità politica e dal conflitto, che continua a rallentare la risposta umanitaria e ridurre la disponibilità e la distribuzione dei fondi. Nel 2011, aziende e leader religiosi in Somalia, sono stati molto attivi nella mobilitazione di investimenti e nell’invio di risorse alla popolazione martoriata. Le stesse moschee erano diventate, ad esempio, canali per raccogliere fondi dall’estero.

Oggi stanno emergendo queste stesse dinamiche, questi stessi modelli di mobilitazione sociale e migrazione.

L’epicentro dell’attuale siccità sembra trovarsi in quello che è noto come il Triangolo Mandera, dove si incontrano le terre di Etiopia, Somalia e Kenya. Ma ci sono anche altre aree che soffrono, su entrambi i lati del confine tra Somalia e Kenya o nel Southwest State somalo.

In queste aree, dopo il fallimento quasi totale delle piogge stagionali, mandrie di bovini sono già state decimate e che la raccolta di fondi, soprattutto per il trasporto di acqua e cibo, tra le imprese somale e le comunità della diaspora, è iniziata almeno sei mesi fa.

Nel nord dello Jubaland, molte persone si stanno riversando nelle città dalle campagne in condizioni disperate.

La situazione non è differente nel Puntland, regione a nord-est della Somalia. I leader religiosi stanno attualmente mobilitando la comunità imprenditoriale e il governo per raccogliere fondi e sostenere le popolazioni rurali. Sebbene il Puntland non sia nell’epicentro della siccità e sia un’area più stabile con una notevole capacità di risposta, sta subendo gli effetti della grave crisi.

Un’azione tempestiva oggi può contribuire a creare un precedente per la prevenzione della carestia, che dovrebbe essere stabilita poi come risposta umanitaria standard, soprattutto in considerazione delle proiezioni relative al cambiamento climatico nel Corno d’Africa. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Crisi alimentare in Somalia” di Federica Iezzi


#analisi

Roma, 12 marzo 2022, Nena News

Etiopia – Solo due anni fa, l’Etiopia rientrava nel gruppo delle ‘buone notizie’. Il primo ministro Abiy Ahmed – vincitore del premio Nobel per la Pace per la fine del conflitto con l’Eritrea – sembrava voltare pagina su decenni di governo repressivo. Invece oggi l’Etiopia entra nell’elenco dell’International Crisis Group, dopo più di un anno di combattimenti tra l’esercito federale di Abiy e le forze della regione settentrionale del Tigray, che hanno dilaniato l’intero Paese.

Le dinamiche del conflitto si sono drammaticamente intensificate. Abiy ha colpito per la prima volta il Tigray nel novembre 2020, a seguito di un attacco a una guarnigione militare da parte del Tigray People’s Liberation Front (Tplf). Le forze federali, supportate dalle truppe eritree, avanzarono rapidamente insieme ai militari della regione etiope di Amhara.

Nei mesi successivi, i leader del Tplf hanno mobilitato i tigrini, allontanando i nemici dalla maggior parte del territorio del Tigray. Hanno quindi formato una fruttuosa alleanza con i ribelli della popolosa regione centrale etiope dell’Oromia, in vista di un assalto alla capitale Addis Abeba.

Una successiva controffensiva delle truppe federali e della milizia alleata, costrinse le forze del Tigray a ritirarsi nella loro regione d’origine. Combattimenti violenti hanno inasprito una disputa che gode di solide basi. Abiy dipinge i leader del Tplf come elementi decisi a distruggere la sua visione modernizzata del Paese. Al contrario, i leader del Tigray chiedono fermamente l’autonomia regionale.

I combattimenti hanno già ucciso decine di migliaia di persone e sradicato milioni di etiopi dalle loro abitazioni. Gran parte del Tigray, a cui sono stati negati gli aiuti dalle autorità federali, si sta avvicinando alla carestia.

I recenti sviluppi sul campo di battaglia potrebbero aver aperto una piccola finestra. I leader del Tigray hanno abbandonato una condizione chiave per i colloqui, quella che le forze di Amhara lascino le aree contese che hanno conquistato nel Tigray occidentale. Alla fine dello scorso dicembre, le autorità federali hanno rinunciato ad un’avanzata verso i territori del Tigray, come fragile compromesso.

La militanza islamista in Africa – Tra i conflitti da osservare nel 2022, la militanza islamica in Africa occupa un posto di rilievo secondo l’ultimo report dell’International Crisis Group. Gli Stati deboli lottano contro agili fazioni militanti in un vasto entroterra dove i governi centrali hanno poca influenza.

Particolarmente preoccupante rimane la situazione in Sahel, in cui la portata dei combattimenti si è estesa dal nord del Mali, al Niger e alle aree più rurali del Burkina Faso. L’insurrezione del movimento Boko Haram ha fratturato le zone della Nigeria nord-orientale e quelle intorno al lago Ciad.

Nell’Africa orientale, al-Shabab rimane una forza potente, nonostante gli oltre 15 anni di conflitto. Il gruppo detiene gran parte del sud rurale della Somalia e gestisce tribunali ombra.

Sono da osservare anche i nuovi fronti jihadisti nel Mozambico settentrionale e nella Repubblica Democratica del Congo orientale. Gli insorti, che rivendicano una nuova provincia dello Stato Islamico nella regione di Cabo Delgado in Mozambico, hanno intensificato gli attacchi verso forze di sicurezza e popolazione civile. Quasi un milione di persone sono fuggite a causa dei combattimenti.

Dallo scorso novembre, una fazione delle Forze Democratiche Alleate, milizia ugandese che opera da tempo in Congo, è attiva nel nord-ovest del Paese.
Solo lo scorso anno, il governo del Mozambico ha finalmente accettato di far entrare a Cabo Delgado unità rwandesi della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), invertendo le conquiste dei ribelli.

In Somalia e nel Sahel l’impazienza occidentale potrebbe essere decisiva. Le forze straniere, la missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom), le forze francesi e altre forze europee nel Sahel rimangono alleate contro i jihadisti. Eppure le operazioni militari spesso alienano la gente del posto ed erodono ulteriormente le relazioni tra loro e le autorità statali.

L’approccio incentrato sull’esercito ha per lo più generato più violenza. Se gli sforzi stranieri si esaurissero, le dinamiche del campo di battaglia si sposterebbero senza dubbio a favore dei militanti. In Somalia, al-Shabab potrebbe prendere il potere a Mogadiscio proprio come hanno fatto i talebani a Kabul.

La Somalia ad esempio ha bisogno di riparare le relazioni tra le élite. I governi del Sahel devono migliorare i loro rapporti con i cittadini nelle aree rurali. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. I due anni terribili dell’Etiopia, dal Nobel alla guerra” di Federica Iezzi


#analisi

Roma, 5 marzo 2022, Nena News – Emmanuel Macron si è impegnato a consolidare i rapporti tra Francia e Africa. Già nel 2017, ha visitato la nuova sede dell’università della capitale del Burkina Faso, Ouagadougou, dove ha tenuto un discorso annunciando una nuova politica francese incentrata sui giovani africani.

L’obiettivo era quello di creare un nuovo legame con l’Africa francofona e anglofona, riconoscendo anche i traumi che il colonialismo francese aveva causato. Quattro anni dopo, lo scorso ottobre, ha ospitato a Montpellier il New France-Africa Summit, evento chiave nella nuova direzione delle relazioni afro-francesi. A moderare il vertice, l’intellettuale e filosofo camerunese Achille Mbembe.

Nella tavola rotonda, i giovani imprenditori africani hanno accusato Macron di perpetuare le politiche neocoloniali francesi in Africa. Hanno citato come esempio il sostegno della Francia a Mahamat Idriss Déby, il nuovo leader del Ciad. Le forme di alleanze personali con uomini forti africani iniziarono con il presidente Charles De Gaulle (1959-1969) e raggiunsero l’apice sotto Georges Pompidou (1969-1974).

Il nuovo approccio di Macron, incentrato sulla diplomazia culturale, non è una novità. Fu provato negli anni ’50 senza successo. Un buon risultato sembra purtroppo improbabile anche questa volta. Questo perché è in disaccordo con la visione del mondo degli africani, fatto di imperialisti e anticolonialisti, dove viene costantemente evidenziata la necessità della decolonizzazione come elemento fondamentale per una sana società.

Dopo il 1945, membri della società civile africana iniziarono a rivendicare politiche e accordi con Parigi. Il Madagascar fu vittima di una violenta rivolta nazionalista contro la Francia tra il 1947 e il 1948. Dakar, la capitale del Senegal, divenne l’epicentro dell’attivismo anticoloniale man mano che i sindacati divennero più politicizzati.

Come risposta, la cultura francese entrò prepotentemente nei centri culturali soprattutto dell’Africa occidentale. Tutto, parte di un piano per diffondere la cultura francese come scala verso la modernità e verso una posizione sociale più elevata. Quella che negli anni ’50 veniva chiamata modernizzazione. Oggi ribattezzata da Macron come imprenditorialità.

Nell’ottobre 1955, Léopold Senghor, primo ministro responsabile per le questioni culturali internazionali nel governo francese di Edgar Faure, poi presidente del Senegal, organizza una serie di incontri a Lagos, in Nigeria. Il viaggio di uno dei principali intellettuali del movimento letterario Négritude, doveva rinvigorire il legame tra la cultura francese e quella africana.

Senghor considerava Négritude un mezzo per avviare la modernizzazione. L’insegnamento della lingua francese era fondamentale poiché facilitava e aumentava la mobilità sociale delle classi inferiori, verso luoghi di ‘innovazione e immaginazione’.

Alla fine degli anni ’50, i diplomatici francesi credevano addirittura di avere qualcosa di prezioso da offrire e si aspettavano un forte sostegno politico. Pertanto, istituzioni come università, centri culturali e scuole, in luoghi come Dakar e Accra dovevano subire grandi evoluzioni. Mettendo in primo piano i servizi che la Francia poteva offrire, il ministero degli esteri francese voleva evitare di ferire l’apice dell’orgoglio nazionalistico africano, mentre si correva verso il 1960, anno in cui ben 17 Paesi francofoni divennero indipendenti.

Le circostanze internazionali odierne sono molto simili al decennio successivo alla seconda guerra mondiale, quando sovietici, americani, britannici e altri nazionalisti africani hanno premuto per guadagnare terreno. Oggi, la crescita economica dell’Africa e l’espansione dell’influenza politica hanno attratto partner esterni impazienti di costruire relazioni con il continente. E molti membri della società civile africana non apprezzano l’interferenza francese. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. La strategia culturale di Macron per non perdere il Sahel” di Federica Iezzi


#analisi

Roma, 26 febbraio 2022, Nena News – Con una proroga di tre mesi, la Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM) continua per il 14esimo anno il suo mandato nel Paese africano senza però alcuna prospettiva di modernizzazione.

Nonostante i risultati contrastanti, l’AMISOM è essenziale per mantenere una certa stabilità in Somalia. Un ritiro frettoloso incoraggerebbe l’insurrezione islamista di al-Shabaab e potrebbe far precipitare di nuovo il Paese nel caos.

Ma i donatori sono sempre più riluttanti a finanziare una missione che negli ultimi anni ha fatto pochi progressi contro i militanti. I partner dell’AMISOM dovrebbero dunque utilizzare la proroga per elaborare un piano di riconfigurazione per far fronte alle carenze e incoraggiare la riconciliazione tra Mogadiscio e i suoi avversari interni.

L’AMISOM opera in Somalia principalmente per proteggere il governo federale di Mogadiscio dall’insurrezione islamista di al-Shabaab. Nei suoi primi anni, la missione ha eliminato la presenza di al-Shabaab dai centri urbani chiave, creando spazio per le élite somale di costruire istituzioni e un sistema politico democratico.

Oggi AMISOM intraprende meno offensive e agisce maggiormente come forza di tenuta poiché l’esercito somalo, debole e lacerato dalle divisioni, non è in grado di mantenere le aree riconquistate.

La politica somala è una parte preponderante del problema, con le controversie tra Mogadiscio e le unità subnazionali note come Federal Member States.

E’ necessario dunque un lavoro diplomatico verso un compromesso che preveda un piano AMISOM riconfigurato Ciò fornirebbe spazio alla missione per portare la Somalia attraverso un intero mandato presidenziale e il ciclo elettorale successivo, dando ai leader il tempo di attuare le riforme necessarie.

La priorità assoluta dovrebbe essere il rafforzamento dei legami tra il governo federale della Somalia e gli Stati membri, che minano gli sforzi per costruire un esercito nazionale efficace. La riconciliazione e il regolare impegno tra queste sfere di influenza sono essenziali per compiere progressi su una costituzione provvisoria.

Le relazioni tra l’amministrazione somala e l’AMISOM sono state difficili, a volte riflettendo una più ampia animosità tra il governo federale e l’Unione Africana.

L’AMISOM non è l’unico attore di sicurezza esterna in Somalia. L’Etiopia schiera truppe bilateralmente, oltre a quelle che mantiene all’interno dell’AMISOM. Il suo governo sostiene l’amministrazione del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed. Allo stesso modo, il Kenya schiera forze al di fuori del comando della missione. Forniscono supporto e formazione alle forze somale, anche Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea e Turchia.

Mentre l’AMISOM è riuscita a liberare le città dai militanti di al-Shabaab, questi ultimi dominano ancora la maggior parte delle zone rurali della Somalia centro-meridionale.

Al-Shabaab ha notevoli capacità di intelligence che negli ultimi anni gli hanno permesso di reinfiltrarsi gradualmente nei centri urbani. Il governo somalo ha delineato un trasferimento graduale della responsabilità della sicurezza dalle truppe dell’AMISOM alle forze nazionali nel Somali Transition Plan. Rimane difficile il mantenimento della linea contro al-Shabaab. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Somalia, le perplessità sull’AMISOM” di Federica Iezzi


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Roma, 19 febbraio 2022, Nena News

Malawi – Il Malawi ha dichiarato un focolaio di poliomielite, dopo che un bambino ha sviluppato la malattia con la variante selvaggia del virus, a Lilongwe nella capitale del Paese.

Il ceppo trovato nel bambino a Lilongwe è stato collegato ad un ceppo circolante in Pakistan, dove il virus rimane endemico, secondo quanto dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

L’ultimo caso di virus della polio selvaggia in Africa è stato identificato nel nord della Nigeria nel 2016. E il continente è stato dichiarato libero dalla poliomielite nell’agosto 2020. Dal 1988, i casi mondiali di virus sono diminuiti del 99%, da oltre 350.000 a soli cinque casi in Afghanistan e Pakistan l’anno scorso. Ma al momento la malattia rimane endemica in Pakistan e in Afghanistan.

E’ evidente come finché la polio selvaggia esiste in un qualsiasi angolo del mondo, tutti i Paesi rimangono a rischio di importazione del virus.

Intanto in Malawi sono già state messe in atto misure urgenti per prevenire la potenziale diffusione della malattia e il team di risposta rapida della Global Polio Eradication Initiative (GPEI) é già al lavoro.

Mali – Le assordanti richieste di un’uscita francese dal Mali sono state finalmente ascoltate nell’Eliseo. Il presidente Emmanuel Macron ha annunciato il ritiro dell’esercito francese e della forza europea guidata da Parigi, nota come Takuba, dopo quasi un decennio di combattimenti contro l’aggravarsi della rivolta armata ribelle.

Dunque le basi militari nelle città di Gossi, Ménaka e Gao saranno chiuse entro quattro/sei mesi.

La Francia ha trasformato il suo intervento militare del 2013 in una complessa missione antiterrorismo chiamata Operazione Barkhane, che è diventata la più lunga operazione militare francese d’oltremare, dalla fine della guerra d’Algeria. Più di 5.000 soldati rimangono sparsi in Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. Sono stati accompagnati dalla missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite MINUSMA, dalla forza Takuba e dalla EU Training Mission (EUTM).

Nonostante la presenza di truppe organizzate, vari gruppi armati legati ad al-Qaeda si sono moltiplicati, sfruttando l’insoddisfazione locale e le carenze di sicurezza nelle aree sottogovernate del Sahel, per scatenare violenze in tutta la regione.

Così nelle strade del Paese è esplosa la frustrazione diffusa sia contro l’élite politica corrotta che contro la Francia, per non aver affrontato la crisi legata alla sicurezza. Il Mali ha deciso dunque di schierare mercenari del gruppo Wagner, legato alla Russia.

Niger – Il presidente Mohamed Bazoum ha dichiarato che il Niger ha accettato il dispiegamento sul suo territorio delle forze speciali francesi ed europee per rafforzare la sicurezza sui confini. L’obiettivo é quello di combattere i gruppi armati che operano nella parte occidentale della regione africana del Sahel.

I commenti di Bazoum sono arrivati dopo che Francia e alleati europei hanno annunciato il ritiro delle truppe dal Mali. Si prevede che circa 2.400 soldati francesi che facevano parte delle forze dispiegate in Mali per combattere i gruppi legati ad al-Qaeda e circa 900 forze speciali della task force Takuba a guida francese, lasceranno il Mali nei prossimi mesi.

Il Niger, insieme a Mali e Burkina Faso, ha lottato duramente per contenere i gruppi armati che hanno ucciso centinaia di persone, che hanno creato milioni di sfollati interni e che hanno reso ingovernabili grosse aree di territorio nel Sahel. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Ritiro francese in Mali, focolaio poliomielite in Malawi” di Federica Iezzi


Roma, 12 febbraio 2022, Nena News – La riammissione di Israele nell’Unione Africana come osservatore non è stata ancora confermata poiché alcuni Paesi membri hanno sollevato obiezioni. Al momento l’Unione Africana ha dunque sospeso il dibattito sull’opportunità di ritirare l’accreditamento di Israele come osservatore. Israele si prepara adesso ad aprire un nuovo capitolo della sua lunga relazione con il continente africano, reclamando ancora lo status di osservatore presso l’Unione Africana.

Concesso per la prima volta lo scorso luglio, questo accreditamento è stato denunciato poi a settembre da più di 20 Paesi membri. Il presidente della Commissione dell’Unione Aafricana, l’ex primo ministro del Ciad Moussa Faki Mahamat, non ha avuto altra scelta che riconsiderare la sua posizione, favorevole dall’inizio a confermare il ruolo a Israele.

La richiesta è vista come una mera formalità da diversi osservatori israeliani che ritengono di avere la maggioranza del sostegno all’interno dell’organizzazione panafricana. Al contrario Israele sembrerebbe non avere gli appoggi necessari. Bisogna tornare indietro agli anni ’50, quando Israele aveva più di 30 ambasciate in tutto il continente. All’epoca, il Paese era membro dell’Organizzazione per l’Unità Africana con lo status di osservatore, lo stesso status che ora sta cercando di recuperare. È stato privato di questo titolo nel 2002, anno di fondazione dell’Unione Africana.

Dalla guerra arabo-israeliana del 1973, il continente africano è stato unito sulla questione israeliana. All’indomani del conflitto, tutti i Paesi africani hanno ufficialmente interrotto le relazioni diplomatiche con Tel Aviv, incoraggiati proprio dall’Organizzazione per l’Unità Africana, in gran parte sotto l’influenza dei paesi arabi dello stesso continente.

A 20 anni dalla rimozione forzata di Israele, gli oppositori sono meno rispetto al passato poiché il loro numero è diminuito quando Tel Aviv ha normalizzato le sue relazioni con il continente, sulla scia degli accordi di Oslo del 1993.

La Libia ad esempio non esercita più la stessa influenza sull’Unione Africana come ai tempi di Mu’ammar Gheddafi. Tuttavia, l’Algeria si è subito espressa contro la riammissione di Israele radunando la stragrande maggioranza dei Paesi musulmani del continente, dalla Mauritania a Gibuti. Mancano solo Marocco e Sudan, che stanno avviando una maggiore intesa con Israele, e il Ciad, che ha riallacciato le relazioni diplomatiche con quest’ultimo nel 2018. Zimbabwe, Namibia e Botswana si oppongono fermamente al ritorno di Israele nell’Unione Africana. Questi Paesi hanno seguito le orme del Sud Africa, che dal 1994 e dalla presa del potere da parte dell’African National Congress, sostiene la causa palestinese nell’intero continente.

Ad Addis Abeba inizia così una pesante battaglia procedurale che dovrebbe concludersi con una votazione a maggioranza semplice. Se a Israele non sarà confermato lo status di osservatore, il Paese rivendicherebbe il suo posto tra i 90 partner esterni ora accreditati presso l’Unione Africana. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. L’Unione Africana e Israele” di Federica Iezzi


Roma, 5 febbraio 2022, Nena News – L’ottava edizione del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC) dello scorso novembre, ospitato nella capitale del Senegal, Dakar, ha toccato temi sempre più caldi come commercio e investimenti. Sorprendente è stata la richiesta del ministro degli esteri senegalese, Aïssata Tall Sall, di coinvolgere la Cina nel conflitto del Sahel.

Proposta tanto allettante quanto pericolosa per la Cina. Ridurre il conflitto in corso potrebbe elevare il gioco della pace e della sicurezza della Cina in Africa a un nuovo livello. Ma potrebbe anche finire bloccato in un conflitto fangoso senza fine in vista.

La continua emarginazione di alcuni gruppi, elementi criminali transnazionali e la rapida ascesa di movimenti estremisti islamici, alimentano il conflitto in corso.

L’Unione Africana, così come gli stati del Sahel e le potenze straniere, hanno lottato per più di un decennio per il controllo della regione. La Francia è intervenuta nel 2013 con l’Opération Serval, cui è succeduta nel 2014 una missione più ampia di 5.100 soldati denominata Barkhane. Dall’altro lato, gli Stati Uniti hanno fornito un’assistenza di sicurezza sostanziale nell’ambito del loro strumento di politica antiterrorismo transahariano, inteso ad aiutare i Paesi del Sahel ad affrontare le minacce terroristiche interne.

Secondo l’International Crisis Group, la militarizzazione del Sahel appare molto difficile da frenare oggi, poiché accanto a ideali jihadisti sono sorti gruppi di autodifesa civile. Ciò è aggravato dalla crisi di governo nella regione, evidenziata dalla rimozione del presidente maliano Ibrahim Boubacar Keita, dopo settimane di proteste antigovernative, e dal successivo ulteriore allontanamento dei leader civili, dalla morte del capo di stato del Ciad Idriss Déby Itno, impegnato in prima linea contro i ribelli.

Pechino ha spesso criticato l’intervento militare come forma di imperialismo e ha dichiarato la sua preferenza per iniziative politiche regionali e mediazione, come armi per risolvere il conflitto civile. La Cina manca di esperienza militare in Africa e le sue capacità di spedizione all’estero sono deboli, da qui l’attenzione sulle operazioni di mantenimento della pace. Il Financial Times ha lamentato la riduzione quantitativa degli impegni finanziari della Cina da 60 miliardi di dollari nel 2018 a 40 quest’anno. Tuttavia, sono i cambiamenti qualitativi che sollevano interrogativi più grandi – la Cina sembra lasciare l’Africa dopo due decenni di impegno solido e sempre crescente.

Sebbene il cambiamento sia reale, resta da vedere se si tratta di un cambiamento tattico a breve termine o di un riorientamento strategico a lungo termine.

La Cina sta visibilmente ridimensionando le attività pianificate in Africa. Per l’assistenza agricola, il clima e l’ambiente, la salute, la pace e la sicurezza e la promozione commerciale, il numero di progetti per ciascuna categoria è sceso da 50 progetti nel 2018 a 10 progetti quest’anno. Sono diminuite anche le opportunità di istruzione e formazione, da 50.000 borse di studio governative e 50.000 opportunità di formazione proposte nel 2018, oggi i seminari formativi sono stati ridotti ad appena 10.000.

Infine, l’allontanamento della Cina dallo sviluppo delle infrastrutture in Africa, potrebbe essere il cambiamento più significativo dell’impegno cinese nel continente. L’unica categoria in crescita resta la finanza commerciale. Pechino ha raddoppiato il suo impegno, sostenendo le esportazioni di prodotti e servizi africani, con l’obiettivo di aumentarne il valore aggiunto.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Il ridimensionamento delle attività della Cina in Africa” di Federica Iezzi


Roma, 29 gennaio 2022, Nena News

Burkina Faso – L’esercito del Burkina Faso ha dichiarato di aver deposto il presidente Roch Marc Christian Kaboré, sospeso la costituzione, sciolto il governo e l’assemblea nazionale e chiuso i confini. L’annuncio è arrivato dal tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba.

La dichiarazione è stata fatta a nome di un’entità nuova nel Paese, che comprende tutte le sezioni dell’esercito, il Mouvement Patriotique pour la Sauvegarde et la Restauration (Mpsr).

Damiba ha parlato di deterioramento della situazione legata alla sicurezza e ha descritto l’incapacità di Kaboré di unire la nazione e rispondere efficacemente alle sfide politiche dell’area. 
Prima della presa del potere da parte dell’esercito, nella capitale Ouagadougou si sono susseguiti giorni di proteste per chiedere maggiore sostegno alla lotta contro i gruppi armati ribelli.

L’Unione Africana e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) hanno entrambi pesantemente condannato quello che hanno definito un tentativo di colpo di stato in Burkina Faso. In risposta, il capitano Sidsore Kaber Ouedraogo ha affermato che l’Mpsr lavorerà per stabilire un calendario concreto per lo svolgimento di nuove elezioni democratiche.

Benin – Il Benin è stato il protagonista di un evento senza precedenti, ricco di simbolismo per il Paese stesso e per i suoi abitanti, con la restituzione da parte della Francia di ventisei manufatti, saccheggiati dai tesori reali di Abomey da parte delle truppe coloniali del colonnello Dodds nel 1892.

A migliaia, da diverse aree del Paese, hanno accompagnato i tesori dall’aeroporto della capitale Cotonou al palazzo presidenziale. Le nobili statue reali, le porte scolpite, gli elaborati troni, borse, tuniche, altari portatili e bastoni da ballo: tutti rappresentativi dello splendore e della grandezza della corte di Behanzin e degli altri monarchi che regnarono in Benin tra il XVIII e il XIX secolo.

I pezzi saranno ora esposti all’interno delle pareti dorate del palazzo presidenziale. I tesori, dopo essere arrivati in Francia nel 1893, rimasero a lungo nei magazzini bui e polverosi dei grandi musei di Parigi. Alcuni pezzi sono stati portati alla luce solo nel 1937, nelle vetrine del moderno Musée de l’Homme.

Le prime richieste di restituzione delle opere saccheggiate risalgono alla metà degli anni Sessanta da parte di un gruppo di scrittori dahomeani. Quando è salito al potere nel 2016, Patrice Talon ha subito raccolto la sfida di quella che era diventata una grande causa nazionale, con il sostegno dell’intero establishment politico. Francia e Benin dunque hanno aperto un nuovo capitolo diplomatico.

Etiopia – E’ preoccupante la sicurezza alimentare che affligge quasi il 40% della popolazione nella regione etiope del Tigray, secondo le stime del World Food Programme (Wfp). A rischio anche le vicine regioni di Amhara e Afar.

La guerra in Etiopia è scoppiata nel novembre 2020, dopo mesi di crescenti tensioni tra il governo del primo ministro Abiy Ahmed e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (Tplf), l’ex partito al governo del Tigray che in passato dominava la politica nazionale.

La guerra, che ha ucciso decine di migliaia di civili e costretto milioni di persone a lasciare le loro case, ora lascia privi di cibo i sei milioni di abitanti del Tigray. Meno del 10% delle forniture necessarie è entrato nel Tigray dallo scorso luglio. Non mancano gli ostacoli burocratici, comprese le perquisizioni personali intrusive e la confisca di oggetti, compreso il materiale sanitario, prima dell’ingresso in Tigray.

L’ultimo rapporto del Wfp indica che almeno nove milioni di persone hanno bisogno di assistenza alimentare nelle tre regioni colpite dalla guerra. Più del 14% dei bambini sotto i cinque anni e quasi un terzo delle donne in gravidanza e in allattamento risultano malnutriti. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Golpe in Burkina Faso, fame in Tigray” di Federica Iezzi


#COVID19

Roma, 22 gennaio 2022, Nena News – I tassi di vaccinazione contro il virus SARS-CoV-2 sono ancora deludentemente bassi in Africa, con appena l’8% circa della popolazione del continente che ha completato il ciclo. E questa media maschera grandi differenze tra i Paesi. Mauritius e Marocco, ad esempio, hanno già vaccinato rispettivamente il 72% e il 62% della loro popolazione, ma in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo e il Burundi i tassi di vaccinazione rimangono ben al di sotto dell’1%.

Dall’emergere della variante Omicron, ad alto grado di trasmissibilità, il numero di infezioni è in esponenziale aumento, ma il numero di decessi rimane ancora relativamente basso nel continente. Tuttavia, viste le note debolezze dei settori sanitari africani, compreso il limitato numero di posti letto in terapia intensiva, si teme che la rapida diffusione della variante Omicron possa destabilizzare ulteriormente l’insufficienza del sistema sanitario.

L’Africa non raggiungerà l’obiettivo globale del 70% di vaccinazione fissato per la metà del 2022, fino alla fine del 2024, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Al di là delle sue conseguenze per la popolazione del continente, quella mancanza potrebbe avere effetti negativi sul resto del mondo, in termini di comparsa di nuove varianti potenzialmente più dannose.

Il motivo principale alla base dei bassi tassi di vaccinazione in Africa è stata la scarsa offerta. I Paesi ad alto reddito hanno accumulato vaccini, più recentemente per la terza dose, lasciando i Paesi a basso reddito, inclusi molti in Africa, incapaci di accedere a dosi sufficienti per le loro popolazioni più vulnerabili e per gli operatori sanitari in prima linea. La durata di conservazione limitata dei vaccini ha avuto un effetto anche sui tassi di vaccinazione in Africa, poiché ha reso estremamente difficile il trasferimento di dosi prima della scadenza.

I produttori di vaccini stanno aumentando la produzione e di conseguenza la domanda di vaccini sta diminuendo lentamente ma costantemente, almeno nei Paesi ad alto reddito. Secondo l’International Federation of Pharmaceutical Manufacturers & Associations (IFPMA), ogni mese vengono attualmente prodotte almeno 1,5 miliardi di dosi di vaccino Covid-19 e si prevede un’impennata che raggiungerà i 24 miliardi entro giugno 2022. A quel punto le forniture supereranno probabilmente la domanda globale.

Il continente ha problemi logistici endemici. Molti dei principali porti e aereoporti africani, ad esempio, soffrono di alti livelli di corruzione che stanno già causando notevoli ritardi e aggiungendo costi alle importazioni. Inoltre, l’infrastruttura della catena del freddo in Africa è altamente inadeguata. Infine sono insufficienti i professionisti sanitari qualificati per somministrare e rendicontare i cicli vaccinali.

Anche i bassi livelli di urbanizzazione in molti Paesi africani sono un ostacolo alle campagne di vaccinazione. Per raggiungere aree remote, la Costa d’Avorio ha utilizzato cliniche mobili e il Ghana ha utilizzato droni. Molti stati africani non sono riusciti a rispondere in modo efficiente a frenetiche campagne di disinformazione. I leader africani, dunque, con il supporto delle istituzioni di sviluppo, dovrebbero definire piani di vaccinazione chiari, investire strategicamente nel miglioramento della logistica e nella digitalizzazione dei loro sistemi per monitorare al meglio l’intero ciclo vaccinale. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. La vaccinazione contro il Covid che non c’è” di Federica Iezzi


#analisi

Roma, 15 gennaio 2022, Nena News

Circondato da soldati e con la bandiera della Guinea alle spalle. E’ così che è apparso il colonnello Mamady Doumbouya poche ore dopo aver guidato un colpo di stato lo scorso settembre.Le forze speciali di Doumbouya hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale sequestrando Alpha Condé, il primo presidente eletto democraticamente nel Paese.

La storia del 2020 in Africa sub-sahariana si è ripetuta. Le forze armate sudanesi hanno arrestato i leader civili del Paese prendendo il potere a ottobre. E lo scorso maggio il Mali ha attraversato il suo secondo colpo di stato nell’arco di 10 mesi. Ciò è avvenuto solo qualche settimana dopo che il generale Mahamat Idriss Deby ha preso il potere in Ciad, congelando la costituzione e sciogliendo il parlamento. Nella seconda parte del ventesimo secolo, i colpi di stato militari in Africa sono stati usati come mezzo comune per cambiare l’ordine politico sulla scia della decolonizzazione. Tra il 1960 e il 2000, il numero complessivo di colpi di stato e tentativi di colpo di stato è cresciuto esponenzialmente, vicino alle richieste di riforme democratiche e costituzionalismo.

La recente ondata di militarizzazione della politica è influenzata da un insieme disomogeneo di fattori esterni, tra cui il numero crescente e diversificato di attori internazionali attivi nel continente per dare priorità ai propri interessi, e di fattori interni, come la diffusa frustrazione pubblica contro corruzione, insicurezza e malgoverno.

Il colpo di stato guineano, ad esempio, ha avuto luogo dopo una diffusa insoddisfazione e proteste contro la mossa in gran parte impopolare di Condé di eliminare il limite di due mandati presidenziali. La militarizzazione arriva nel mezzo di una crescente crisi di legittimità per i governanti. Quando un leader gioca con le costituzioni, i limiti di mandato e il processo elettorale, aumenta il sostegno pubblico alle forze armate. I militari usano poi il malcontento civico come mezzo per legittimare la loro presa di potere incostituzionale.

Allo stesso modo in Mali, i due colpi di stato militari hanno avuto luogo sullo sfondo delle proteste popolari a livello nazionale contro il presidente Ibrahim Boubacar Keita, il cui governo è stato accusato di corruzione, nepotismo e di non aver affrontato l’aggravarsi della crisi di sicurezza nel Paese. In Mali e in Sudan, i leader militari hanno usato tattiche simili per conquistare il potere.

I golpisti maliani, guidati dal colonnello Assimi Goita, hanno inizialmente accettato di formare un consiglio di transizione misto militare-civile dopo il primo colpo di stato nell’agosto 2020, promettendo di consegnare il potere al governo civile alla fine della transizione. Ma lo scorso maggio, Goita ha imprigionato e poi rimosso il presidente e il primo ministro del consiglio di transizione. Nel frattempo, la promessa dei militari di tenere le elezioni entro il prossimo febbraio sembra sempre meno concreta.

Il generale sudanese Abdel Fattah al-Burhan ha preso il potere arrestando il primo ministro Abdalla Hamdok. Sebbene le proteste a livello nazionale e la condanna occidentale lo abbiano costretto a reintegrare Hamdok, l’esercito rimane l’attore principale nella fragile politica del Sudan. L’Unione Africana e organismi regionali come l’Ecowas (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) hanno sospeso i Paesi destabilizzati dai colpi di stato, ad eccezione del Ciad, nel tentativo di costringere i governanti militari a negoziare con i leader civili.

Ma tali mosse hanno avuto un effetto limitato. In generale hanno favorito un processo di dialogo tra i gruppi armati e le parti interne danneggiate, piuttosto che adottare misure punitive contro la leadership militare. Il risultato è che il consolidamento democratico non ha le premesse per vivere organicamente all’interno del Paese. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. I golpe: strumentalizzazione dei militari del malcontento popolare” di Federica Iezzi


Roma, 18 dicembre 2021, Nena News

Angola – Il Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola (Mpla), partito al governo da quasi mezzo secolo, ha scelto il presidente in carica João Lourenço come candidato alle elezioni del prossimo anno.

Il principale partito di opposizione, l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola (Unita), ha rieletto Adalberto Costa Júnior come suo leader, collocandolo come unico rivale elettorale. Le elezioni presidenziali si terranno il prossimo agosto.

L’Mpla governa il paese dall’indipendenza dal Portogallo nel 1975. Uscente ministro della difesa, Lourenço ereditò la leadership di José Eduardo dos Santos nel 2017.

Dos Santos è stato pesantemente accusato di aver lasciando al Paese un’eredità di povertà e nepotismo. L’Angola è ricca di risorse naturali. E’ il terzo produttore di petrolio dell’Africa, ma la maggior parte dei suoi 33 milioni di abitanti vive in povertà.

Kenya – Il veterano leader dell’opposizione Raila Odinga ha annunciato la sua quinta candidatura alla presidenza del Kenya nelle elezioni del prossimo anno. Volto dell’opposizione del Kenya per decenni, Odinga aveva stretto un accordo di condivisione del potere con l’attuale presidente Kenyatta, per assicurarsi futuri voti e sostegno.

Pilastro della politica keniota, l’ex primo ministro, affettuosamente chiamato ‘baba’ (papà in swahili), rimane estremamente popolare. La sua immagine anti-establishment ha perso consensi solo nel marzo 2018, quando ha sbalordito il Paese stringendo accordi con Kenyatta, pochi mesi dopo i pesanti scontri post-elettorali.

I due leader hanno anche cercato di espandere l’esecutivo, attraverso proposte di modifiche costituzionali che avrebbero potenzialmente permesso a Kenyatta di rimanere al potere come primo ministro.

Odinga dovrà affrontare una difficile lotta contro il suo nuovo rivale, il vice-presidente William Ruto, a cui è stato promesso il sostegno di Kenyatta. Ruto ha inizialmente combattuto al fianco di Odinga, quando repressione e scontri nel 2007 si sono trasformati in attacchi etnici uccidendo più di 1.000 persone. Ruto ha poi collaborato con Kenyatta nel 2013.

Le famiglia Kikuyu di Kenyatta e quella Luo di Odinga hanno dominato la politica keniota dall’indipendenza nel 1963.

Sud Sudan – Secondo l’ultimo report di Amnesty International, l’ondata di scontri tra Forze di Difesa del Popolo del Sud Sudan (Sspdf), allineate al governo, e Esercito di liberazione del popolo sudanese/Movimento all’opposizione (Splm-Io), potrebbe equivalere a crimini di guerra.

Colpiti indiscriminatamente interi villaggi, durante un’impennata di combattimenti tra lo scorso giugno e lo scorso ottobre, in particolare nello stato dell’Equatoria occidentale, scontri che hanno costretto decine di migliaia di persone a lasciare le proprie abitazioni.

Amnesty International ha affermato di aver documentato potenziali crimini di guerra, violenza intercomunale e altre gravi violazioni commesse dalle parti in conflitto contro i membri delle comunità Azande e Balanda.

Il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza nel giugno 2011, ma è stato subito travolto dalla violenza etnica, tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e quelle affiliate al suo vice, Riek Machar.

Secondo Amnesty International, le recenti violenze nell’Equatoria occidentale possono essere ricondotte all’assegnazione amministrativa della regione all’Splm-Io, come parte di un accordo di condivisione del potere. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Angola e Kenya si preparano al voto, Sud Sudan senza pace” di Federica Iezzi


ETHIOPIA-UNREST

#humanrights

Roma, 11 dicembre 2021, Nena News

Etiopia – Date le lacune nell’approccio e nella metodologia, le indagini congiunte dell’Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights (OHCHR) e dell’Ethiopian Human Rights Commission (EHRC) potrebbero non fornire un quadro accurato delle violazioni dei diritti umani perpetrati nella regione del Tigray.

Il Tigray Human Rights Forum (THRF), organizzazione che si impegna a promuovere i diritti umani nel Tigray, ha seguito da vicino gli sviluppi riguardanti l’indagine congiunta.

I risultati dell’indagine, inclusi nel rapporto congiunto, sono gravi e vi sono fondati motivi per ritenere che abusi e violazioni dei diritti umani e violazioni del diritto internazionale umanitario, possano costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Sotto inchiesta: attacchi diretti a civili e postazioni civili, omicidi, esecuzioni giudiziarie, torture e altre forme di maltrattamento, detenzioni arbitrarie, rapimenti, sparizioni forzate e violenze di genere.

Il Joint Investigation Team evidenzia una diffusa impunità per i responsabili di violazioni e abusi. Il THRF appare preoccupato che l’indagine possa essere utilizzata per rivendicare le violazioni commesse e possa sostenere attivamente il conflitto.

Il coinvolgimento dell’EHRC pone seri dubbi sull’integrità dell’indagine complessiva e dei suoi risultati. La Commissione risponde alla Camera dei rappresentanti del popolo, organo che ha designato il Tigray People’s Liberation Front (TPLF), anch’esso oggetto di indagine. E ciò solleva direttamente questioni di indipendenza e imparzialità. Numerosi rapporti pubblicati dalla Commissione mostrano un’evidente parzialità a favore del governo federale. La Commissione ha anche scelto di tacere di fronte a evidenti violazioni, ampiamente reiterate in Tigray, comprese le pesanti barriere all’accesso umanitario in corso.

Sebbene sia importante indagare su tutte le forme di violazione dei diritti umani, indipendentemente dall’identità delle vittime e degli autori, la denuncia unilaterale dell’EHRC rafforza ulteriormente gli interrogativi sull’imparzialità del processo di indagine. I termini di riferimento per l’analisi non sono mai stati resi pubblici. E questo riserbo ha consentito all’indagine di continuare senza controllo. Chiara violazione del principio di trasparenza.

Come ha confermato lo stesso OHCHR, tralasciare siti chiave del massacro come le aree di Axum, Edaga Berhe, Dengelat, Mahbere Dego, Togoga e Tembien, avrà un impatto negativo sul quadro generale dell’indagine.

L’indagine è stata condotta quasi esclusivamente in luoghi sotto il controllo del governo federale. Sono stati dichiarati cambiamenti improvvisi nella situazione della sicurezza e nelle dinamiche del conflitto, come spiegazione all’interruzione dell’indagine in aree del Tigray.

I risultati del rapporto rendono ampiamente chiaro che, mentre infuria la guerra nel nord dell’Etiopia, il bilancio umano del conflitto continuerà a crescere. Il proclama dell’emergenza si estende a tutto il Paese limitando di fatto i diritti umani, secondo Amnesty International. Ad esempio, consente alle autorità federali di arrestare chiunque senza mandato, di fronte ad un ‘ragionevole sospetto’ di cooperazione con gruppi terroristici, e di detenerlo senza controllo giurisdizionale. E’ allarmante l’impatto su attivisti dei diritti umani, giornalisti, minoranze e critici del governo.

La proclamazione dello stato di emergenza, inoltre, consente la sospensione o la definitiva cancellazione delle licenze delle organizzazioni non governative e dei media, se sospettate di fornire supporto materiale o morale a organizzazioni terroristiche, termini aperti a un’ampia interpretazione. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Possibili crimini contro l’umanità in Etiopia” di Federica Iezzi


#pandorapapers

Roma, 4 dicembre 2021, Nena News

Impresa sconcertante dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), i Pandora Papers rappresentano lo sforzo investigativo più ambizioso per svelare i segreti del mondo offshore. I numeri sono sbalorditivi: 11,9 milioni di file da 14 importanti società di servizi offshore esaminati da più di 600 giornalisti.

Decine di suggestive e verificate storie che coinvolgono 35 capi di stato e più di 330 politici in tutto il mondo. I Pandora Papers offrono una concreta visione senza precedenti dell’uso, da parte delle élite globali, di strutture, istituzioni e tecniche finanziarie offshore che offrono segretezza, protezione patrimoniale ed esenzione fiscale.

L’infrastruttura è globale. Include paradisi fiscali come Panama, Monaco, Svizzera, decine di territori britannici d’oltremare e centri finanziari asiatici quali Dubai, Singapore e Hong Kong. E’ evidente una forte componente africana in questa storia globale. L’indagine dei Pandora Papers ha coinvolto 53 giornalisti africani di media indipendenti che lavorano in 18 Paesi, dal Congo allo Zimbabwe.

Le numerose e politicamente significative rivelazioni mostrano che dozzine di politici, uomini d’affari africani e le loro famiglie hanno importanti partecipazioni offshore. Queste includono i capi di stato della Repubblica del Congo, del Gabon e del Kenya. L’indagine sull’impero offshore del presidente Kenyatta mostra ampi interessi, comprese società nelle Isole Vergini britanniche, l’uso di una banca svizzera privata per le transazioni e una fondazione con sede a Panama.

L’evasione fiscale sembra un motivo secondario poiché i ricchi e i potenti nella quasi totalità dei Paesi africani sono sottoposti a scarso controllo da parte delle autorità fiscali. Per molti di questi individui e famiglie, gioca un desiderio di segretezza, protezione dei beni e protezione dalle indagini penali.

Il presidente della Repubblica del Congo Denis Sassou-Nguesso, è stato oggetto di indagini schiaccianti, che hanno mostrato una correlazione tra l’afflusso di aiuti e il deflusso di capitali, nonché il danno economico derivante dalla fuga di capitali dall’Africa.

L’Africa appare completamente integrata nell’economia offshore globale. Questa è una dinamica negativa per lo sviluppo del continente poiché il suo capitale tanto necessario si riversa in altre economie.

Il ruolo di facilitatori professionali apparentemente rispettabili nei principali centri finanziari è fondamentale. Niente di tutto questo potrebbe accadere senza un esercito compiacente di agenti immobiliari, commercialisti, gestori patrimoniali, consulenti e avvocati, nonché di politici che stabiliscono l’ambiente normativo favorevole in cui operano impunemente. Molti leader africani sono parte attiva in questo processo e il loro status di classe consente agevolmente il riciclaggio di enormi capitali.

Mentre le Nazioni Unite lanciano un comitato per affrontare le finanze illecite, è dubbio che i Pandora Papers avranno conseguenze immediate per la politica interna della maggior parte dei Paesi africani.

La globalizzazione dell’offshore è direttamente collegata al danno di reputazione così temuto dai piccoli paradisi fiscali caraibici. Ad esempio, in luoghi come Dubai o Hong Kong, protetti dalla Cina, si percepisce chiaramente un solido sostegno, da parte di forti stati autoritari, per la segretezza, la bassa tassazione e la regolamentazione leggera e permissiva. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Le rivelazioni dei Pandora Papers in Africa” di Federica Iezzi


Roma, 27 novembre 2021, Nena News

Somalia – Allarme delle Nazioni Unite riguardo il quadro in peggioramento in Somalia legato alla siccità. Più di due milioni di persone stanno affrontando una grave carenza di cibo e acqua.

Secondo l’ultimo report dell’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), 57 dei 74 distretti somali sono devastati dalla siccità.

La terribile situazione ha già costretto circa 100.000 persone a lasciare le proprie case in cerca di cibo, acqua e pascoli per il proprio bestiame.

La Somalia si colloca tra i paesi più vulnerabili al mondo rispetto ai cambiamenti climatici. Dal 1990 ha fronteggiato 12 pesanti periodi di siccità e 19 inondazioni, cause di una catastrofica situazione umanitaria.

I livelli dei fiumi Juba e Shabelle sono bassi e si prevede che diminuiranno ulteriormente nei prossimi mesi. La maggior parte dei berkad, piccoli serbatoi d’acqua, e pozzi poco profondi sono asciutti, lasciando le comunità a fare affidamento su pozzi distanti e spesso con rese basse di acqua di scarsa qualità.

Burundi – Armel Niyongere, avvocato costretto all’esilio e forte figura dell’opposizione, ha invitato la comunità internazionale a non riprendere la cooperazione con il Burundi, a causa della grave situazione legata ai diritti umani.

Secondo il presidente dell’Association of Christians for the Abolition of Torture (ACAT), da quando Evariste Ndayishimiye, nuovo presidente del Paese eletto nel giugno 2020, è salito al potere, c’è stata una regressione continua, con numerosi casi di sparizioni forzate, torture e omicidi.

Condannato all’ergastolo nel suo Paese d’origine, sotto minaccia per aver difeso diversi oppositori, Niyongere ha trovato rifugio in Belgio nel 2014.

A giugno, l’ambasciatore dell’Unione Europea in Burundi, Claude Bochu, ha annunciato che stava lavorando per revocare le sanzioni europee, imposte al Paese dal 2015, in risposta alle gravi violazioni dei diritti umani sotto la presidenza di Pierre Nkurunziza.

L’annuncio del 2015 della candidatura di Nkurunziza per un controverso terzo mandato aveva fatto precipitare il Paese in una grave crisi politica, segnata da esecuzioni sommarie, sparizioni, detenzioni arbitrarie, torture e violenze sessuali contro le voci dissidenti.

Nonostante le nuove elezioni, la situazione generale dei diritti umani rimane preoccupante secondo l’ultima Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite.

Sud Africa – Una nuova variante del virus SARS-CoV-2 rilevata in Sudafrica sta sollevando un’ondata di preoccupazioni. Il National Institute for Communicable Diseases (NICD) ha contato nel Paese almeno 22 casi positivi.

Chiamata B.1.1.529, la nuova variante ha una costellazione di mutazioni insolite, in grado di eludere la risposta immunitaria umana, rendendo il virus intensamente trasmissibile.

La variante ha sconcertato gli esperti, perché appare un grande salto nell’evoluzione del virus stesso.

Le mutazioni sono associate ad una maggiore resistenza anticorpale, che rende il virus più contagioso.

Maria Van Kerkhove, capo dell’Emerging Diseases and Zoonosis dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, afferma che qualsiasi nuova variante in grado di eludere i vaccini o di diffondersi più rapidamente potrebbe rappresentare una minaccia significativa.

La nuova variante si è diffusa rapidamente nella provincia sudafricana di Gauteng, sede del polo economico delle città di Johannesburg e Pretoria.

Un totale di circa 50 casi confermati sono stati identificati in Sud Africa, Hong Kong e Botswana. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Siccità in Somalia, la variante sudafricana del Covid” di Federica Iezzi


FAO

#COP26

Roma, 20 novembre 2021, Nena News

Secondo il recente Food Systems Summit delle Nazioni Unite, il progetto di modernizzazione agricola che molti Paesi occidentali hanno sostenuto per decenni oggi sembra stia solo peggiorando l’insicurezza alimentare soprattutto in Africa.

Dalla crisi dei prezzi alimentari del 2007 e 2008, i governi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, hanno sostenuto una moltitudine di programmi in tutto il continente africano, per aumentare la produttività degli agricoltori e collegarli alle catene di approvvigionamento commerciali.

Al centro di questa massiccia impresa filantropica e governativa scompare il beneficio ai piccoli agricoltori africani, e si collocano in prima linea i forti vantaggi agli agricoltori-imprenditori con grandi proprietà terriere. Esempio lampante è il Ghana, Paese che negli ultimi anni ha registrato un’impennata degli aiuti esteri all’agricoltura.

Come hanno menzionato i ricercatori statunitensi Hanson Nyantakyi-Frimpong e Rachel Bezner Kerr, nel loro articolo del 2015 ‘A political ecology of high-input agriculture in northern Ghana’, i colonialisti britannici hanno sviluppato in Ghana sistemi di produzione per estrarre il cacao, una coltura non ampiamente consumata nel Paese ma che attrae investimenti e sussidi significativi. Inoltre, nel periodo post-coloniale, le autorità ghanesi, con il sostegno del governo occidentale, introdussero varietà ad alto rendimento di riso e mais, insieme a massicci fertilizzanti chimici. E ancora la Sasakawa Global 2000, organizzazione di sviluppo fondata dall’industriale giapponese Ryoichi Sasakawa e dal guru dell’Asian Green Revolution, Norman Borlaug, ha condotto una distribuzione a tappeto di pacchetti di crediti a basso interesse ai piccoli proprietari terrieri, per l’acquisto di semi ibridi, fertilizzanti chimici e altri prodotti agrochimici.

Molti degli agricoltori ghanesi che inizialmente avevano adottato le nuove tecnologie, presto sono tornati alle pratiche tradizionali e all’utilizzo delle varietà di semi locali. Anche dopo anni di lavoro nelle zone rurali del Ghana, la stessa Sasakawa Global 2000 ha rilevato un recupero del solo 45% negli investimenti nelle colture. I piccoli agricoltori ancora oggi preferiscono usare le proprie varietà di mais, anche quando le organizzazioni non governative rendono disponibili ibridi più avanzati. Questo perché le varietà locali di mais, più rustiche, sono maggiormente resistenti alla siccità, costano meno, richiedono meno manodopera e pochi fertilizzanti chimici. Inoltre, a differenza degli ibridi, le cui larghe foglie impediscono il passaggio di luce solare sul terreno, il mais locale viene piantato in stretta connessione a arachidi e fagioli, tutte colture nutrienti ben adattate all’ecologia locale.

I semi ibridi diventano soluzioni agli enormi problemi derivanti dal cambiamento climatico accorciando le stagioni di crescita, in un disperato tentativo di adattarsi a piogge sempre più irregolari e a terreni più secchi e meno fertili.

L’enfasi sulla lussuosa tecnologia e il conseguente accesso commerciale, ha reso più difficile per i piccoli agricoltori sopravvivere nelle loro terre natali, aprendo la porta a uomini d’affari locali che vedono nell’African Green Revolution la propria opportunità di investimento.

Anche su scala ridotta, l’agricoltura rimane più di un mezzo di sussistenza. Gli studi dimostrano che una quota importante del cibo mondiale è coltivata da piccoli agricoltori.

I fautori dell’African Green Revolution non hanno riconosciuto alcune delle conseguenze più cupe di questo cambiamento: la crescita di slums e di disoccupazione nelle città africane, l’aumento dell’insicurezza alimentare e una crescente dipendenza dalle monocolture e da altre tecniche agricole distruttive per l’ambiente nelle aree rurali.

Dal 2003 al 2018 la popolazione dell’Africa subsahariana è aumentata da 700 milioni a oltre un miliardo di persone, mentre la quota di lavoro impiegato in agricoltura nel continente è scesa dal 65% al ​​57%. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. L’Occidente e l’insicurezza alimentare in Africa” di Federica Iezzi


Roma, 13 novembre 2021, Nena News

Sierra Leone – Un’autocisterna è esplosa in seguito a uno scontro a Wellington, sobborgo est della capitale Freetown, uccidendo più di un centinaio di persone e ferendone decine di altre. Enorme afflusso al Connaught Hospital, nel centro di Freetown, dove è stato portato il maggior numero di feriti.

Non si conosce ancora l’entità del danno secondo Brima Bureh Sesay, capo della National Disaster Management Agency. Proprio oggi è prevista una riunione per la risposta alle emergenze, presieduta dal vicepresidente del Paese.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta lavorando per inviare esperti di assistenza ai pazienti ustionati e più di 6 tonnellate di forniture mediche di emergenza per supportare le vittime.

Mali – L’Economic Community of West African States (ECOWAS) ha imposto pesanti sanzioni contro i leader di transizione del Mali, in seguito alla notizia della mancata organizzazione di elezioni presidenziali e legislative il prossimo febbraio.

Il governo militare ad interim del Mali, che ha preso il potere dopo il colpo di stato dello scorso agosto, rovesciando Ibrahim Boubacar Keita, aveva promesso alla ECOWAS di supervisionare una transizione di 18 mesi verso la democrazia.

Le sanzioni includono divieti di viaggio e congelamento dei beni materiali verso tutti i membri dell’autorità di transizione. L’ECOWAS, subito dopo il colpo di stato, aveva imposto al Mali la chiusura delle frontiere, revocando la decisione meno di due mesi dopo, in seguito alla notizia della transizione.

Il mese scorso, il Paese ha espulso l’inviato speciale dell’ECOWAS a Bamako, accusandolo di azioni incompatibili con il suo status. Ampie zone del Paese, che conta 19 milioni di abitanti, si trovano al di fuori del controllo del governo a causa di una rivolta armata emersa nel nord nel 2012, poi estesa al centro del Paese e verso gli Stati confinanti, Burkina Faso e Niger.

Marocco – Tra le crescenti tensioni con la vicina Algeria, il ministro degli Esteri marocchino Nasser Bourita dichiara di non voler rinunciare ai propri diritti legittimi sul territorio conteso. Bourita ha affermato che il Marocco è attualmente impegnato a trovare una soluzione definitiva a uno dei conflitti più duraturi dell’Africa settentrionale.

Negli ultimi mesi sono esplose nuove tensioni tra Marocco e Algeria, per l’ex colonia spagnola che Rabat vede come proprio territorio sovrano. Il terreno conteso è il Sahara occidentale, stretto tra l’Atlantico e il deserto.

Continuano gli scontri tra il Fronte Polisario, movimento di liberazione nazionale del Sahara Occidentale, che da oltre 40 anni guida la resistenza con l’appoggio dell’Algeria, e l’esercito marocchino.

L’anno scorso, l’amministrazione statunitense di Trump ha riconosciuto come legittime le pretese del Marocco sul territorio conteso, rompendo anni di consenso internazionale e sminuendo le ostilità storiche con la proposta di un referendum supervisionato dalle Nazioni Unite.

Il Marocco controlla l’80% del territorio in gran parte desertico, che ha riserve minerarie e accesso a ricche attività di pesca nell’Atlantico, e fornisce una rotta commerciale strategica che collega il Marocco con i mercati dell’Africa occidentale. L’Algeria, lo scorso agosto ha interrotto le relazioni diplomatiche con il Marocco, dopo numerose azioni ostili.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Lo scontro Algeria-Marocco e le sanzioni al Mali del golpe” di Federica Iezzi


Roma, 6 novembre 2021, Nena News

Somalia – La Somalia ha chiesto ufficialmente al rappresentante dell’African Union Commission (AUC) di lasciare il Paese. Il ministero degli Esteri somalo in una nota ha descritto le attività di Simon Mulongo, vice rappresentante speciale dell’AUC a Mogadiscio “incompatibili” con il mandato dell’AMISOM (African Union Mission in Somalia) e con la strategia di sicurezza della Somalia.

Fin dal 2007, la componente militare dell’AMISOM ha supportato le forze di sicurezza nazionali somale a combattere contro il gruppo armato al-Shabab, affiliato ad al-Qaeda, nelle principali città della Somalia meridionale.

Sudafrica – Scende il consenso degli elettori sudafricani per l’African National Congress (ANC), il partito al potere dalla fine dell’apartheid: ottenuto meno del 50% dei voti espressi nelle ultime elezioni municipali. La corruzione diffusa, i tassi di disoccupazione costantemente elevati, i blackout di energia elettrica paralizzanti e l’erogazione inefficace dei servizi governativi sono stati temi aperti durante la lunga campagna elettorale.

L’ANC ha ottenuto il 46% dei voti, in netto calo rispetto al 54% delle ultime municipali. Di conseguenza, il partito controllerà meno consigli e avrà meno sindaci nelle grandi e piccole città del Paese. È la prima volta che il partito supportato da Nelson Mandela riceve meno della metà del totale dei voti in Sudafrica.

La popolarità dell’ANC, guidata dall’attuale presidente Cyril Ramaphosa, è costantemente diminuita nei sondaggi locali. Lo stesso Ramaphosa ha riconosciuto che il partito dovrà formare coalizioni per governare le aree metropolitane chiave. I sondaggi locali hanno anche posto le basi per l’evoluzione del Paese in una democrazia multipartitica più ricca.

A livello nazionale, l’ANC ha già perso la maggioranza in importanti regioni, inclusa la ricca area di eThekwini nella provincia del KwaZulu-Natal, roccaforte dell’ex presidente Jacob Zuma.

Kenya – Il Kenya prevede di ritirare o convertire le centrali elettriche a olio combustibile per utilizzare gas naturale liquefatto entro il 2030. La Kenya Electricity Generating Co. sta conducendo uno studio di fattibilità sulla riconfigurazione delle centrali termiche che attualmente rappresentano circa il 7% del carico di rete. La mossa del ministero dell’Energia fa parte dell’obiettivo del Paese dell’Africa orientale di raggiungere l’azzeramento delle emissioni di carbonio entro il 2050.
Il piano mira a consolidare la posizione del Kenya come leader nell’energia pulita, con il 90% della sua rete già rinnovabile ed è in linea con la spinta del presidente Uhuru Kenyatta a investire in un settore basato su nuove e lussuose tecnologie.

L’Africa ha subito il peso del cambiamento climatico, nonostante produca meno del 5% dei gas serra mondiali e gli sforzi per farvi fronte sono limitati da finanziamenti inadeguati. Secondo l’ultimo dettagliato rapporto dell’Energy and Petroleum Regulatory Authority (EPRA), in Kenya l’energia idroelettrica contribuisce per un quarto della potenza della rete, le fonti eoliche per quasi il 22% e l’energia solare per l’1,3%.

Mentre il Paese però punta a zero emissioni nette in meno di tre decenni, deve affrontare le preoccupazioni emergenti sul rischio della crescita esponenziale dei prezzi dell’energia a causa dell’eccessiva dipendenza dalle energie rinnovabili. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Municipali in Sudafrica, l’ANC sotto il 50%” di Federica Iezzi


Roma, 30 ottobre 2021, Nena News

Africa – Gli investimenti nel settore sanitario in Africa appaiono basilari poiché la fornitura privata rappresenta circa la metà di tutti i beni e servizi assistenziali forniti. Il settore privato spesso colma le lacune lasciate aperte dai servizi pubblici, secondo una ricerca dell’International Finance Corporation (IFC).

Negli ultimi anni si è assistito a una completa svolta degli investimenti nel settore sanitario, secondo il database Asoko Insight, che raccoglie dati sul settore privato africano. Inoltre i report dell’Africa Venture Capital Association mostrano che il settore sanitario ha raggiunto una quota crescente del valore complessivo delle operazioni nel continente – dal 4% nel 2018, al 12% nel 2019 e al 24% nella prima metà del 2020.

Anche prima della pandemia, il settore sanitario africano era attraente per gli investitori di Private Equity, a causa dei suoi tassi di rendimento favorevoli. Vista l’esponenziale crescita della popolazione africana, che supera abbondantemente il miliardo di persone e la crescente base di consumatori della classe media, i settori privati appaiono aree chiave di investimento.

Secondo l’IFC, attualmente le industrie private africane offrono il più alto tasso di rendimento interno, con il settore sanitario che si stanzia al quarto posto, raggiungendo un indice del 9.6%, dietro a telecomunicazioni, tecnologia e beni di prima necessità.

La pandemia legata a SARS-CoV-2 ha ulteriormente focalizzato l’attenzione sul settore sanitario, che è stato il più resiliente sulla scia della crisi, secondo quanto dichiarato da AfricInvest, società francese di investimento e servizi finanziari. Questo spiega chiaramente perché diversi investimenti sanitari su larga scala sono andati avanti nel 2020 mentre le offerte in altri settori sono state ritardate o annullate del tutto.

Tra gli accordi degni di nota figurano la partecipazione della francese SPE Capital nel settore farmaceutico del Saham Group in Marocco, della sudafricana Rand Merchant Investment Holdings e dell’inglese Endeavour Investments nella piattaforma di tecnologia sanitaria Guidepost in Sud Africa, di NBK Capital Partners, basata in Bahrain, e Foursan Capital Partners, basata in Giordania, nella casa farmaceutica Polymedic in Marocco. Anche la maltese Mediterrania Capital, la svizzera Zoscales Partners e l’Oasis Capital del Bahrain, hanno siglato rilevanti accordi nel 2020 in Africa settentrionale, orientale e occidentale.

Il Nord Africa è stato un particolare hotspot per gli accordi sanitari, sia nell’area farmaceutica, dove la base industriale più sviluppata della sub-regione offre maggiori opportunità, sia nell’area dei servizi, dove i grandi segmenti di consumatori di classe media e alta forniscono un fiorente mercato.

Nell’Africa sub-sahariana, gli accordi sanitari sono stati relativamente diffusi, compresi notevoli investimenti in Africa centrale.

L’aumento dell’accesso a servizi sanitari di qualità e l’accrescimento della capacità di produzione farmaceutica nazionale, continueranno a dominare l’agenda di sviluppo del settore sanitario africano e ad essere l’obiettivo di futuri investimenti.

Circa il 10% delle operazioni registrate da Asoko Insight nel primo trimestre 2015-2021, erano offerte di tecnologia sanitaria. La previsione è che tali innovazioni continueranno a garantire il pieno sostegno della comunità degli investitori stranieri. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Il settore sanitario che fa gola” di Federica Iezzi


Roma, 23 ottobre 2021, Nena News 

Capo Verde – Il candidato dell’opposizione ed ex primo ministro, Jose Maria Neves, ha vinto le recenti elezioni presidenziali contro Carlos Veiga, portabandiera del Movimento para a Democracia (MpD), partito di centro-destra al governo.

Neves erediterà la responsabilità di stabilizzare l’economia trainata dal turismo del Paese facente parte dell’arcipelago atlantico della costa nord-occidentale dell’Africa, dopo che la pandemia legata al virus SARS-CoV-2 l’ha spinto in profonda recessione.

Neves, con il suo Partido Africano da Independência de Cabo Verde (PAICV), ha ottenuto il 51% dei voti, sulla base dei risultati ufficiali della totalità dei seggi elettorali, davanti a Veiga con il 42% delle preferenze. Meno del 2% ciascuno, agli altri cinque candidati.

Il trasferimento di potere sarà il quarto tra MpD e PAICV dall’indipendenza dal Portogallo nel 1975, consolidando lo status di Capo Verde come una delle democrazie più stabili dell’Africa.

Neves dovrà lavorare con un primo ministro del MpD, visto che il partito ha mantenuto la sua maggioranza parlamentare nelle scorse elezioni di aprile.

Repubblica Democratica del Congo – Decine di migliaia di manifestanti stanno marciando per le strade di Kinshasa per ottenere una commissione elettorale neutrale.

A scatenare le proteste è stata la proposta di sei gruppi religiosi di insediare Denis Kadima a capo della Independent National Electoral Commission (CENI).

La nomina di Kadima è stata accolta con collera, visti gli stretti legami con l’attuale presidente congolese Félix Antoine Tshilombo Tshisekedi.

Analisti politici e diplomatici hanno criticato la CENI per il suo ruolo nel controverso voto del 2018, in cui Tshisekedi raggiunse la vittoria.

Martin Fayulu, in corsa per la presidenza nel 2018, è tra i leader della protesta, insieme all’ex primo ministro Adolphe Muzito.

Si prevede che Tshisekedi cercherà un secondo mandato quando gli elettori congolesi torneranno alle urne nel 2023, con la CENI che probabilmente giocherà di nuovo un ruolo sostanziale.

Burkina Faso – Torna il più grande festival del cinema africano. Si è aperta ufficialmente la 27esima edizione del Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou (FESPACO), nella capitale del Burkina Faso.

La prima edizione risale al 1969 e ancora oggi rappresenta una rara opportunità per i narratori africani di mostrare le loro creazioni su un palcoscenico globale, come ricorda Alex Moussa Sawadogo, direttore di FESPACO.

La selezione ufficiale vede 17 lungometraggi competere per il primo premio del Festival, il Golden Stallion of Yennenga. Tra questi c’è l’atteso ‘The Three Lascars’ di Boubacar Diallo, una commedia che segue tre personaggi maschili in un’escursione segreta di un fine settimana.

Il festival celebra anche i documentari. Parate Yameogo e Jean-Claude Frisque hanno co-diretto ‘Jacob Salem – Rock the Naaba’, un breve documentario che segue la storia di Jacob Salem, scudiero del re dei Mossi, gruppo etnico politicamente dominante in Burkina Faso.

Per la prima volta quest’anno, FESPACO ospita anche The African International Film & TV Market (MICA), rilevante mercato per i distributori internazionali.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Neves nuovo presidente in Capo Verde, proteste nella Repubblica Democratica del Congo” di Federica Iezzi


#saluteglobale

Roma, 16 ottobre 2021, Nena News

E’ iniziata la campagna informativa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo l’uso del neo-vaccino contro la malaria RTS,S/AS01 tra i bambini dell’Africa subsahariana, con trasmissione da Plasmodium falciparum. La raccomandazione si basa sui risultati di un programma pilota condotto in Ghana, Kenya e Malawi che ha raggiunto più di 800.000 bambini dal 2019.

Secondo il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, l’utilizzo del vaccino in aggiunta agli strumenti esistenti per prevenire la malaria potrebbe salvare decine di migliaia di giovani vite ogni anno. Il vaccino contro la malaria RTS,S/AS01 dovrebbe essere somministrato in un programma di 4 dosi nei bambini a partire dai 5 mesi di età.

La malaria rimane una delle principali cause di malattie infantili e di morte nell’Africa subsahariana. Più di 260.000 bambini africani di età inferiore ai cinque anni muoiono di malaria ogni anno. Per secoli, la malaria ha perseguitato l’Africa subsahariana, causando immense sofferenze, ha affermato Matshidiso Moeti, direttore regionale dell’OMS per l’Africa. L’Africa ha a lungo sperato in un vaccino efficace contro la malaria. La raccomandazione di oggi offre un barlume di speranza per il continente che sopporta il fardello più pesante della malattia.

A partire dal 2019, più di due milioni di dosi vaccinali, recentemente sviluppate dal produttore farmaceutico britannico GlaxoSmithKline, sono state somministrate a bambini sotto i cinque anni in Ghana, Kenya e Malawi in un programma pilota su larga scala coordinato dall’OMS. Quello stesso programma ha seguito un decennio di studi clinici in sette Paesi africani.

Il 94% dei casi e dei decessi legati alla malaria si verifica in Africa, un continente abitato da 1,3 miliardi di persone. La malattia prevenibile è causata da parassiti trasmessi alle persone dalle punture di zanzare appartenenti al genere Anopheles.

Attualmente l’efficacia del vaccino nel prevenire casi gravi di malaria nei bambini è solo del 30%. Questo è l’unico modo in cui oggi può essere combattuta la malaria, sovrapponendo strumenti imperfetti, per garantire una percentuale di sopravvivenza via via più alta.

Un altro vaccino contro la malaria, sviluppato dall’Università di Oxford nel Regno Unito, l’R21/Matrix-M, ha mostrato fino al 77% di efficacia in uno studio di un anno che ha coinvolto 450 bambini in Burkina Faso. Ma è ancora nelle fasi di prova.

Anche la tedesca BioNTech ha affermato di voler avviare nuove sperimentazioni per un vaccino contro la malaria il prossimo anno, utilizzando la stessa rivoluzionaria tecnologia dell’mRNA.

Gli esperti affermano che la sfida ora sarà mobilitare finanziamenti per la produzione e la distribuzione del vaccino in alcuni dei Paesi a basse risorse.

La GlaxoSmithKline si è finora impegnata a produrre 15 milioni di dosi di vaccino Mosquirix (RTS,S/AS01) all’anno, oltre ai 10 milioni di dosi donate ai programmi pilota dell’OMS, fino al 2028.

La stima della domanda vaccinale contro la malaria sarebbe da 50 a 110 milioni di dosi all’anno fino al 2030, così garantendo la distribuzione nelle aree con trasmissione della malattia da moderata ad alta.

La GAVI alliance (Global Alliance for Vaccines and Immunization), un partenariato pubblico-privato globale, valuterà a breve se e come finanziare il programma di vaccinazione. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. La battaglia vaccinale anti-malarica in Africa sub-sahariana” di Federica Iezzi


Roma, 9 ottobre 2021, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – Kinshasa e Pechino rivedono l’accordo di cooperazione stretto nel 2008, che prevedeva la costruzione di edifici pubblici e strade per un valore di nove miliardi di dollari. Tredici anni dopo, il deficit infrastrutturale della Repubblica Democratica del Congo sta ancora ostacolando il suo sviluppo, ha dichiarato il presidente Félix Tshisekedi.

Nel 2008, l’ex-presidente Joseph Kabila aprì ufficialmente i negoziati con la Cina. Barattò rame e cobalto congolesi, estratti dalla società cinese-congolese Sicomines nel Katanga, per la costruzione di infrastrutture, con due società cinesi, Sinohydro e CREC (China Railway Engineering Corporation). Sono stati progettati più di 3.500 chilometri di strade, altrettanti chilometri di ferrovie, infrastrutture stradali a Kinshasa, 31 ospedali con 150 posti letto e 145 centri sanitari. In cantiere anche almeno 2.000 alloggi sociali nella capitale e 3.000 in provincia, oltre a due moderne università.

Sono stati però avviati solo pochi progetti. Secondo una nota tecnica dell’Agence Congolaise des Grands Travaux (ACGT), i progetti che i gruppi cinesi hanno realizzato non rispettano i loro impegni. Contrariamente a quanto promesso, non sono stati costruiti né università né ospedali. Sono stati completati solo 356 chilometri di strade asfaltate e 854 chilometri di strade sterrate. Diversi edifici sono ancora in fase di riabilitazione a Bukavu, Goma, Bunia e Kalemie.

Nonostante Pechino non abbia ufficialmente reagito alle recenti dichiarazioni che il capo di Stato congolese ha rilasciato contro i gruppi cinesi, i suoi diplomatici sono attualmente al lavoro per riprendere i contatti con le autorità e ripristinare la collaborazione.

Gibuti – Gran parte del quadro internazionale del Paese si concentra sulla Cina, nell’orbita economica della Belt and Road Initiative, insieme di progetti supportati dal governo di Pechino e finalizzati alla realizzazione e al potenziamento di infrastrutture commerciali.

Per molti versi la relazione tra Gibuti e la Cina è un caso di studio su come Pechino stia usando la sua strategia di investimento infrastrutturale globale, per aumentare la sua influenza economica e rafforzare la sua posizione di primo investitore in Africa. Nell’accettare vasti afflussi di capitali e prestiti cinesi, Gibuti si trova in una situazione di dipendenza economica.

Ma geopoliticamente è anche la storia di come un piccolo Paese africano, privo di risorse naturali, si sia aperto alle potenze internazionali per approfittare della sua posizione strategica all’ingresso del Mar Rosso. L’apertura della base militare cinese a Gibuti nel 2017, l’unica base permanente del People’s Liberation Army al di fuori della Cina, ha fornito un chiaro segnale dei forti legami tra i due Paesi.

Pechino aveva già puntato gli occhi su Gibuti nei primi anni 2000, investendo nella costruzione di scuole e stadi e ristrutturando strade ed edifici pubblici. Gli investimenti cinesi si sono intensificati dopo che il presidente Xi Jinping ha preso il potere nel 2012. Le tre principali opere forgiate da Xi Jinping sono il porto multiuso di Doraleh, la linea ferroviaria tra Gibuti e Etiopia e il gasdotto tra i due Paesi.

Gibuti ospita anche la zona di libero scambio internazionale, dove le imprese cinesi possono operare senza pagare tasse sul reddito, tasse sulla proprietà, tasse sui dividendi o IVA. E rappresenta indubbiamente un ponte verso Paesi africani molto più promettenti dal punto di vista economico, come l’Etiopia.

Il rapporto tra Cina e Gibuti si è raffreddato negli ultimi anni, soprattutto a causa del debito del Paese africano. La Cina detiene oltre il 70% del debito di Gibuti, che secondo alcuni osservatori minaccia la sovranità del Paese stesso.

Senegal – La Cina e il Senegal hanno assistito a una rapida crescita delle relazioni economiche da quando le due parti hanno ripreso i rapporti diplomatici nel 2005. Situato nell’angolo nord-ovest del continente africano, il Senegal è un piccolo Paese la cui economia è alimentata principalmente da agricoltura e pesca, ma che sta attivamente cercando l’industrializzazione attraverso il crescente appoggio finanziario dalla Cina.

Negli anni ’70, Cina e Senegal hanno stabilito relazioni diplomatiche. Due anni dopo, hanno firmato accordi commerciali ed economici che sono durati fino al 1996, quando il Senegal ha tessuto relazioni commerciali con Taiwan. Solo nel 2005, Cina e Senegal hanno ripristinato fragili relazioni diplomatiche.

Oggi, il presidente cinese Xi Jinping continua a spingere verso una forte cooperazione in materia economica e commerciale, mediante costruzione di infrastrutture e vie di comunicazione, aumento di importazioni di prodotti agricoli senegalesi, incoraggiamento negli investimenti internazionali.

Il Senegal è stato un punto caldo per gli investimenti cinesi in Africa occidentale. Le statistiche del National Bureau of Statistics mostrano che il commercio bilaterale è cresciuto costantemente a partire dal 2005. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Strade, scuole e basi militari: il ruolo della Cina nel continente” di Federica Iezzi


Roma, 2 ottobre 2021, Nena News

Sudan/Sud-Sudan – Il confine tra Sudan e Sud Sudan dovrebbe essere riaperto dopo il raggiungimento di un accordo che pone fine all’impasse decennale. I muri tra Sudan e Sud Sudan sono stati ufficialmente eretti quando il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza nel 2011. Un anno dopo i due Paesi sono entrati in conflitto per l’area contesa di Panthou/Heglig, ricca di petrolio. Diretta conseguenza fu l’interruzione del movimento transfrontaliero.

La chiusura è stata devastante per entrambi i Paesi. Il Sud Sudan non avendo sbocco sul mare dipende dai porti sudanesi per l’esportazione di petrolio greggio. Naturalmente una discreta fetta dell’economia del Sudan è subordinata alle tasse derivanti dall’esportazione di petrolio e di beni di consumo del Sud Sudan. Entrambi i Paesi hanno subito enormi perdite di proventi petroliferi. Il Sud Sudan è stato particolarmente colpito perché dipende interamente dalle entrate petrolifere e dalle sue esportazioni.

I precedenti tentativi di aprire il commercio tra i due Paesi sono falliti. Il recente accordo cataloga i quattro valichi di frontiera che saranno aperti: Jebeleen-Renk, Meriam, Buram-Tumsah e Kharsana-Panakuac.

L’apertura delle relazioni commerciali porterà benefici economici per entrambi i Paesi, come la creazione di posti di lavoro, il sostegno ai mezzi di sussistenza e il contributo alla sicurezza alimentare. Non è scontata la promozione di pace e relazioni sociali tra le comunità che vivono lungo il confine.

Il commercio transfrontaliero dovrà nello stesso tempo affrontare enormi sfide: tasse non necessarie, barriere amministrative e pratiche corrotte alla frontiera. Volontà politica e politiche macroeconomiche appropriate devono essere messe in atto. A completare il quadro, è necessario creare capacità istituzionali per consentire il commercio bilaterale e rafforzare il settore privato.

Il confine stesso tra Sudan e Sud Sudan non è dettagliatamente definito. Nel 2005 il Sudan Comprehensive Peace Agreement ha fornito procedimenti per delimitare e demarcare i confini. Ma il processo è fallito perché le parti coinvolte non sono riuscite a raggiungere una soluzione politica sulle aree di confine contese. La causa del conflitto che ne è seguito potrebbe essere in gran parte attribuita all’accettazione del confine coloniale britannico risalente al 1956.

Prima della separazione tra Sudan e Sud Sudan, i mezzi di sussistenza rurali della popolazione che viveva nelle 11 regioni di confine, dipendevano dal libero scambio e dalla circolazione di materiali oltre i confini. Con la separazione, la maggior parte delle riserve petrolifere e delle aree verdi, coltivabili e preziose per la pastorizia, sono entrate a far parte del Sud Sudan, privando il Sudan di considerevoli risorse strategiche.

Tra le comunità più colpite entrano di diritto quelle dei pastori sudanesi Misseriya. Circa un milione di famiglie. Le loro vite sono state interrotte e vincolate poiché dipendono completamente dalla migrazione stagionale verso il Sud Sudan durante la stagione secca, per raggiungere aree ricche di pascoli e acqua, abitati dalla comunità sud-sudanese Ngok Dinka.

Nonostante la chiusura delle frontiere, i commercianti e i pastori escogitarono percorsi e meccanismi informali per commercio e movimento. L’Unione Africana nel 2012 ha mediato un accordo sui confini morbidi tra i due Paesi, sfociato in libertà di soggiorno, libertà di movimento, libertà di intraprendere un’attività economica e libertà di acquistare e disporre di beni.

I due Paesi continuano a discutere riguardo la delicata questione dello status dell’area di Abyei. A cavallo del confine dei due Paesi, con ricche riserve di petrolio, la zona demilitarizzata di Abyei non è solo economicamente desiderabile, ma è anche fondamentale per la stabilità lungo il confine, ancora monitorato dalla missione di peacekeeping UNISFA (Forza di Sicurezza ad Interim delle Nazioni Unite per Abyei).

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Dieci anni dopo Sudan e Sud Sudan verso la riapertura dei confini” di Federica Iezzi


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#analisi

Roma, 25 settembre 2021, Nena News

Sahel – In testa alla lista dei conflitti armati da osservare del The Armed Conflict Location & Event Data Project, si conferma il Sahel. Continua a consolidarsi l’influenza di gruppi jihadisti in Mali, Niger e Burkina Faso e continuano ad espandersi le loro attività in Costa d’Avorio, Benin e Ghana.

La significativa instabilità politica nel Sahel completa il quadro. Il Mali ha subito due colpi di stato militari nei nove mesi tra agosto 2020 e maggio 2021. Il presidente ciadiano Idriss Deby Itno è stato ucciso durante un’incursione dei ribelli in Ciad dalla vicina Libia nell’aprile 2021. Il Niger ha attraversato contestate elezioni e un presunto tentativo di colpo di stato nel marzo 2021.

I rapporti tra gli affiliati ad al-Qaeda, Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), e l’Islamic State in the Greater Sahara (ISGS) si sono deteriorati in una vera e propria guerra per il territorio, soprattutto nell’area Liptako-Gourma sul confine tra Mali, Niger e Burkina Faso, contornata da pressioni esterne sostenute dall’operazione Barkhane, a guida francese. JNIM e ISGS hanno spostato i loro sforzi in aree geografiche, oltre la portata immediata di forze esterne, attaccando milizie etniche e gruppi di autodifesa. Ulteriore elemento destabilizzante nell’area è stata la recente uccisione, da parte delle forze francesi, del leader dell’ISGS, Adnan Abu Walid al-Sahrawi.

I primi sei mesi del 2021 mostrano una traiettoria simile a quella dell’anno precedente, con cicli perpetui e crescenti di violenza. L’escalation di combattimenti in Burkina Faso, nelle aree di Solhan e Bilibalogo, segue il crollo di un fragile cessate il fuoco tra le forze armate governative e il JNIM, in vigore per la maggior parte del 2020. Nel Burkina Faso orientale, i combattenti affiliati al JNIM hanno esercitato pressioni in piccole comunità isolate tra cui Mansila, Tankoualou, Tanwalbougou, Kpenchangou e Madjoari.

Lo sconvolgimento politico in seguito al secondo colpo di stato a guida militare in Mali, ha acuito il conflitto. Come diretta conseguenza, la Francia ha sospeso le operazioni militari a fianco delle forze maliane e la brusca interruzione ha evidenziato la posizione sempre più problematica della Francia nel supporto di regimi controversi e antidemocratici.

La Francia sembra che intenda investire il Niger di responsabilità centrale, sia a livello operativo che logistico. Niamey è infatti pronta ad ospitare il nuovo centro di comando e controllo della Task Force Takuba. La fine dell’Operazione Barkhane, guidata dal 2014 dall’esercito francese, insieme a un graduale ritiro delle truppe militari e alla chiusura di basi militari nel nord del Mali, ha portato a costruire una coalizione più ampia con una maggiore condivisione degli oneri con altri Paesi europei.

Nel frattempo, come parte della trasformazione della missioni militare francese, si concretizza la cooperazione con gli Stati Uniti sulle operazioni di antiterrorismo in Africa. Completa l’assetto l’assunzione di maggiori responsabilità da parte dello stesso Sahel per la propria sicurezza, coinvolgendo truppe da Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger e Costa d’Avorio.

Sia il Mali che il Burkina Faso hanno avviato trattative con i gruppi jihadisti, con vari gradi di coinvolgimento del governo centrale. In Mali, il Ministry of National Reconciliation ha incaricato una delegazione del High Islamic Council of Mali (HICM) alla facilitazione dei colloqui. Molti accordi sono stati negoziati direttamente tra comunità locali e militanti JNIM.

L’aumento dei danni collaterali su obiettivi civili è stato in gran parte indotto dalla formazione, da parte dell’ISGS, di gruppi di autodifesa tra gli abitanti delle aree rurali. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. L’escalation jihadista in Sahel” di Federica Iezzi


#analisi

Roma, 18 settembre 2021, Nena News

Etiopia – Mentre le recenti elezioni parlamentari hanno dimostrato una schiacciante vittoria del Prosperity Party, guidato dal premier Abiy Ahmed, la violenza delle molteplici insurrezioni attive in Etiopia continuano a sopraffare e destabilizzare l’intero Paese. Il voto è stato ostacolato in diverse località etiopi a causa dei violenti scontri in corso. I partiti di opposizione hanno boicottato le elezioni in seguito a abusi, detenzioni arbitrarie e sparizioni.

Il governo centrale ha perso il controllo del capoluogo regionale del Tigray, la città di Mekele, a seguito di una pesante offensiva da parte del Tigray People’s Liberation Front (TPLF), rendendo ancora più arduo il percorso di un plausibile puzzle politico. Le truppe federali etiopi hanno combattuto numerose insurrezioni in tutto il Paese nel 2021. Nel Tigray, hanno spinto il TPLF dalle loro roccaforti nelle principali città della regione. Tuttavia, le operazioni militari sono precipitate in un pantano per il governo Abiy, quando il TPLF ha lanciato un’insurrezione paralizzante.

L’amministrazione della zona del Tigray occidentale è stata a lungo contesa tra i gruppi etnici Tigrini e Amhara, ancor prima dell’inizio dell’ultimo conflitto nel novembre 2020. Il TPLF ha insistito sul ritiro di tutte le forze Amhara dai confini statali regionali del Tigray e sul ritorno ad uno status quo, condizione non accettata dalla regione Amhara.

Per mantenere il controllo territoriale, l’Etiopia ha dovuto affrontare forti pressioni diplomatiche, comprese una serie di pesanti sanzioni, a causa del coinvolgimento delle truppe eritree nei combattimenti, di attacchi indiscriminati ai danni di obiettivi civili e di atti di violenza sessuale. Inoltre le autorità federali e regionali sono state costrette a lottare per contenere le insurrezioni minori nelle regioni di Oromia, Benshangul/Gumuz e Southern Nations, Nationalities and Peoples Region (SNNPR).

In ogni caso, gli attacchi contro le minoranze etniche sono aumentati esponenzialmente in tutto Paese. Il 32% dell’Etiopia oggi sta vivendo una sorta di violenza politica. Gravi violenze sono scoppiate anche in aree di territorio conteso tra la regione nordorientale degli Afar e la regione sudorientale dei Somali, nonché nella regione centrosettentrionale di Amhara. Centinaia di civili hanno perso la vita e si contano migliaia sfollati interni.

Secondo l’ultimo report del The Armed Conflict Location & Event Data Project, rimangono al centro dell’attenzione del governo: il controllo territoriale, la secessione e le politiche identitarie, insieme alla gestione della sicurezza e le relazioni internazionali.

Il quadro più preoccupante è quello legato all’esercito federale, costretto a fare affidamento su gruppi armati al di fuori della propria struttura militare. Ciò riguarda principalmente le forze di polizia note come Liyu, inviate in missioni di combattimento in aree al di fuori della propria regione d’origine. Le milizie regionali e i loro programmi non sono necessariamente allineati alla sopravvivenza del governo Abiy, anzi operano appoggiate a diverse fazioni all’interno della loro regione d’origine. Sottolineando la natura conflittuale del riconoscimento amministrativo in numerose regioni etiopi, il governo Abiy continua a non essere in grado di sostenere un cambiamento tangibile nel processo di federalismo del Paese. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. In Etiopia esplodono le violenze etniche” di Federica Iezzi


Roma, 11 settembre 2021, Nena News

Guinea Conakry – Le forze speciali militari guineane, guidate dal tenente colonnello Mamady Doumbouya, hanno preso il potere con un colpo di stato, rovesciando il governo decennale di Alpha Condé.

I militari hanno promesso di cambiare la struttura politica del paese dell’Africa occidentale che detiene le più grandi riserve di bauxite del mondo, minerale utilizzato per produrre alluminio.

Ai funzionari del governo guineano è stato vietato di lasciare il Paese fino a nuovo avviso, anche se le frontiere risultano aperte, e il coprifuoco imposto nelle aree minerarie è stato revocato. Atti doverosi per rassicurare sia gli attori internazionali, che hanno immediatamente condannato il colpo di stato, sia la popolazione guineana. L’ottimismo con cui Condé è stato eletto al potere nel 2010 è completamente svanito.

Il colpo di stato ha incontrato la condanna di alcuni dei più forti alleati della Guinea. Queste azioni potrebbero limitare la capacità degli Stati Uniti e degli altri partner internazionali della Guinea di sostenere il Paese. Le Nazioni Unite hanno rapidamente contestato l’accaduto, l’Unione Africana ha minacciato dure sanzioni e la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) ha sospeso l’adesione della Guinea fino al ripristino di un ordine costituzionale. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha dichiarato che la violenza e le misure extra-costituzionali potrebbero erodere le prospettive di stabilità e prosperità della Guinea.

Intanto il traffico è ripreso nella capitale guineana, Conakry, dopo i pesanti colpi di arma da fuoco durante i combattimenti tra le forze speciali e i l’esercito fedele a Condé.

Doumbouya ha dichiarato che la povertà e la corruzione endemica hanno spinto le sue forze a rimuovere Condé dall’incarico e ha subito parlato di un governo di unità nazionale.

Sud Sudan – ‘Preoccupante nuova ondata di repressione in Sud Sudan’ – E’ quanto dichiarato nell’ultimo report da Amnesty International.

Arresti arbitrari di numerosi attivisti, giornalisti e dipendenti di organizzazioni no-profit hanno segnato le ultime settimane di un Paese fermo in una instabilità politica cronica.

Rappresentanti di gruppi in difesa dei diritti umani hanno ricevuto segnalazioni e hanno subito vessazioni.

La recente repressione appare la conseguenza a una dichiarazione del gruppo People’s Coalition for Civil Action (PCCA), ampia coalizione di attivisti, accademici, avvocati ed ex funzionari di governo, che chiedeva una rivolta pubblica pacifica, in sostegno della libertà di informazione e di espressione.

Forze di sicurezza pesantemente armate sono state dispiegate per monitorare le strade delle principali città alla ricerca di qualsiasi segno di opposizione. E le autorità sud-sudanesi hanno prontamente chiuso una stazione radio e un think-tank in relazione alle proteste.

In una dichiarazione congiunta Stati Uniti, Unione Europea, Gran Bretagna e Norvegia hanno esortato il governo del Sud Sudan a proteggere i diritti fondamentali dei cittadini.

Madagascar – Quattro anni di siccità, una delle prime carestie al mondo causate dal cambiamento climatico, persone costrette a mangiare locuste, foglie selvatiche e frutti di cactus per sopravvivere. E’ il quadro odierno del Madagascar.

Il Paese è stato a lungo tormentato da siccità e inondazioni, che negli ultimi anni hanno spinto almeno 30.000 persone al livello cinque di carestia, il maggiore di insicurezza alimentare secondo gli standard internazionali.

Secondo il World Food Programme più di un milione di persone nel Paese sta vivendo una qualche forma di grave insicurezza alimentare

Gli effetti della siccità hanno anche portato a perdite agricole fino al 60% nelle province più popolate. E la situazione è stata ulteriormente aggravata dalla pandemia legata al virus SARS-CoV-2.

Il Madagascar produce lo 0,01% delle emissioni annuali di carbonio del mondo, ma sta subendo alcuni degli effetti peggiori, con piogge torrenziali, siccità e raccolti sempre più inadeguati.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Colpo di stato in Guinea Conakry” di Federica Iezzi


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#analisi

Roma, 4 settembre 2021, Nena News

Mozambico – Ridotto d’intensità ma non per questo meno letale, il conflitto nel nord del Mozambico, nella provincia settentrionale di Cabo Delgado, non accenna ad arretrare. Il Mozambico appare nell’elenco dei dieci conflitti da osservare sui report del The Armed Conflict Location & Event Data Project.

L’insurrezione islamista del gruppo armato Ansar al-Sunna, dell’ottobre 2017 ha mantenuto costante la sua forza, internazionalizzando il conflitto. A sostegno del governo mozambicano, con un considerevole dispiegamento militare, la Southern African Development Community (SADC) e il Rwanda. L’ultimo report dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni parla di almeno 800.000 sfollati interni nell’area di Cabo Delgado, nella provincia nord-orientale di Nampula e in quella nord-occidentale di Niassa. Ancora oggi il governo del Mozambico non dispone di una strategia chiara nella gestione militare del conflitto.

Nel marzo 2021, feroci combattimenti hanno devastato il distretto di Palma, al confine con la Tanzania, area ricca di gas naturale liquefatto, chiave per il futuro economico del Paese. Il Mozambico, infatti, potrebbe ricoprire un importante ruolo a livello globale, proprio grazie ai giacimenti di gas offshore. Sulla stessa scia, le truppe governative hanno occupato la città strategica di Diaca, nel distretto nord-est di Mocímboa da Praia. Sebbene non si siano impegnati nel garantire misure di sicurezza dirette a Cabo Delgado, gli Stati Uniti hanno intensificato un piano antiterrorismo in Mozambico, con il lancio del Joint Combined Exchange Training, con il fine di supportare le forze militari nazionali. E l’Unione Europea dovrebbe presto annunciare l’inizio della propria missione di addestramento militare. Questo a fianco dell’appoggio assicurato da Angola e Zimbabwe.

La SADC, al contrario, continua a far pressione su Maputo per accettare nell’immediato una forza di intervento regionale. Intanto, è già in atto un negoziato per il dispiegamento di almeno 1.000 militari rwandesi a Cabo Delgado, per garantire stabilizzazione e sicurezza. Ampie preoccupazioni rimangono ancora oggi focalizzate sugli attacchi al confine con la Tanzania. Il Paese ha già accolto un considerevole numero di rifugiati mozambicani, in fuga dal conflitto nel distretto di Palma, molti dei quali ridistribuiti, in seguito, nel distretto mozambicano di Mueda. Il governo Nyusi sta aumentando la sua dipendenza verso i Private Military Contractors, per lo più provenienti dalla compagnia sudafricana, Dyck Advisory Group. Non mancano mercenari russi del Wagner Group. Inoltre, sta lavorato per espandere le proprie capacità militari, mediante l’acquisto di specifico equipaggiamento bellico e mediante il solido sostegno all’addestramento.

Nel frattempo, le rimostranze locali contro il governo crescono, così come le necessità di supporto umanitario. Secondo la Convenzione per la protezione e l’assistenza degli sfollati interni in Africa, adottata a Kampala nel 2009, i Paesi membri dell’Unione Africana sono chiamati a fornire assistenza agli sfollati interni, consentendo e facilitando un accesso rapido e senza ostacoli da parte delle organizzazioni umanitarie. Ma la persistente insicurezza e le restrizioni del governo continuano ancora a ostacolare l’accesso di aiuti umanitari nell’intera provincia di Cabo Delgado. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Nel nord del Mozambico si continua a combattere“ di Federica Iezzi


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#analisi

Roma, 7 agosto 2021, Nena News – Anche l’Africa è stata coinvolta nello scandalo globale che ha come protagonista lo spyware Pegasus, sviluppato e commercializzato dalla società informatica israeliana NSO Group, che consente la sorveglianza remota degli smartphone.

Un consorzio di 17 testate giornalistiche coordinato dalla piattaforma indipendente Forbidden Stories, in collaborazione con il Security Lab di Amnesty International, ha annunciato che circa 50.000 numeri di telefono sono stati presi di mira dal potente programma. Ufficialmente destinato a identificare criminali e terroristi, il software è finito nelle mani di Paesi in cui la maggior parte degli obiettivi sono diventati giornalisti, oppositori, avvocati e attivisti per i diritti umani.

Questo tipo di tecnologia sembrava al di fuori della portata dei regimi africani. E poi nella dimostrazione del quadro di utilizzo, compaiono nell’elenco schiacciante della ‘Pegasus Gates’ tre Paesi del continente africano: Marocco, Rwanda e Togo.L’utilizzo del software in Africa può essere facilmente spiegato, visto che in termini di sicurezza, cinque dei Paesi africani si classificano tra i primi 10 meno pacifici del pianeta, secondo l’edizione 2021 del Global Peace Index.Il presidente francese Emmanuel Macron ha invitato il primo ministro israeliano Naftali Bennett a proseguire un’indagine sulle accuse sollevate nel rapporto, secondo cui sarebbe controllato dal Marocco.

I delicati rapporti affermano che i servizi segreti del Marocco sorvegliavano strettamente giornalisti detenuti, l’ex primo ministro francese Edouard Philippe, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus. Naturalmente il governo marocchino, visto che dipende in larga misura dal sostegno diplomatico francese, ha negato di utilizzare lo spyware Pegasus, definendo la segnalazione ‘mendace e malevola’.

Nella lista è apparso anche il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, presumibilmente tallonato dal governo del Rwanda. Le relazioni tra Kigali e Pretoria sono state tese da quando l’ex capo dell’intelligence rwandese in esilio Patrick Karegeya, un critico del presidente Paul Kagame, è stato assassinato a Johannesburg nel 2013. I due Paesi hanno lavorato per migliorare le relazioni politiche bilaterali, con il recente incontro tra il ministro degli Esteri rwandese Vincent Biruta e la controparte sudafricana Naledi Pandor. Le tensioni si sono riaccese dopo che il Mozambico ha chiaramente preferito un intervento rwandese, durante le sommosse jihadiste a Cabo Delgado, a uno regionale guidato dal Sudafrica.

Secondo l’analista François Conradie dell’NKC African Economics, il governo Kagame avrebbe usato la strumentazione di Pegasus per inseguire altri disertori del regime, tra cui Paul Rusesabagina, ex direttore dell’Hôtel des Mille Collines a Kigali, che notoriamente diede rifugio a Tutsi e Hutu moderati durante il genocidio rwandese nel 1994. Da quando ha lasciato il Rwanda nel 1996, Rusesabagina è schedato come feroce critico del Fronte Patriottico Rwandese di Kagame. È stato arrestato lo scorso anno con accuse di terrorismo in relazione alla sua affiliazione con il National Liberation Front, braccio armato della piattaforma di opposizione rwandese MRCD-UBUMWE.

E almeno 300 contatti togolesi tra attivisti, giornalisti e oppositori politici, compaiono nell’elenco dei potenziali obiettivi di Pegasus. Il Togo è uno dei Paesi africani più vicini allo stato ebraico. Rigorosamente controllati gli oppositori del regime di Faure Gnassingbé. È il caso di Tikpi Atchadam, leader del Partito Nazionale Panafricano, e Agbéyomé Kodjo, ex primo ministro togolese.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Gli effetti di Pegasus in Africa” di Federica Iezzi


South Africa - Al_Jazeera

#analisi

Roma, 31 luglio 2021, Nena News

Sudafrica – Nelle ultime settimane il Sudafrica è stato travolto dalle peggiori violenze di massa dalla fine dell’apartheid. In una inquietante calma, il presidente Cyril Ramaphosa ha descritto i disordini come un’insurrezione che prende di mira l’economia e le infrastrutture del Paese. La sommossa, innescata dalla reclusione dell’ex presidente Jacob Zuma per oltraggio alla corte, all’inizio di luglio, ha già contato più di 200 morti, la catena di approvvigionamento di un’intera provincia distrutta, danni per miliardi di dollari inflitti a due delle principali città sudafricane e centinaia di parti chiave delle infrastrutture del Paese rase al suolo.

Nella provincia del KwaZulu-Natal, abitata da circa 12 milioni di persone, per assenza delle autorità statali, numerosi quartieri hanno formato milizie armate per proteggere le loro comunità. Ramaphosa ha dispiegato 25.000 soldati della South African National Defence Force nelle aree colpite, il più grande dispiegamento di truppe dall’avvento della democrazia nel 1994. I disordini sono iniziati presso il Mooi River Toll Plaza. Il nodo stradale è parte fondamentale dell’economia del Paese, in quanto collega il porto di Durban, il più grande dell’Africa subsahariana, al cuore economico del Sudafrica, la provincia di Gauteng.

Contemporaneamente ad un saccheggio di massa, una campagna di sabotaggio economico ben organizzata e pianificata ha preso di mira l’intera catena di approvvigionamento del KwaZulu-Natal, insieme alle principali infrastrutture di comunicazione, alle strutture idriche e ad altre parti vitali dell’economia della provincia. Cliniche mediche, moschee, scuole e farmacie non sono state risparmiate. Il KwaZulu-Natal ha una tragica storia di violenza razziale tra la popolazione di colore della provincia e la grande comunità indiana presente nell’area, basti tornare indietro ad eventi come le rivolte di Durban del 1949.

La rivolta è stata scatenata dalla fazione Radical Economic Transformation (RET), del partito al potere African National Congress (ANC), forze che chiedono il rilascio di Zuma dal carcere. Il RET include: imprenditori politici che vendono i propri servizi e profili mediatici, le mafie, che vedono nella difesa di Zuma un modo per proteggersi, i veterani militari fedeli a Zuma, elementi delle chiese carismatiche, che da anni si impegnano a difendere Zuma e beneficiano delle sue reti clientelari e nazionalisti Zulu.

Nella campagna ‘Free Jacob Zuma’, la fazione RET ha espressamente richiesto: l’immediata scarcerazione dell’ex presidente e il conseguente ritiro delle accuse di corruzione contro di lui, la nazionalizzazione della South African Reserve Bank, di miniere e di altre grandi industrie, l’espropriazione statale delle terre ai bianchi senza compensazione come core centrale di una più ampia riforma agraria. Secondo i rapporti di differenti comuni del KwaZulu-Natal, la polizia della provincia è in gran parte scomparsa dalle strade durante i disordini.

Sono state avanzate le accuse che funzionari dell’ANC del KwaZulu-Natal e titolari di cariche pubbliche siano stati coinvolti nella pianificazione e nell’esecuzione degli attacchi stessi. Era facile predire che il Sudafrica sarebbe stato colpito da disordini di massa. La maggior parte della popolazione vive in povertà, più del 30% della forza lavoro è disoccupata, i servizi di base sono crollati in gran parte del Paese e il governo è inefficiente e corrotto. Questo, combinato con le continue divisioni razziali ed etniche. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Violenze di massa in Sudafrica” di Federica Iezzi


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#analisi

Roma, 24 luglio 2021, Nena News

Somalia – Gli effetti dei cambiamenti climatici come siccità, inondazioni improvvise, piogge irregolari, cicloni, tempeste di sabbia e aumento delle temperature stanno tormentando la Somalia.

Influenzano fortemente i mezzi di sussistenza e contribuiscono alla crescita delle tensioni tra comunità, come già rilevato nel National Adaptation Programme of Action on climate change (NAPA), rapporto del governo somalo risalente al 2013. Il documento rimane la migliore stima dell’impatto del brusco cambiamento meteorologico nel Paese.

Secondo il rapporto, il Paese ha registrato un aumento graduale e continuo delle temperature medie annuali tra il 1991 e il 2013, raggiungendo una temperatura massima giornaliera di 40°C. Il rapporto stima che le temperature aumenteranno ancora di 3,2°C-4,3°C entro la fine del ventunesimo secolo.

I cambiamenti climatici come la siccità alimentano i conflitti tra pastori e allevatori, visto che comunità stanziali e allevatori di bestiame devono competere per le esigue risorse disponibili. Nel 2019, 53.000 persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni a causa di uno scarso raccolto e della ridotta redditività del bestiame. Questi si sono uniti ai circa 2,6 milioni di somali già sfollati da altri fattori come il conflitto armato.

Le disastrose siccità tra il 2000 e il 2011 sono state aggravate da carestie, insicurezza alimentare, scarsità d’acqua e perdita di mezzi di sussistenza. Il cambiamento climatico può esercitare un effetto indiretto e condizionato sul rischio di conflitto. In Somalia è possibile identificare chiaramente molteplici percorsi attraverso i quali il cambiamento climatico interagisce con gli stress politici, sociali e ambientali, peggiorando vulnerabilità e tensioni già esistenti.

Queste tensioni potrebbero potenzialmente minare i guadagni in termini di sviluppo, avere un impatto sulle dinamiche dei conflitti in corso e interrompere i fragili processi di pace. Il Climate, Peace and Security Fact Sheet – Somalia, recente ricerca portata avanti dal Norwegian Institute of International Affairs e dallo Stockholm International Peace Research Institute, esamina l’intersezione tra clima, pace e sicurezza in Somalia.

In Somalia, solo l’1,6% della superficie totale è coltivato e il 69% è pascolo permanente. Per gli agricoltori somali, i mezzi di sussistenza e i cicli di lavoro sono strettamente legati alle stagioni del raccolto. Per i pastori, la migrazione del bestiame è legata alle aree di pascolo durante le stagioni umide. Pertanto, il cambiamento delle stagioni ha gravi effetti a cascata sui mezzi di sussistenza di pastori, agricoltori e intere comunità.

Uno di questi effetti è il conflitto tra pastori e agricoltori. A causa di inondazioni, ondate di calore e siccità, la produzione agricola e zootecnica sta diminuendo. Le comunità insediate e i pastori sono in competizione per le esigue risorse disponibili, come pascoli verdi e seminativi. E questo indirettamente alimenta le tensioni. A causa della mancanza della presenza del governo in alcune aree rurali somale, le comunità pastorali spesso ricorrono al commercio illecito e all’uso di armi.

È più probabile che il cambiamento climatico e il degrado ambientale conducano a conflitti locali piuttosto che a guerre civili. Tuttavia, le tensioni su piccola scala possono aumentare il rischio di conflitti più ampi se sfruttate da gruppi politici. E le migrazioni legate al clima possono potenzialmente esacerbare le tensioni tra le comunità somale. Quando i clan migrano tra le regioni, aumenta il rischio di violenza da parte dei gruppi dominanti che cercano di mantenere il controllo delle risorse nelle loro aree native.

Una strategia intelligente dovrebbe integrare i rischi climatici nella pianificazione della sicurezza. Questo migliora direttamente la capacità di prevenire la violenza legata al clima. Nazioni Unite e partner internazionali dovrebbero attivamente sostenere il governo federale somalo a integrare le risposte ai rischi per la sicurezza, legati al clima, per garantire un reale processo di pace. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Somalia tra cambiamento climatico e conflitto” di Federica Iezzi


#analisi

Roma, 17 luglio 2021, Nena News

Sahel – Nel 2021 la crisi del Sahel entra nel suo decimo anno. Nonostante la natura transnazionale del conflitto prolungato, ogni Paese dell’area ha sperimentato diversi modelli di violenza e successive trasformazioni.

Sia l’Islamic State in the Greater Sahara (ISGS) che Jama’at Nusrat Al Islam Wal Muslimin (JNIM), gruppo affiliato ad al-Qaeda, hanno spostato i loro sforzi in aree geografiche adiacenti al Sahel, di fronte a forti pressioni militari nella regione di confine tra Niger, Burkina Faso e Mali (Liptako-Gourma).

Il rinnovato impegno nei conflitti locali ha consentito ai gruppi militanti jihadisti di ampliare il proprio raggio d’azione, riaffermare la propria influenza, mobilitarsi e ottenere risorse per una ristrutturazione. Quadro estremamente chiaro nelle regioni Tillaberi e Tahoua del Niger, nelle parti orientali del Burkina Faso e nel Mali centrale.

IL NIGER COMBATTE contro l’insurrezione di Boko Haram nel bacino del lago Ciad, l’insurrezione saheliana guidata dall’ISGS nel nord di Tillaberi e l’attività del JNIM nel sud-ovest di Tillaberi.

Dall’inizio del 2021, il paese è stato caratterizzato da una significativa instabilità. Una serie di omicidi su larga scala contro civili di etnia Djerma e Tuareg ha provocato la maggior parte dei decessi segnalati. Il numero di uccisioni attribuite all’ISGS, rappresenta il 66% di tutti i decessi per violenza politica organizzata in Niger nel 2021.

Tillaberi e Tahoua hanno una lunga e complessa genealogia di violenza legata a ribellioni, conflitti etnici e reti militanti e criminali. La striscia di confine tra le due aree e la regione di Menaka in Mali ha vissuto uno dei periodi più intensi di violenze interetniche.

Durante i discussi massacri del gennaio 2021 a Tchoma Bangou e Zaroumadareye, violenti scontri si sono susseguiti tra gli abitanti del villaggio di Djerma, che si opponevano all’ISGS, e i membri della comunità Fulani. L’etnia Fulani è risultata un bersaglio facile molto probabilmente a causa dei legami percepiti con i militanti, ma risultano proprio i Fulani quelli che sopportano il peso maggiore del capro espiatorio e della stigmatizzazione.

A DIFFERENZA DEL NIGER, IL BURKINA FASO HA VISTO una significativa riduzione dei decessi legati al conflitto nel Sahel, dal marzo 2020. Le operazioni congiunte tra il G5 Sahel (di cui il Burkina Faso fa parte) e le forze francesi, in particolare contro l’ISGS, sono rimaste costanti nell’area di confine dei tre stati. Questo ha indebolito notevolmente le capacità del gruppo ISGS, soprattutto nelle aree del centro-nord e dell’est del Burkina Faso.

I negoziati tra autorità burkinabé e JNIM all’inizio del 2020 hanno portato alla revoca dell’embargo sulla città settentrionale di Djibo, allo svolgimento delle elezioni presidenziali in condizioni di relativa calma, a episodi limitati di violenza.

Il fragile cessate il fuoco è crollato quando la violenza è divampata di nuovo in diverse regioni. A partire dal novembre 2020, nella città nord-orientale di Mansila, nell’area di Djibo e nella città nordoccidentale di Koumbr, scontri tra JNIM e FDS (Defense and security forces) hanno provocato lo sfollamento di migliaia di civili. Sono inoltre riemerse tensioni tra le comunità di etnia Fulani e Mossi a Kobaoua e Namssiguia.

I gruppi affiliati al JNIM nel Burkina Faso orientale hanno mostrato comportamenti diversi rispetto ai gruppi del medesimo orientamento in Mali. Per più di un anno, c’è stata una disconnessione tra il centro e la periferia all’interno dell’organizzazione JNIM. Le unità operano con estrema autonomia e sono modellate dai contesti e dalle circostanze locali.

I gruppi militanti in Burkina Faso si sono sviluppati in uno spazio geografico che si trova tra due poli di influenza in competizione. In generale, tra il JNIM, più pragmatico in Mali, e l’ISGS più estremo nella regione di confine tra Burkina Faso, Mali e Niger.

L’influenza jihadista in costante crescita nel Burkina Faso orientale ha esposto il vicino Benin alla minaccia di violenti scontri.

EPICENTRO DELLA CRISI DEL SAHEL RESTA IL MALI. Le operazioni militari su larga scala a guida francese che hanno accompagnato il lancio della Task Force Takuba non hanno indebolito la strategia dell’ISGS.

Nella regione centrale di Mopti, il JNIM ha perpetrato azioni violente contro le comunità etniche a maggioranza Dogon. Mentre nella vicina regione di Segou continua il conflitto tra le comunità Bambara e Fulani.

Dopo lunghi negoziati, che non sono riusciti a porre fine ai combattimenti, l’High Islamic Council of Mali (HCIM) è finalmente riuscito a raggiungere un delicato cessate il fuoco tra le parti nell’aprile 2021.

Tuttavia, nel 2020, le forze armate maliane (FAMa) hanno ucciso più civili dei gruppi militanti jihadisti e hanno commesso più violazioni dei diritti umani, come mostrano i dati dell’ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project) e delle Nazioni Unite (MINUSMA, marzo 2021).

La politica dirompente nella capitale Bamako ha messo a dura prova le relazioni Mali-Francia. Macron ha recentemente sospeso le operazioni militari congiunte e la cooperazione con il Mali, privando il Paese di una copertura aerea cruciale e di capacità di intelligence.

Le operazioni militari congiunte su larga scala delle forze francesi e del G5 Sahel si sono concentrate sulla regione di confine dei tre stati, allentando la morsa dei gruppi militanti jihadisti e indebolendo la loro presenza nell’area.

Sebbene gli accordi di pace locali, in assenza di uno sforzo globale, forniscano alle popolazioni una tregua almeno temporanea dalla violenza, tendono ad essere fragili e difficili da sostenere a lungo termine. Accordi infranti e cessate il fuoco, dopo periodi di intensa coercizione, sono stati seguiti da cicli di violenza maggiormente preoccupanti. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. La crisi nel Sahel” di Federica Iezzi


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Roma, 10 luglio 2021, Nena News

Sud Sudan – Un feroce conflitto, che ha ucciso almeno 400mila civili, segna il decimo anniversario per il Sud Sudan dall’ottenimento dell’indipendenza. Una radicata corruzione, una crisi umanitaria in peggioramento e fragili accordi di pace incorniciano il Paese. Vanificate le imponenti speranze del 2011, dopo il voto schiacciante per la secessione, che avrebbero dovuto liberare il Paese da decenni di guerra con il Sudan.

Il Sud Sudan oggi ospita circa 12 milioni di persone, provenienti da più di 60 gruppi etnici, le cui culture, religioni e lingue sono distinte dal governo arabo islamico del Sudan.

Il giorno dell’indipendenza del Sud Sudan ha rappresentato uno dei più grandi successi della diplomazia americana in Africa, fortemente sostenuta dai cristiani evangelici, offrendo un raro esempio di cooperazione bipartisan. Oggi, il Sud Sudan è diventato un simbolo dell’arroganza e dell’esagerazione americana, il grande successo politico frantumato di fronte alla violenza e alla paralisi amministrativa.

Fin dall’inizio, con Salva Kiir, ex leader ribelle di etnia Dinka e primo presidente del Sud Sudan, era nota e visibile una pesante eredità di guerra e sottosviluppo. Il nuovo governo, con Riek Machar vice presidente di etnia Nuer, e composta da ex nemici politici e milizie, ha reso debole il processo di integrazione politico. La violenza genocida contro i civili di vari gruppi etnici è una delle principali questioni che ancora oggi affligge il Paese.

Le spaccature all’interno del partito di governo si sono rapidamente intensificate, con Kiir e Machar in aperta guerra per il potere. Nel luglio 2013, Kiir ha rimosso dall’incarico governativo Machar dando vita a una rovinosa guerra civile. I tentativi di sedare i combattimenti sono stati inutili, innumerevoli cessate il fuoco sono stati violati e il primo accordo di condivisione del potere nel 2015 tra il governo di Kiir e l’opposizione di Machar è fallito.

Un secondo accordo di pace firmato nel 2018 ha invitato le parti in guerra a formare un governo di coalizione, con scarsi risultati. L’accordo ha portato al ripristino di Machar e ha posto le basi per le elezioni alla fine del 2022. Sia Kiir che Machar sono diventati ostacolo alla democrazia, allo sviluppo economico e al progresso umano.

Mentre i combattimenti su larga scala risultano parzialmente ridotti, gli scontri tra le comunità continuano, le parti chiave degli accordi di pace devono ancora essere ufficializzati, e un esercito nazionale unificato, che combini le forze dell’opposizione e del governo, deve ancora essere formalizzato. Non ci sono istituzioni nel Paese. L’unica istituzione che esiste è l’esercito ed è in linea di massima un’istituzione predatoria.

Il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan, pubblicato lo scorso febbraio, parla di un’intensificazione degli attacchi contro la popolazione civile, seguendo specifiche linee etniche, da parte di gruppi armati e milizie organizzate, spesso con il sostegno dello Stato e delle forze di opposizione.

Funzionari del governo risultano implicati nel saccheggio di fondi pubblici, nonché nel riciclaggio di denaro, concussione ed evasione fiscale. Senza chiari progressi, la frustrazione e la mancanza di fiducia nel governo continuano a crescere e ad alimentare la violenza.

Il rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Sud Sudan, Nicholas Haysom, ha dichiarato al Consiglio di sicurezza che la violenza intercomunale è stata responsabile di oltre l’80% delle vittime civili, dall’inizio dell’anno.

Secondo l’ultimo report delle Nazioni Unite, più di otto milioni di persone dipendono interamente dagli aiuti umanitari. A partire dal 2018, solo il 2,11% della spesa pubblica del Sud Sudan è stata riservata ai servizi sanitari. Circa 30mila persone stanno affrontando le conseguenze della carestia, decine di migliaia di persone sono identificate come sfollati interni e almeno due milioni di persone hanno cercato rifugio in altre nazioni. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Dieci anni di Sud Sudan tra speranze infrante e violenze sui civili” di Federica Iezzi

Médecins Sans Frontières “South Sudan, 10 years of independence, violence, disease and dire needs”


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#COVID19

Roma, 3 luglio 2021, Nena News – I casi di infezione legati al virus SARS-CoV-2 in Africa stanno aumentando vertiginosamente, secondo i dati mostrati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le positività sono salite a oltre 116.500 e hanno spinto il continente oltre i 5 milioni di casi. 136.000 i decessi. In 22 Paesi africani, quasi il 40% delle 54 nazioni, i casi sono aumentati di oltre il 20% e i decessi sono aumentati di quasi il 15%.

Sudafrica, Tunisia, Zambia, Uganda e Namibia hanno riportato il numero più alto di nuovi casi dall’inizio della pandemia. I sistemi sanitari in Africa sono ancora lontani dall’essere pronti a far fronte a una nuova ondata di infezione da coronavirus, con consegne di vaccini quasi ferme e casi in costante aumento.

Le strutture sanitarie essenziali e il personale necessario per gestire i pazienti affetti sono gravemente inadeguati in molti Paesi africani. La maggior parte dei Paesi ha meno di un letto in unità di terapia intensiva ogni 100.000 abitanti e solo un terzo ha ventilatori meccanici disponibili. In confronto, Paesi industrializzati contano più di 25 letti ogni 100.000 persone.

La mancanza di aderenza alle misure di prevenzione della trasmissione, la scarsa osservanza delle misure di salute pubblica, l’aumento dell’interazione sociale e del movimento hanno alimentato la nuova ondata che coincide con il clima stagionale più freddo nell’Africa meridionale e con la diffusione di varianti più contagiose. La variante Delta è stata segnalata in 14 Paesi africani e le varianti Alpha e Beta sono state trovate in oltre 25 Paesi.

Solo 12 milioni di persone sono completamente vaccinate nel continente, meno dell’1% della popolazione totale. Quasi l’85% di tutte le dosi di vaccino a livello globale sono state somministrate in Paesi ad alto e medio reddito, una media di 68 dosi per 100 persone nei Paesi ad alto reddito rispetto a quasi 2 dosi per 100 persone in Africa. Secondo gli analisti di Barclays, le economie più ricche del mondo si sono assicurate consegne pianificate sufficienti di dosi per coprire la popolazione più di quattro volte e mezzo, ma le più povere sono riuscite a procurarsi solo il 10% delle dosi.

Secondo Our World in Data, pubblicazione scientifica della Oxford University, sono state somministrate almeno 2,7 miliardi di dosi di vaccino anti-Covid19 in tutto il mondo. Sei Paesi non hanno avviato l’inoculazione, quattro dei quali si trovano in Africa: Tanzania, Burundi, Ciad e Eritrea. Nonostante la forte richiesta, da parte di leader mondiali e esperti di salute, a un accesso giusto ed equo a test, trattamenti e vaccini, fin dall’inizio della pandemia, per molti Paesi africani il livello di criticità rimane ancora alto.

Secondo quanto dichiarato dal consigliere dell’Oms, Bruce Aylward, l’iniziativa Covax, co-guidata dalla Vaccine Alliance Gavi, dall’Oms e dal Capi (Coalizione delle Innovazioni per la Preparazione alle Epidemie), che mira a fornire l’accesso globale ai vaccini anti-Covid19, ha consegnato 90 milioni di dosi a 131 Paesi in via di sviluppo. Paesi dal Malawi al Rwanda stanno raggiungendo la fine delle forniture che hanno ricevuto da Covax.

La terza ondata in Africa sta acquistando notevole velocità. Con il numero di casi in rapido aumento e le crescenti segnalazioni di forme clinicamente gravi, l’ultima ondata rischia di essere la peggiore mai registrata nel continente, secondo Matshidiso Moeti, direttore regionale dell’Oms per l’Africa.

Posti in terapia intensiva e scorte di ossigeno sono già a livelli preoccupanti. L’Oms ha iniziato a schierare esperti in alcuni dei Paesi africani più colpiti, tra cui Uganda e Zambia, oltre a supportare i laboratori regionali con sede in Sudafrica per monitorare le varianti virali. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Impennata dei casi di Covid-19, si vaccinano solo i ricchi” di Federica Iezzi


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#analisi

Roma, 26 giugno 2021, Nena News

Kenya – Il conflitto latente tra il presidente kenyano Uhuru Kenyatta e la magistratura del paese riguardo la supremazia della Costituzione è detonato ancora una volta. Lo scontro è stato accelerato dal tentativo del presidente di usurpare i poteri del Judicial Service Commission (Jsc), imputato a scegliere giudici e ufficiali giudiziari da assegnare ai tribunali periferici distribuiti nel paese.

Negli ultimi due anni, rivendicando risultati negativi, collezionati dai servizi di intelligence, Kenyatta si è rifiutato di nominare formalmente le 41 persone selezionate dalla Jsc per ricoprire varie posizioni, tra cui quelle in Corte d’Appello. Ciò è in netto contrasto con la Costituzione, che non concede alcuna discrezionalità in materia, appoggiata inoltre da numerose sentenze del tribunale. Il presidente ha in parte ottemperato, assegnando 34 posizioni, ma continuando a bloccarne altre.

La condotta di Kenyatta è stata duramente condannata da gruppi della società civile, parlamentari e persino dall’ex capo della giustizia, Willy Mutunga. Ma non è la prima volta che Kenyatta si scontra con la magistratura la quale, soprattutto dopo la promulgazione della Costituzione 11 anni fa, è diventata molto più decisa nel pretendere il rispetto della legge da parte della classe politica.

Per gran parte della storia del Kenya, l’indipendenza giudiziaria è stata un mito. In epoca coloniale, i giudici mancavano di autonomia. Come ha osservato lo stesso Mutunga, i giudici erano essenzialmente un servizio civile, legato all’amministrazione coloniale. Sebbene all’indipendenza nel 1963, la Costituzione proteggesse i giudici, isolandoli deliberatamente dal potere esecutivo, non si è dimostrata all’altezza di strappare le abitudini radicate di sottomissione giudiziaria e tirannia esecutiva, cresciute sotto il colonialismo.

Nel corso dei successivi 47 anni, i tribunali non sono stati solo in silenzio, ma apparentemente complici volontari mentre la classe politica ha demolito tutte le garanzie e le restrizioni costituzionali. La magistratura è diventata poco più di un dipartimento nell’ufficio del procuratore generale, gravemente sottofinanziato e con insufficiente personale. L’apice di negatività per la magistratura kenyana è arrivato durante la disputa sulle elezioni presidenziali del 2007, quando la mancanza di fiducia nella sua indipendenza ha visto l’opposizione protestare nelle piazze. Le manifestazioni provocarono la morte di oltre 1300 persone, lo sfollamento di centinaia di migliaia e il quasi collasso del paese. All’indomani delle violenze, una magistratura indipendente era una priorità assoluta per i riformatori, che da oltre 25 anni si battevano per la riforma costituzionale e giudiziaria.

Per molti versi, la Costituzione emanata nel 2010 è stata un azzeramento di quella promulgata all’indipendenza e ha annullato molti degli emendamenti rovinosi che la classe politica aveva inflitto ai kenyani. La Costituzione indipendentista fallì in gran parte perché fu imposta dagli inglesi, la classe politica kenyana che l’aveva ricevuta non la supportava e, dopo quasi un secolo di repressione coloniale, erano poche le istituzioni esistenti in grado di difenderla.

Al contrario, la Costituzione del 2010 è stata il prodotto di decenni di lotte locali, ampie consultazioni nazionali e un esercito di attivisti della società civile, avvocati e comuni cittadini disposti a difenderla. Liberata dalle catene dell’esecutivo, la magistratura sta rapidamente affermando il proprio ruolo di garante del governo costituzionale.

Nel complesso, la magistratura ha guadagnato una certa fiducia nel popolo kenyano, abbattendo, in numerose occasioni, la legislazione che violava la Costituzione. Senza dubbio, il culmine è arrivato con l’annullamento delle elezioni presidenziali nel 2007.

Nonostante abbia alla fine guadagnato il suo secondo mandato, Kenyatta ha continuato la sua guerra alla magistratura e alla Costituzione, collaborando con il suo ex rivale, Raila Odinga, per lanciare l’iniziativa Building Bridges, un tentativo sottilmente mascherato di tornare indietro nel tempo modificando la Costituzione per creare nuovamente un esecutivo onnipotente. L’iniziativa è sfociata in un disegno di legge con la proposta di diverse modifiche costituzionali. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Kenya, esplode lo scontro tra magistratura e Kenyatta” di Federica Iezzi


#analisi

Roma, 19 giugno 2021, Nena News 

Algeria – La scorsa settimana si sono tenute in Algeria le elezioni anticipate per la nomina di 407 membri dell’assemblea generale del popolo, la camera bassa del Parlamento del Paese. Il voto, inizialmente previsto per il 2022, è stato anticipato dal presidente Abdelmadjid Tabboune in risposta alle proteste antigovernative ancora in corso nel Paese.

Tutto ha inizio nel 2019 con la primavera algerina e con le proteste pacifiche del movimento Hirak, in risposta all’annuncio della candidatura dell’allora presidente Abdelaziz Bouteflika per un quinto mandato presidenziale. Le successive dimissioni di Bouteflika, tuttavia, non hanno segnato la fine delle proteste, strettamente connesse ad una revisione completa del sistema politico.

Negli ultimi mesi, le conseguenze economiche legate alle restrizioni causate dalla pandemia SARS-CoV-2 e il crollo dei prezzi del petrolio hanno portato a un aumento della disoccupazione e a una significativa diminuzione del potere d’acquisto degli algerini. A completare il quadro di proteste, balza in politica la recente repressione del governo ai danni delle voci di opposizione, compresi i membri del movimento Hirak. La leadership militare, non disposta a cedere alle richieste del movimento per uno stato veramente civile e democratico, ha tentato di contenere i disordini attraverso vari livelli di repressione e tattiche politiche. E la stessa imminente apertura legislativa segna un ulteriore impegno, del regime controllato dai militari, per allentare le tensioni.

La diretta conseguenza era la previsione di un parziale boicottaggio alle elezioni, da parte della popolazione. Infatti, l’affluenza alle urne è stata stimata appena al 30%, la più bassa mai registrata. Nonostante le promesse di rimanere neutrali, i militari avranno probabilmente voce in capitolo su quali partiti saliranno al potere dopo le elezioni. In Algeria è ancora molto difficile immaginare uno scenario in cui un partito ottenga la maggioranza contro la volontà dei militari. È ancora più improbabile che, a seguito delle elezioni, le dinamiche di potere in Algeria cambino al punto da consentire a un qualsiasi organismo politico di sfidare o controllare i poteri militari.

Circa 24 milioni di aventi diritto sono stati chiamati a votare. Le liste elettorali sono 1.483, 646 di questi sono stati presentati da partiti politici e 837 da indipendenti. Dei 22.554 candidati, 10.468 provengono da partiti politici mentre 12.086 sono indipendenti.Pro-regime e considerati in parte responsabili delle crisi politica ed economica in corso, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) e il Raggruppamento Nazionale Democratico (RND), hanno guadagnato meno voti rispetto alle elezioni legislative del 2017. L’FLN pur arretrando vince, aggiudicandosi 105 seggi su 407.

Per capire la parte di influenza in parlamento di FLN e RND, saranno da analizzare in particolare le prestazioni dei partiti islamisti algerini, con il capolista Movimento della Società per la Pace (MSP), che determineranno probabilmente la composizione del prossimo parlamento e governo. I partiti islamisti lottano da tempo per ottenere il sostegno popolare in Algeria. Nel 1992, i militari smantellarono il Fronte Islamico di Salvezza (FIS), un partito politico islamista, vicino a vincere le elezioni generali. La mossa innescò una sanguinosa guerra civile, durata fino al 2002. L’eredità del conflitto civile ha spinto gli islamisti ai margini della sfera politica algerina, lasciandoli senza molte opportunità di riprendere il potere. I disordini in corso, insieme alla crisi di legittimità del regime e alla mancanza di un’alternativa credibile, potrebbero sicuramente offrire ai partiti islamisti moderati l’opportunità di acquisire maggiore influenza in parlamento.

Tuttavia, è improbabile che perseguano l’agenda di riforme radicali reclamata dal movimento Hirak. Dunque, tutti i segnali indicano che le recenti elezioni in Algeria non porteranno ad alcun cambiamento o riforma sostanziale. Con le elezioni, il regime non solo mira a placare il movimento di protesta popolare attraverso la composizione di una nuova camera bassa del Parlamento, ma cerca anche di creare l’impressione di avere il sostegno del popolo algerino.

Le previsioni parlano del vero potere ancora in mano ai militari. Di conseguenza, qualsiasi riforma futura sarà molto probabilmente cosmetica, con l’obiettivo di consolidare i poteri del regime placando i manifestanti. In secondo luogo, la maggioranza dei membri del movimento Hirak rimarrà intransigente e l’impasse in corso persisterà, lasciando la repressione come risultato principale.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Elezioni Algeria, la vittoria dell’astensione” di Federica Iezzi


Roma, 12 giugno 2021, Nena News

Sahel – Macron annuncia ufficialmente la sostituzione dell’operazione militare francese nella regione del Sahel, in Africa occidentale. La Francia ha attualmente circa 5.100 soldati dispiegati nell’area del Sahel, come parte dell’operazione Barkhane, il cui quartier generale è nella capitale del Ciad, N’Djamena.

L’annuncio è arrivato dopo che lo stesso Macron, lo scorso febbraio, durante un vertice con i leader dei Paesi del G5-Sahel – Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger – aveva espresso l’intenzione di ridurre entro pochi mesi il numero delle truppe francesi.

Il conflitto tra forze governative e gruppi armati legati a Isis e al-Qaeda, nella parte occidentale del Sahel, ha devastato gran parte della regione nell’ultimo decennio, innescando una significativa crisi umanitaria.

Quasi 7.000 persone sono morte a causa del peggioramento dei combattimenti lo scorso anno, secondo i dati del progetto Armed Conflict and Location Event Data Project. E secondo quanto pubblicato dalle Nazioni Unite le continue violenze hanno provocato lo sfollamento interno di oltre due milioni di persone.

La decisione di un drastico cambiamento della presenza francese nell’area, potrebbe essere spiegata dal coinvolgimento di altri Paesi europei nella Task Force Takuba, nata per contrastare i gruppi armati nel Sahel, a fianco degli eserciti governativi di Mali e Niger.

Nigeria – Gruppi per la difesa del diritto di espressione hanno intentato una causa presso un tribunale regionale per cercare di revocare il blocco attuato dal governo Buhari su Twitter, descrivendo la decisione di sospendere le operazioni della popolarissima piattaforma di social media come un tentativo di mettere a tacere le critiche verso il governo.

Le autorità nigeriane hanno annunciato il divieto, pochi giorni dopo che Twitter ha rimosso un post del presidente Buhari che minacciava di punire i secessionisti del sud-est del Paese. Il ministro dell’Informazione, Lai Mohammed, di contro ha dichiarato che l’interruzione di Twitter non è correlata alla cancellazione del tweet di Buhari, ma piuttosto è connessa alla presunta incitazione alla violenza dei separatisti.

La mossa del governo ha provocato un immediato contraccolpo tra gli utenti dei social media e gli attivisti per i diritti umani, con gli hashtag #NigeriaTwitterBan e #KeepitOn in trend sulla piattaforma.

Il Socio-Economic Rights and Accountability Project (Serap), gruppo locale nigeriano per la difesa dei diritti, e 176 nigeriani hanno intentato la causa civile presso la Corte di giustizia della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, nella capitale Abuja, chiedendo un’ingiunzione cautelare. La sospensione di Twitter ha lo scopo di intimidire e impedire ai nigeriani di esprimere giudizi sulle politiche del governo, sulla corruzione e sugli atti di impunità.

Nel 2021, la Nigeria si è classificata al 120esimo posto, su 180 Paesi, nel World Press Freedom Index di Reporters Without Borders.

Etiopia – La recente analisi delle Nazioni Unite, condotta secondo l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), ha concluso che più di 350mila civili nella regione del Tigray in Etiopia sono a rischio di insicurezza alimentare acuta (IPC Phase 5). E altri due milioni di persone sono in urgente stato di bisogno. Dopo la pubblicazione del rapporto, Taye Atske-Selassie Amde, ambasciatore dell’Etiopia presso le Nazioni Unite, ha dichiarato che il governo di Abiy Ahmed ha respinto l’analisi dell’IPC, accusandola di non essere trasparente.

Stati Uniti e Unione Europea hanno lanciato un appello con l’obiettivo di maggiori sforzi internazionali per affrontare la crisi, in una regione in cui oltre il 90% della popolazione ha bisogno di aiuti alimentari di emergenza. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aprirà una sessione di discussione su base informale a causa della decisa opposizione etiope, condivisa anche da altri membri, tra i quali Russia, Cina, Vietnam, India e Paesi africani.

Nel novembre 2020 sono scoppiati feroci scontri in Tigray tra le truppe governative etiopi e l’ex partito di governo della regione, il Tigray People’s Liberation Front (Tplf). La violenza ha ucciso migliaia di civili e costretto circa due milioni di persone a lasciare le proprie abitazioni.

La recente crisi alimentare trova le sue basi sugli effetti a cascata del conflitto, inclusi spostamenti forzati della popolazione, restrizioni ai movimenti legati alla sicurezza, accesso umanitario limitato, perdita di raccolti e mezzi di sussistenza inesistenti. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. La Nigeria blocca twitter – Si mettono a tacere le critiche al governo” di Federica Iezzi


Roma, 5 giugno 2021, Nena News 

Etiopia – Forte dichiarazione quella del patriarca della chiesa ortodossa etiope Abune Matthias, che ha parlato apertamente di genocidio nella regione settentrionale del Tigray, insanguinata da un feroce conflitto dallo scorso novembre.

A causa dei violenti scontri tra esercito etiope e Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF), si contano più di due milioni di sfollati interni e migliaia di decessi.

Il governo etiope di Abiy Ahmed respinge duramente le denunce di crimini contro l’umanità, di violazioni diffuse e sistematiche a carico della popolazione del Tigray.

Gli attivisti per i diritti umani chiedono invece rapide risposte internazionali per fermare le atrocità ancora in corso, compreso l’intervento militare. Media etiopi hanno usato ripetutamente linguaggio dispregiativo e espressioni di odio nei confronti dell’etnia tigrina.

Non mancano segnalazioni di violenze etnicamente selettive nei confronti dei tigrini e restrizioni su viaggi, affari e residenza. Queste violazioni insieme a omicidi, stupri e fame, costruiscono l’entità di un genocidio.

Un chiaro riconoscimento da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, validerebbe una segnalazione alla Corte Penale Internazionale. Già chiare le obiezioni di Cina e Russia, che non riconoscono la fattispecie di genocidio nella regione del Tigray.

Il codice penale etiope risalente al 1957 proibisce il genocidio con un’importante variazione. Include ‘gruppi politici’ tra quelli protetti. Curiosità legale nata perché l’Etiopia ha utilizzato una delle prime bozze di Lemkin per la Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio, prima che l’Unione Sovietica insistesse sul fatto che i gruppi politici non dovevano essere inclusi.

Trent’anni fa, quando l’Etiopia ha processato i funzionari del regime militare deposto di Mengistu Haile Mariam, è stato invece deciso di utilizzare le accuse di genocidio per gli omicidi politici.

Particolare attenzione va anche data alla varietà di modi in cui la fame viene attualmente usata come arma di guerra, oppressione e punizione. Nazioni Unite, Stati Uniti e Regno Unito hanno espresso seria preoccupazione riguardo un’imminente carestia su vasta scala nel Tigray. Un totale di 5,2 milioni di persone nella regione, il 91% della sua intera popolazione, ha bisogno di aiuti alimentari di emergenza.

La grave situazione appare come il risultato di saccheggi, sfollamenti forzati, carenza di cibo, acqua e strutture sanitarie, stupri diffusi e ostruzione agli aiuti umanitari. Un rapporto interno del dipartimento di stato degli Stati Uniti redatto all’inizio di quest’anno parla di pulizia etnica nel Tigray occidentale.

In Etiopia è presente un’area grigia di violenza localizzata e mirata etnicamente, che coinvolge direttamente e indirettamente comunità diverse. Confini contestati tra regioni etnicamente definite e controversie sullo status delle minoranze all’interno di regioni dominate da altri gruppi, sono gli esempi più eclatanti. Violenze di questo tipo sono recentemente aumentate con etnie Oromo, Amharas, Somali e Gumuz.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Genocidio nel Tigray” di Federica Iezzi


Roma, 29 maggio 2021, Nena News 

Mali – Il vice presidente ad interim del Mali, il colonnello Assimi Goita, ha preso il potere del Paese dopo che il presidente del governo di transizione Bah Ndaw e il primo ministro Moctar Ouane, non lo hanno consultato sulla formazione del nuovo assetto amministrativo.

Il presidente e il primo ministro sono stati arrestati e portati in una base militare fuori dalla capitale Bamako, provocando una rapida condanna da parte delle potenze internazionali, che hanno gridato al ‘tentativo di colpo di stato’.

I due uomini erano a capo di un governo di transizione creato dopo un colpo di stato militare, lo scorso agosto, che ha rovesciato il presidente Ibrahim Boubacar Keita. Entrambi avevano il compito di sorvegliare il ritorno ad elezioni democratiche.

L’attuale situazione potrebbe aggravare l’instabilità nel Paese dell’Africa occidentale, dove gruppi armati legati ad al-Qaeda e ISIS controllano vaste aree del nord e del centro e agiscono con frequenti attacchi all’esercito governativo e ai civili.

Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e i Paesi della regione del Sahel hanno condannato le azioni militari e hanno chiesto il rilascio immediato dei leader arrestati.

Rwanda – Due dei leader politici dell’opposizione rwandese, Victoire Ingabire e Bernard Ntaganda, accusano apertamente il presidente francese Emmanuel Macron di ignorare la repressione politica e le violazioni dei diritti umani in atto in Rwanda.

In un Paese, in cui i partiti politici sono banditi, i due maggiori critici del governo, Ingabire e Ntaganda, hanno trascorso parte della loro vita in esilio o in prigione. Human Rights Watch ha descritto le accuse contro i due leader come politicamente immotivate.

Macron ha incontrato il presidente rwandese Paul Kagame. E’ stata la prima visita ufficiale in Rwanda di un leader francese dal 2010 e rappresenta un passo nel disgelo diplomatico tra due Paesi a lungo in disaccordo sul ruolo della Francia nell’uccisione di circa 800.000 tutsi e hutu moderati, durante il genocidio del 1994.

Il presidente francese non esita a castigare pubblicamente i regimi dittatoriali, ma tace riguardo al governo autoritario e alle violazioni dei diritti umani da parte del Front Patriotique Rwandais, al potere in Rwanda.

Etiopia – Sono necessarie misure urgenti per evitare la carestia nella regione tormentata del Tigray in Etiopia. E’ questo quanto dichiarato da Mark Lowcock, sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, in un briefing del Consiglio di sicurezza.

Giunto al settimo mese di un conflitto interno, si stima che il Tigray abbia perso migliaia di civili e lasciato circa cinque milioni di persone in urgente bisogno di aiuti umanitari. Sono due milioni gli sfollati interni.

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha guidato un’operazione militare terrestre e aerea nel Tigray all’inizio dello scorso novembre, dopo aver accusato l’allora partito al governo della regione settentrionale, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF), di aver condotto attacchi ai danni dell’esercito federale. Di contro il TPLF, che ha dominato la politica nazionale per decenni, fino a quando Abiy è salito al potere nel 2018, ha affermato che le forze federali, appoggiate dal governo eritreo, hanno lanciato un attacco coordinato contro la regione.

Nonostante un cessate il fuoco, combattimenti e abusi continuano, suscitando il timore di un conflitto prolungato con effetti devastanti sulla popolazione civile, tra cui un serio rischio di insicurezza alimentare, se l’assistenza non viene amplificata nei prossimi due mesi.

Nel frattempo, i gruppi umanitari hanno ripetutamente chiesto il pieno accesso alla regione, dove vivono almeno sei milioni di persone e dove lo spettro della carestia aleggia già da diversi mesi.

Lo scorso dicembre, il governo etiope aveva promesso accesso umanitario illimitato, ma ampie parti del Tigray, in particolare le aree rurali, sono ancora tagliate fuori a causa delle ostilità attive, secondo un aggiornamento dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA).

Secondo la World Peace Foundation, organizzazione statunitense di ricerca con sede presso la Tufts University in Massachusetts, aree del Tigray centrale, meridionale e sudorientale rimangono irraggiungibili a causa delle parti in conflitto, rendendo ampia e disastrosa l’entità dell’insicurezza alimentare, ingiustamente utilizzata come arma di guerra.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Rischio carestia in Etiopia, presa del potere in Mali da parte del vice-presidente” di Federica Iezzi

World Peace Foundation – Tufts University ‘Starving Tigray – How armed conflict and mass atrocities have destroyed an ethiopian region’s economy and food system and are threatening famine’


Roma, 22 maggio 2021, Nena News

Africa subsahariana – Secondo l’ultimo report pubblicato dall’Internal Displacement Monitoring Center (IDMC) e dal Norwegian Refugee Council (NRC), conflitti, violenza e disastri naturali hanno costretto le popolazioni a fuggire all’interno dei propri Paesi, muovendo il numero di Internally Displaced Persons a un livello record.

Ciò è avvenuto nonostante le rigide restrizioni al movimento imposte in tutto il mondo nel tentativo di fermare la diffusione del virus SARS-CoV-2. E’ l’Africa subsahariana l’area più colpita. Sono 55 milioni i civili che vivono nella condizione di sfollati interni. Più del doppio dei circa 26 milioni di persone che sono fuggite oltre confine come rifugiati.

Il rapporto ha rilevato che almeno tre quarti degli sfollati interni lo scorso anno sono state vittime di disastri naturali, legati a condizioni meteorologiche estreme. Cicloni intensi, calamità e inondazioni hanno colpito aree altamente esposte e densamente popolate.

E quasi 10 milioni sono i civili fuggiti da conflitti e violenze. La maggioranza dei quali oggi si trova in Repubblica Democratica del Congo ed in Etiopia. Il rapporto ha aggiunto che l’escalation della violenza e l’espansione dei gruppi armati in Etiopia, Mozambico e Burkina Faso hanno alimentato l’anno scorso alcune delle crisi di sfollamento in più rapida crescita nel mondo.

Etiopia – Giunto al settimo mese, si stima che il conflitto in Tigray abbia ucciso migliaia di persone e sfollato 1,7 milioni di civili, creando una disastrosa crisi umanitaria in una regione già povera.

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha ordinato un’operazione militare di terra e aerea nel Tigray all’inizio di novembre 2020 dopo aver accusato l’allora partito al governo della regione, il Tigray People’s Liberation Front (TPLF), di aver attaccato campi dell’esercito federale, un’accusa respinta dai funzionari del partito stesso.

Abiy, le cui forze sono sostenute da truppe eritree e da combattenti della regione etiope dell’Amhara, ha dichiarato la vittoria alla fine di novembre, quando l’esercito è entrato nella capitale della regione, Mekelle.

Tuttavia, i combattimenti, così come violenze, massacri e stupri, non si sono mai arrestati. E’ alle porte della regione un’incombente carestia, con una conseguente malnutrizione ingravescente e diffusa. Questi i timori espressi dal direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Negli ultimi sei mesi, le Nazioni Unite, le agenzie umanitarie e la comunità internazionale hanno ripetutamente chiesto il pieno accesso umanitario alla regione che ospita sei milioni di persone, di fronte ai crescenti timori di un conflitto prolungato con effetti devastanti sulla popolazione civile.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), l’entità dell’insicurezza alimentare è devastante.

Mali – Il governo di transizione del Mali è pronto ad una amministrazione di grandi intese, tra le crescenti critiche alle autorità dominate dall’esercito, che hanno preso il potere in agosto rovesciando il presidente Ibrahim Boubacar Keita.

Il primo ministro Moctar Ouane è stato immediatamente riconfermato per avviare il processo, nonostante le sue recenti dimissioni.

Ouane era stato nominato primo ministro dopo che gli ufficiali militari hanno rimosso il presidente eletto Ibrahim Boubacar Keita, fortemente sotto pressione per la gestione dei disordini armati nel Paese del Sahel.

Sotto la minaccia di sanzioni internazionali, i militari hanno ceduto il potere a un governo provvisorio, che si è impegnato a riformare la Costituzione e a portare il Mali a regolari elezioni entro 18 mesi.

Il mese scorso, il governo ad interim del Mali ha annunciato che terrà un referendum costituzionale il 31 ottobre, a cui seguiranno le elezioni nel febbraio del prossimo anno.

Ma i conflitti e le controversie politiche nella nazione, patria di 19 milioni di persone, hanno lasciato alcuni dubbi sul fatto che le autorità si attengano al programma. Anche il mediatore della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) per il Mali, l’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan, appare preoccupato per la mancanza di pianificazione del ciclo di riforme.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Milioni di sfollati interni in Africa subsahariana, in Mali governo di larghe intese” di Federica Iezzi


BBC - Nigeria _112431434_ablutions

#eidalfitr

Roma, 15 maggio 2021, Nena News

Africa  – I festeggiamenti dell’Eid al-Fitr continuano in Nord Africa e a sud del Sahara, come in tutto il mondo arabo, dopo aver osservato il digiuno durante il sacro mese del Ramadan. Ancora in piena pandemia, i vivaci raduni colorati sono stati in gran parte ridotti, lasciando il posto a incontri di piccoli gruppi di persone in luoghi aperti e a fedeli distanti all’interno delle moschee.

In Ghana, il governo Akufo-Addo ha chiesto ai fedeli di pregare in casa, mentre l’Imam pronuncia le preghiere dell’Eid sui media nazionali. In Nigeria, la maggior parte degli stati ha vietato le riunioni pubbliche ad eccezione del nord, che ha allentato le restrizioni per i fedeli, consentendo loro quantomeno la preghiera nelle congregazioni, con una stretta aderenza alle distanze sociali, a tutti i protocolli anti-Covid e al coprifuoco dall’alba al tramonto. Il presidente nigeriano Buhari, seguito dal presidente senegalese Macky Sall, ha osservato le preghiere a casa. L’ordine ufficiale dei leader musulmani supporta le preghiere nelle proprie abitazioni. In Somalia, il presidente Mohamed Abdullahi Farmaajo e lo sceicco Nur Mohamed Hassan, a capo del Ministy of Religious Affairs and Endowment, hanno festeggiato con la popolazione il completamento del Ramadan, in questo periodo di particolare difficoltà. Mentre i somali sono costretti ad adattarsi a nuovi stili di vita, continuano ad abbracciare le tradizioni consolidate che hanno rappresentato le fondamenta della loro società per centinaia di anni. La celebrazione dell’Eid-al-Fitr rimane una grande occasione per preservare la cultura somala.

Alla fine dei 29 o 30 giorni di digiuno, i credenti musulmani seguono rituali spirituali che mescolano digiuno, preghiera e partecipazione ad attività di beneficenza, in cui vengono evidenziati i valori di tolleranza e cooperazione. Quando si avvicina il Ramadan, nelle moschee iniziano le lezioni religiose e la predicazione per istruire le persone sul fiqh (giurisprudenza islamica) del digiuno. Dopo la preghiera dell’Eid, la tradizione si apre alle visite di amici e parenti. La pandemia legata a SARS-CoV-2 ha ampiamente modificato la storia e le usanze della festività in Africa. Negli ultimi due anni il Ramadan non solo è stato fisicamente diverso, ma anche spiritualmente distintivo. Questi periodi unici hanno concesso un ritiro religioso amplificato, profonde riflessioni e consapevolezza della fede.

Mentre molti Paesi africani, hanno allentato le misure di chiusura che erano in atto nelle moschee e nei luoghi pubblici, consentendo la preghiera comune, l’impatto del coronavirus, che ha contagiato più di 4,5 milioni di persone nel continente, è chiaro. Nena News

Nena News Agency “L’Eid al-Fitr in Africa” di Federica Iezzi


#antropologia

Roma, 8 maggio 2021, Nena News

Mursi, Etiopia – I Mursi, insieme ai Chai e ai Tirma, sono probabilmente gli ultimi gruppi etnici etiopi tra i quali le donne indossano ancora il dhebi a tugoin, ceramiche o dischi di legno nelle labbra inferiori.

Il labbro inferiore di una ragazza viene tagliato, dalla madre o da un’altra donna dell’insediamento, quando raggiunge i 15-16 anni. Il taglio viene tenuto aperto da un tassello di legno finché la ferita non guarisce, usando ottimi unguenti a base vegetale, il che può richiedere circa tre mesi. Spetta poi alla singola ragazza decidere di quanto allungare il labbro, inserendo tappi progressivamente più grandi nell’arco di diversi mesi.

Spesso la dimensione del piatto labiale appare correlata al grado di ricchezza della sposa. Sembra che la pratica di tagliare e allungare il labbro inferiore sia nata come una deturpazione deliberata, progettata per rendere le donne meno attraenti per i commercianti di schiavi. In realtà il piatto labiale indossato dalle donne Mursi è meglio visto come un’espressione dell’età adulta sociale e del potenziale riproduttivo.

Himba, Namibia – Gli Himba rappresentano un’antica tribù di pastori semi-nomadi dell’arido nord-ovest della Namibia, nota per l’uso dell’otjize, una pasta di burro, grasso e ocra rossa, a volte profumata con resina aromatica, che le donne applicano ogni mattina su pelle e capelli, dando loro una tonalità rossa distintiva.

Come pastori, il bestiame è al centro della vita degli Himba, proprio come i loro parenti prossimi, gli Herero, famosi per i copricapi femminili, che assomigliano a corna di bovini.

Al centro di ogni villaggio Himba si trova un recinto dove vengono tenuti giovani bovini, pecore e capre, mentre gli animali più maturi vengono lasciati vagare per la periferia. Ogni mattina, dopo che le donne hanno applicato l’otjize, mungono il bestiame, prima che i giovani del villaggio conducono i capi al pascolo.

Le case degli Himba sono strutture rotondeggianti, costruite con pali ad alberello, legati insieme per formare un tetto a cupola intonacato di fango e letame.

La parte più importante del villaggio Himba è l’okuruwo, o fuoco sacro. Tenuto continuamente acceso, il fuoco sacro rappresenta gli antenati degli abitanti del villaggio, che funge da intermediari per il dio Himba, Mukuru. Di notte, un tizzone del fuoco viene portato nella capanna del capo-villaggio, utilizzato per riaccendere le fiamme al mattino.

Chewa, Malawi – Il popolo Chewa è un gruppo etnico matriarcale di lingua bantu che vive nell’Africa centrale, orientale e meridionale. Preponderanti in Malawi, si trovano anche in Mozambico, Zambia e Zimbabwe. I Chewa sono strettamente imparentati con le tribù nelle regioni circostanti come Tumbuka e Nsenga. Storicamente sono anche legati al popolo Bemba, con i quali condividono un’origine simile nella Repubblica Democratica del Congo.

I Chewa, così come i Nyanja, Tumbuka, Senga, Nsenga, Mang’anja, sono un residuo dell’antico impero Maravi.

A livello internazionale, i Chewa sono noti principalmente per le loro maschere e le loro società segrete, chiamate Nyau, nonché per le loro tecniche agricole. Il Nyau è una società spirituale del popolo Chewa, ben noto per i suoi balli in maschera, Gule Wamkulu, durante giorni festivi, anniversari e funerali.

Le maschere Nyau sono costruite in legno e paglia. e si dividono in tre tipologie. La prima è una maschera a rete piumata, la seconda è una maschera in legno e la terza è una grande struttura zoomorfa in vimini che avvolge tutto il corpo del danzatore, che stereotipa movimenti noti come Nyau yolemba. Le maschere sono rappresentazioni di una grande varietà di personaggi. La cultura Chewa dal 2005 è protetta dall’UNESCO.

San, Botswana – La nota Trance Dance, ancora praticata dalle comunità San, nella regione desertica del Kalahari, è un rituale indigeno mediante il quale si ottiene uno stato di coscienza alterata, attraverso la danza ritmica e l’iperventilazione. È usata per curare le malattie nei singoli individui e per curare gli aspetti negativi della comunità nel suo complesso, come rabbia e controversie.

Il popolo San del Botswana e della Namibia, precedentemente noto come Boscimani, discende da alcuni dei più antichi lignaggi sopravvissuti degli esseri umani moderni.

La trance dance è una pratica religiosa San, attraverso cui molti adulti, uomini e donne, diventano guaritori nelle comunità locali. Danzano in uno stato di rapimento, che spesso include la sensazione di dolore. Gli sciamani sentono l’energia di guarigione risvegliata in loro e la incanalano verso coloro che hanno bisogno di guarigione. Lo fanno toccando gli individui malati generalmente sul busto, ma anche sulle parti del corpo che sono colpite dal disturbo.

I rituali di guarigione appaiono raffigurati in dipinti e incisioni, in grotte e rifugi nella roccia, nei siti di Twyfelfontein in Namibia, Tsodilo Hills in Botswana, Monti del Drakensberg in Sudafrica e Matopos Hills in Zimbabwe.

Tuareg, Mali – I Tuareg sono un antico popolo sahariano descritto fin da Erodoto, che attualmente conta fino a 1,5 milioni di individui. Per oltre 2000 anni questo popolo semi-nomade e pastorale ha gestito il commercio di carovane trans-sahariane, basando la propria economia sull’allevamento del bestiame e sul commercio. Oltre al Mali, abitano le regioni sub-sahariane del Niger, dell’Algeria, del Burkina Faso e del sud della Libia. La loro lingua è il Tamasheq, che ha le sue profonde radici nel Nord Africa, e il loro sistema di scrittura utilizza un’antica cultura geroglifica chiamata Tifinagh, a origini berbere.

La più nota usanza è quella di velare i volti maschili con un panno tinto di indaco, il Tagelmust. Esso dà l’aspetto sia di un velo che di un turbante, che tradizionalmente veniva indossato quando si raggiungeva la maturità sessuale, per allontanare gli spiriti maligni.

La metà del XX secolo ha generato grandi cambiamenti nello stile di vita Tuareg, con la fine del dominio coloniale francese in Africa occidentale e l’istituzione di nuovi Paesi con nuovi confini. La devastante siccità negli anni Settanta, inoltre decimò le mandrie di bestiame, insieme a sconvolgimenti politici e conseguenti vincoli economici.

L’arte tribale Tuareg ancora oggi si concentra su gioielli, pelletteria, ornamenti di selle in metallo e spade riccamente lavorate. Nel corso delle generazioni, gli artigiani Tuareg hanno preservato il simbolismo e la cosmologia del loro ambiente, incorporando la lunga tradizione nei loro gioielli. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Tra i Mursi di Etiopia e gli Himba della Namibia” di Federica Iezzi


Kenya Turkana

#antropologia

Roma, 13 febbraio 2021, Nena News

Kenya  – La tribù Turkana del Kenya settentrionale vive uno stile di vita semi-nomade basato tradizionalmente sulla pastorizia. Le famiglie Turkana dunque si spostano verso il luogo in cui abbondano acqua e vegetazione per gli animali, spesso legate alle stagioni delle piogge. Come altri gruppi che vivono grazie all’allevamento in Africa orientale, i Turkana devono affrontare crescenti pressioni per migrare dalle loro terre ancestrali intorno al Lago Turkana e stabilirsi in una vita agricola in gran parte aliena. Queste pressioni li rendono subordinati ad altri gruppi etnici anziani controllori di nuove terre e li espongono a nuove influenze, lingue e culture nei centri urbani in cui sono attratti.

Come possono le persone mantenere le loro tradizioni tra i potenti effetti dell’urbanizzazione, dello sfruttamento e delle nuove condizioni di vita? I gruppi più poveri, come i Turkana, sono esclusi dai settori più redditizi dell’economia della regione. Per loro, l’agricoltura su piccola scala su terreno arido e alcalino è la principale fonte di sostentamento. La loro lotta è aggravata dal fatto che non hanno una tradizione agricola.

Conflitti, siccità, carestie e la chiusura di terre da pascolo da parte del governo kenyano hanno costretto molti Turkana a migrare dalle loro case ancestrali, intorno alla vasta distesa di giada del Lago Turkana, nell’estremo nord del Kenya.

Il sistema educativo keniota e le religioni europee sono ulteriori fonti di ansia per i Turkana. Le scuole costringono gli studenti a lasciare la loro cultura alle spalle insegnando in inglese e swahili. Il sistema educativo è una parte cruciale del processo di costruzione della nazione, incoraggiando la fedeltà allo Stato e alla cultura civica nazionale. Questo nazionalismo è un valore fondamentale dell’élite istruita. I bambini Turkana hanno dovuto imparare lingue straniere. La loro lingua madre viene addirittura ridicolizzata da insegnanti e amministratori che sono essi stessi fortemente radicati nella cultura nazionale.

Il matrimonio Turkana è poliginico e spesso patrilocale. La ricchezza delle spose è insolitamente alta tra i Turkana. Questa alta ricchezza della sposa spesso significa che un uomo non può sposarsi finché suo padre non è morto e ha ereditato il bestiame. L’elevata ricchezza della sposa richiede anche che il futuro sposo raccolga il bestiame da tutti i suoi parenti e amici, rafforzando così i legami sociali attraverso il trasferimento del bestiame.

Una fattoria Turkana (awi) è composta da un uomo, dalle sue mogli e dai loro figli, e spesso da sua madre e altre donne dipendenti. Ogni moglie e i suoi figli costruiscono una capanna diurna (ekol) e, nella stagione delle piogge, una capanna notturna (aki). Quando una nuova moglie entra nella fattoria, rimane nell’ekol della madre o della prima moglie del capofamiglia fino a quando non ha dato alla luce il suo primo figlio.

Le mogli sono spesso ereditate da un fratello o dal figlio di una co-moglie alla morte di un marito. Una donna ha il diritto di vivere con uno dei suoi figli, se lo desidera. Quando ogni moglie entra in casa, il capofamiglia le assegna il bestiame da mungere. Sebbene non abbia diritti di proprietà su questi animali, costituiranno la base delle mandrie che saranno ereditate dai suoi figli. La maggior parte del bestiame di una donna sarà ereditato dal figlio primogenito.

La maggior parte dei Turkana pratica ancora la religione tradizionale africana, la loro fede è incentrata sulla figura del dio Akuj, il dio dei cieli. Differiscono dalle altre tribù in quanto si può pregare direttamente senza l’interposizione di un’altra persona. È consentito pregare tramite altri spiriti o antenati.

Nena News Agency “I turkana del Kenya” di Federica Iezzi


Roma, 30 gennaio 2021, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – La maggioranza nella camera bassa del parlamento della Repubblica Democratica del Congo ha presentato una mozione di sfiducia al primo ministro, Sylvestre Ilunga Ilunkamba, una mossa che potrebbe forzare il collasso del governo e consegnare al presidente Felix Tshisekedi una grande vittoria politica.

La mozione, che il parlamentare Chérubin Okende ha presentato, raccoglie le firme di oltre 300 dei 500 membri dell’Assemblea Nazionale, e concede al primo ministro 48 ore per dimettersi o affrontare un voto di sfiducia.

Mentre il nuovo gruppo politico di Tshisekedi, noto come Sacred Union, deve ancora assumere formalmente la maggioranza, il destino politico di Ilunga sembra segnato.

Tshisekedi, in questo modo, sarebbe libero di nominare un capo della commissione elettorale e un nuovo consiglio di amministrazione della banca centrale, condizione preliminare per l’assistenza internazionale.

Uganda – Il leader dell’opposizione in Uganda, Bobi Wine, che è de facto agli arresti domiciliari da parte dell’esercito ugandese, ha presentato ufficialmente una denuncia di detenzione arbitraria alle Nazioni Unite.

La residenza di Bobi Wine a Kampala è stata circondata dall’esercito la scorsa settimana, dopo che in Uganda si sono concluse le elezioni presidenziali in cui il politico ha gareggiato contro il presidente Yoweri Museveni. Quest’ultimo è stato rieletto con quasi il 59% dei voti, seguito dal 38enne Bobi Wine, con circa il 35% dei consensi. Museveni, uno dei leader africani più longevi, ha mantenuto il potere nel Paese per 35 anni.

Il leader dell’opposizione contesterà legalmente il risultato delle elezioni presidenziali, accusando il sistema di frode diffusa. Le elezioni sono state oscurate dalla violenza dall’inizio della campagna elettorale. Lo stesso Human Rights Watch ha affermato che il periodo precedente le elezioni è stato caratterizzato da violenze diffuse e violazioni dei diritti umani.

Repubblica Centrafricana – Migliaia di civili hanno attraversato il confine est della Repubblica Centrafricana per sfuggire a nuovi attacchi armati. A ovest, altre migliaia si nascondono nelle chiese o nella boscaglia. Una grave crisi umanitaria si sta aggravando nel Paese dopo che una serie di gruppi armati hanno lanciato un’offensiva militare e scatenato nuovi disordini.

I gruppi umanitari avvertono che l’aumento della violenza impedisce loro di raggiungere le popolazioni più vulnerabili, in un Paese in cui i gruppi armati controllano vaste aree di territorio. In totale, più di 100.000 persone sono state recentemente sfollate, in aggiunta a 1,2 milioni di civili già costretti ad abbandonare le proprie abitazioni, negli anni precedenti.

Alcuni dei gruppi armati più potenti del Paese hanno dato vita alla Coalition of Patriots for Change. Tra loro ci sono elementi dell’ex alleanza Seleka, ribelli prevalentemente musulmani, che nel 2013 rovesciarono il governo di François Bozizé. In seguito a quel colpo di stato, le milizie Anti-balaka, per lo più comunità cristiane e animiste, sono entrate in una violenta spirale di attacchi di vendetta contro il gruppo Seleka.

Al momento, gli scontri si sono ulterioremente inaspriti dopo che la Corte Costituzionale della Repubblica Centrafricana ha confermato la rielezione di Faustin-Archange Touadéra, sebbene l’opposizione politica continui a contestare il risultato per una presunta interruzione dell’affluenza alle urne. Il governo sembra riluttante ad aprire canali di discussione con la coalizione ribelle ed è più propenso a lanciare operazioni militari. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Repubblica Centrafricana, civili in fuga da nuovi attacchi armati” di Federica Iezzi


Nigerian religious ritual

Nigerian religious ritual

#religione

Roma, 16 gennaio 2021, Nena News

Africa – Il volto spirituale dell’Africa è vivo e brioso, contraddistinto da una religiosità diffusa, fondamento di un’etica individuale e sociale la cui espressione si completa nella vita mistica. La teologia africana va esplorata attraverso l’analisi dei riti, la mitologia e le tradizioni orali. Esistono culture con grandi diversità di tradizioni, di usanze, di costumi. Tutto il creato è sacro come la vita. In Africa la cultura stessa è religione. La spiritualità indigena africana, soprattutto negli Stati centrali del continente, sopravvive nonostante la diffusione a macchia di olio di Islam e cristianesimo.

Per i Pigmei Ituri del Congo, il culto del monoteismo scientifico ha una stretta somiglianza con la religione solare dell’Egitto, le cui conclusioni sono matematicamente convergenti con la fisica newtoniana nella sua interpretazione dei movimenti e della stabilità dei corpi a livello astronomico e livelli subatomici. Dio creò l’universo da un atomo primordiale visto come il seme di fonio, il più piccolo dei cereali.

I Boscimani che vagano tra le dune del Kalahari credono in un dio maggiore e in un dio minore che vivono nel cielo dell’est. I riti religiosi sono simili a quelli della popolazione sudafricana. Credono fermamente che gli spiriti ancestrali svolgano un ruolo importante nel destino dei vivi,

Per i Nuer del Sud Sudan, dio è lo spirito che è in cielo, creatore e ordinatore del mondo. I Nuer hanno una visione del mondo religioso di tipo animista. Adorano un essere supremo chiamato Kwoth. Pregano per la salute e il benessere, offrendo sacrifici a Kwoth. Non esiste una gerarchia o un sistema religioso organizzato, ma molti individui incarnano indovini e guaritori. Non credono in un luogo dell’aldilà per lo spirito e i loro concetti religiosi affrontano le preoccupazioni terrene. Credono che gli spiriti dei morti possano influenzare la loro vita attuale.

I culti di possessione nelle società Yoruba della Nigeria fanno acquisire l’ashè, la potenza di comunicare con l’invisibile. La musica chiama gli dei, la danza li rappresenta. Lo statuto umano si acquisisce progressivamente. L’uomo non esiste se non subisce determinati rituali che lo rendono umano in senso completo.

Nella cultura dei Senufo del Mali, l’iniziazione è in tre fasi ciascuna della durata di sette anni. L’ultimo periodo è quello della maturità e della pienezza, e comprende le cerimonie per gli adulti. Nel rituale si prevede il ritorno degli adepti nel ventre della divinità, un periodo di vita fetale e la rinascita a una nuova vita. La religione Senufo è un tipo di animismo. Include spiriti ancestrali e della natura, che possono essere contattati.

Per i Bantu del Camerun la fanciulla, durante un percorso di apprendimento, impara le leggi del corpo, le sedi di funzioni generatrici, le regole del focolare, il rispetto delle gerarchie. Il tutto è dominato dal simbolismo dei tre colori: il bianco per l’uomo, il rosso per la fiamma e la donna feconda, il nero per la donna anziana. La realtà materiale, le cose, gli esseri, la natura sono gli elementi rivelatori del divino. Tutti i Bantu credono tradizionalmente in un dio supremo. La natura di dio è associata al sole o al più antico di tutti gli antenati.

Il sistema religioso Masai è monoteista. La divinità principale si chiama Engai e ha una doppia natura: benevola e vendicativa. La figura più importante nella religione Masai è il laibon, una sorta di sciamano, il cui ruolo include tradizionalmente la guarigione, la divinazione e la profezia. Nella società odierna hanno anche una funzione politica, la maggior parte dei laibon appartiene al consiglio degli anziani.

Il modernismo secolare è riuscito a distanziare la religione dalle sfere socio-economiche e politiche ma tale separazione non ha lasciato un’impronta duratura nelle società africane, dove la religione continua a svolgere un ruolo di rilievo. Mentre l’eredità religiosa tradizionale africana rimane una forza potente che influenza ancora fortemente i valori, l’identità e la visione degli africani, il cristianesimo e l’islam sono diventati le principali fonti di influenza socio-politica e economica degli Stati africani. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Viaggio nella spiritualità, dove la vita mistica è espressione dell’etica” di Federica Iezzi


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Roma, 26 dicembre 2020, Nena News

Mali – Secondo l’ultimo report dell’International Commission of Inquiry for Mali, presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le forze di sicurezza maliane avrebbero commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità verso civili sospettati di essere affiliati o di cooperare con gruppi armati estremisti, nell’arco di sei anni dal 2012 al 2018.

I crimini includono omicidio, mutilazione e altri trattamenti crudeli, stupri e altre forme di violenza sessuale, presa di ostaggi e attacchi contro il personale delle organizzazioni umanitarie e Minusma, la forza di pace delle Nazioni Unite in Mali.

La Commissione denomina i gruppi responsabili: il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (Mnla), il Gruppo di autodifesa Tuareg Imghad e alleati (Gatia) e il movimento arabo dell’Azaward (Maa-Plateforme).

L’indagine, le cui conclusioni non sono ancora state rese pubbliche, raccomanda di istituire un tribunale specializzato nel perseguire i crimini internazionali. A differenza di altri rapporti delle Nazioni Unite, le conclusioni della Commissione possono essere utilizzate come base giuridica per un’eventuale azione penale.

Il Paese del Sahel è precipitato nella violenza nel 2012 quando i separatisti di etnia Tuareg hanno lanciato una rivolta armata nel nord, che è stata poi supportata da una campagna armata di combattenti. La Francia, ex potenza coloniale, ha lanciato un’operazione militare nel 2013, continuando a infiammare una regione con forti rivalità etniche e avanzando nel vicino Burkina Faso e Niger.

Repubblica Centrafricana – Bambari, la quarta città della Repubblica Centrafricana, occupata dai combattenti ribelli,del gruppo Unity for Peace in Central Africa, in vista dell’imminente tornata elettorale, è ora nelle mani dei caschi blu delle Nazioni Unite e delle forze di sicurezza nazionale.

Gli attacchi hanno fatto seguito alle accuse del governo secondo cui l’ex presidente François Bozizé stava organizzando un colpo di stato con gruppi armati in vista delle elezioni presidenziali e legislative.

Il tribunale della Repubblica Centrafricana ha ufficialmente respinto la candidatura di Bozizé. La sua assenza ha lasciato Faustin-Archange Touadera come il chiaro capofila in campo sui 17 candidati alla presidenza.

Su richiesta della Repubblica Centrafricana, Russia e Rwanda hanno inviato centinaia di militari per sostenere il Paese in difficoltà. La Repubblica Centrafricana è uno dei Paesi più poveri e instabili del mondo, che vive solo rari momenti di pace dall’indipendenza dalla Francia nel 1960.

Bozizé è salito al potere con un colpo di stato nel 2003 prima di venir rovesciato nel 2013, in un conflitto che rispecchiava ampiamente le divisioni settarie del Paese. Ancora oggi conserva un ampio seguito, soprattutto tra il gruppo etnico Gbaya, il più grande del Paese, e ha molti sostenitori nell’esercito.

Il governo Touadera rimane debole e le forze armate sono scarsamente equipaggiate e addestrate e rimangono fortemente dipendenti dalle truppe Minusca (Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione della Repubblica Centrafricana).

Nonostante un accordo di pace tra il governo e i gruppi armati nel febbraio 2019, il Paese rimane tormentato dalla violenza. Migliaia di persone sono morte negli ultimi sette anni e quasi un quarto della popolazione di 4,7 milioni è stata forzata a lasciare le proprie abitazioni. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. ONU, crimini di guerra in Mali tra il 2012 e il 2018” di Federica Iezzi


Africa med plants

#botanica

Roma, 12 dicembre 2020, Nena News

Africa – L’uso delle piante medicinali come componente del sistema sanitario tradizionale africano è forse il più antico e il più assortito di tutti i sistemi terapeutici. Nelle zone rurali del continente, i guaritori tradizionali che prescrivono piante medicinali sono la risorsa sanitaria più facilmente accessibile ed economica disponibile per la comunità locale e spesso l’unica terapia esistente.

Secondo i dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’80% della popolazione mondiale emergente si affida alla medicina tradizionale per la terapia. La stessa Oms incoraggia gli Stati membri africani a promuovere e integrare le pratiche mediche tradizionali nel sistema sanitario ufficiale.

Le piante contengono tipicamente miscele di diversi metaboliti che possono agire individualmente, in modo additivo o in sinergia per migliorare una condizione fisica. Le azioni combinate di queste sostanze tendono ad aumentare l’attività del principale costituente farmacologico accelerandone o rallentandone l’assimilazione nell’organismo.

Una singola pianta può, ad esempio, contenere sostanze amare che stimolano la digestione, possedere composti antinfiammatori che riducono gonfiore e dolore, composti fenolici che agiscono da antiossidanti e venotonici, tannini che agiscono come antibiotici naturali, sostanze diuretiche che aumentano l’eliminazione dei prodotti di scarto e delle tossine, alcaloidi che migliorano l’umore e danno un senso di benessere.

La medicina tradizionale africana nelle sue varie forme è olistica, dunque coinvolge sia il corpo che la mente. Il guaritore tradizionale tipicamente diagnostica e tratta le basi psicologiche di una malattia, prima di prescrivere piante medicinali per curare i sintomi.

Il costante interesse per la medicina tradizionale nel sistema sanitario africano può essere giustificato da due ragioni principali. Il primo è l’accesso inadeguato ai farmaci allopatici e alle forme di cure occidentali, per cui la maggior parte delle persone in Africa non può permettersi l’accesso alle moderne cure mediche. Il secondo è la mancanza di cure mediche moderne efficaci per alcuni disturbi che colpiscono in modo sproporzionato l’Africa più di altre aree del mondo.

Si stima che l’Africa contenga tra le 40 e le 45mila specie di piante con un potenziale di sviluppo, di cui 5mila sono attualmente utilizzate in medicina. Ciò non sorprende: il territorio africano vive in un clima tropicale e subtropicale ed è noto che le piante accumulano importanti metaboliti attraverso l’evoluzione come mezzo naturale per sopravvivere in un ambiente ostile.

Nella biodiversità africana, diverse piante medicinali hanno il potenziale a breve e lungo termine di essere sviluppate come futuri fitofarmaci.

L’Acacia senegal, nota anche come gomma arabica, è originaria delle regioni semidesertiche e più secche dell’Africa sub-sahariana. L’uso della gomma arabica risale alla prima dinastia egizia (3400 a.C.), nel trattamento delle infezioni come bronchite, diarrea, gonorrea, lebbra, febbre tifoide e infezioni del tratto respiratorio superiore e del tratto urinario. È inoltre utilizzata come agente emolliente, protettivo, emulsionante e stabilizzante di sospensioni.

Recentemente, è stato segnalato che gli estratti di Acacia Senegal sono stati valutati in vitro per il loro potenziale antimicrobico contro isolati patogeni umani (Escherichia coli, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Klebsiella pneumoniae, Shigella dysenteriae, Salmonella typhi, Streptococcus pyogenes, Pseudomonasuges e Proteus vulgaris).

L’Aloe ferox, originaria del Sudafrica e del Lesotho, è utilizzata ormai da tempo come lassativo. La pianta contiene almeno 130 agenti curativi con proprietà antinfiammatoria, analgesiche, antisettiche, germicide, antivirali, antiparassitarie, antitumorali. Viene usato regolarmente per il trattamento di artrite, congiuntivite, sinusite e ustioni. L’Aloe Ferox appare molto promettente nell’alleviare i sintomi associati a malattie non trasmissibili come i disordini cardiovascolari, il cancro, le malattie neurodegenerative e il diabete.

L’Artemisia herba-alba, comunemente nota come assenzio, originaria dell’Africa settentrionale, è stata utilizzata nella medicina popolare di molte culture. Nella medicina popolare marocchina è usata per trattare ipertensione arteriosa e diabete e in Tunisia è usata in diabete, bronchite, diarrea, ipertensione arteriosa e nevralgie. La tisana di Artemisia herba-alba è stata utilizzata come agente analgesico, antibatterico, antispastico ed emostatico. La straordinaria attività antimicotica dell’Artemisia herba-alba è risultata associata a due principali composti volatili, isolati dalle foglie fresche della pianta, il carvone e il piperitone.

L’Aspalathus linearis, specie endemica sudafricana, viene coltivata per produrre la famosa tisana, nota come rooibos. La sua percentuale di tannino, combinata all’attività antiossidante, immunomodulatrice e chemiopreventiva, ha contribuito alla sua popolarità. Usato tradizionalmente in tutta l’Africa contro vomito e crampi addominali. È sempre più evidente che i flavonoidi presenti nella pianta contribuiscono in modo sostanziale alla riduzione dell’insorgenza di malattie cardiovascolari e di disturbi legati all’invecchiamento. Gli effetti broncodilatatori, antispastici e antipertensivi sono stati confermati in vitro e in vivo.

La Centella asiatica ha una distribuzione pan-tropicale ed è utilizzata in molte culture curative, tra cui la medicina ayurvedica, la medicina tradizionale cinese, il Kampo (medicina tradizionale giapponese) e la medicina tradizionale africana. È utilizzata principalmente nel processo di guarigione di ferite, ustioni e ulcere, è impiegata nel trattamento di lebbra, tubercolosi, lupus eritematoso sistemico, febbre, infiammazione, asma, ipertensione arteriosa, reumatismi, sifilide, epilessia, diarrea e disturbi dell’umore. Nelle isole Mauritius, l’applicazione di Centella asiatica nel trattamento della lebbra fu segnalata per la prima volta nel 1852.

Il Catharanthus roseus ha un caratteristico ruolo terapeutico, in quanto fonte degli alcaloidi antitumorali vincristina e vinblastina, la cui complessità li rende impossibili da sintetizzare in laboratorio. È comunemente usato nella medicina tradizionale nel trattamento di reumatismi, disturbi della pelle, malattie veneree e diabete. La pianta ha anche effetti neurotossici periferici tra cui nevralgia, mialgia, parestesia, perdita dei riflessi tendinei, depressione, episodi convulsivi e difficoltà respiratorie. Altri effetti collaterali includono alopecia, disturbi gastrointestinali, ulcerazioni della mucosa orale, amenorrea e azoospermia.

La Cyclopia genistoides è il componente principale di tisana autoctona del Sud Africa nota come Honeybush, usata per i suoi effetti positivi diretti principalmente sul sistema urinario. È impiegata anche come espettorante e nella tubercolosi polmonare.

L’Harpagophytum procumbens è originario di Sud Africa, Botswana e Namibia. Le popolazioni indigene San e Khoi dell’Africa meridionale hanno usato l’artiglio del diavolo in medicina per allergie, arteriosclerosi, dismenorrea, dispepsia, fibromialgia, malaria, emicrania, mialgia, nevralgia, tendiniti, infezioni del tratto urinario. In più come antiaritmico, analgesico, antidiabetico, antiflogistico, antipiretico, stimolante dell’appetito, diuretico. Sono stati condotti diversi studi clinici per determinare l’efficacia dell’Harpagophytum procumbens per il suo utilizzo come antinfiammatorio, analgesico generale per la lombalgia e agente antireumatico.

La Momordica charantia è un rimedio popolare molto comune per il diabete. Ha una lunga storia di utilizzo come agente ipoglicemico. L’estratto acquoso del frutto di Momordica charantia è un potente stimolatore del rilascio di insulina da isole pancreatiche ricche di cellule beta.

Il Pelargonium sidoides è originario delle regioni costiere del Sud Africa e le informazioni etnobotaniche disponibili mostrano un ampio utilizzo nelle infezioni respiratorie acute, tra cui rinosinusite acuta e bronchite acuta. L’attività antibatterica degli estratti e dei costituenti isolati di Pelargonium sidoides è stata valutata contro batteri gram-positivi e gram-negativi.

Sono ancora aperte molte grandi sfide che devono essere superate e affrontate per realizzare il pieno potenziale dei prodotti vegetali e per convalidarne a fondo gli effetti, con solidi criteri scientifici per poter competere con le terapie convenzionali esistenti. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Piante medicinali, la tradizione che aiuta la medicina moderna” Parte #1

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Piante medicinali, la tradizione che aiuta la medicina moderna” Parte #2


Roma, 5 dicembre 2020, Nena News 

Burkina Faso, Sud Sudan, Nigeria – Gli hotspot in tre Paesi africani, Burkina Faso, Sud Sudan e Nigeria, insieme allo Yemen, presentano gravi livelli di insicurezza alimentare e potrebbero potenzialmente raggiungere una preoccupante carestia entro tre o sei mesi.

Il rapporto Early Warning Analysis of Acute Food Insecurity Hotspots, condotto dall’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dal Programma Alimentare Mondiale (WFP), ha rilevato che milioni di persone, già di fronte ad una critica carenza di cibo, sono oggi sull’orlo della carestia, mentre la pandemia legata al virus SARS-CoV-2 saccheggia l’occupazione, interrompe le attività agricole, abbatte l’economia e fa salire i prezzi del greggio.

I Paesi stanno già fronteggiando una pericolosa combinazione di eventi tra conflitti armati, sfollamento di massa, crisi economica e calamità climatica e agricola.

L’importo disponibile per soddisfare i bisogni primari è estremamente ridotto e dunque altre spese come l’istruzione e la spesa sanitaria saranno irrimediabilmente tagliati.

L’analisi della FAO e del PAM elenca altri 16 Paesi e territori, da Haiti allo Zimbabwe, a rischio di aumento dei livelli di malnutrizione acuta. Nel 2019, 135 milioni di persone hanno affrontato una crisi o un’emergenza alimentare in 55 Paesi.

A meno che non venga intrapresa un’azione critica, il mondo potrebbe sperimentare il suo primo focolaio di carestia da quando è stato dichiarato l’ultima volta nel 2017, in alcune regioni del Sud Sudan. La carestia è la più grave delle cinque fasi utilizzate dall’Integrated food security Phase Classification (IPC) per tracciare i gradi crescenti di insicurezza alimentare.

Burundi – Almeno 18 rifugiati e richiedenti asilo di nazionalità burundese sono scomparsi forzatamente dai campi profughi in Tanzania nell’ultimo anno, secondo un nuovo rapporto di Human Rights Watch.

Molti sono stati torturati in una stazione di polizia a Kibondo, in Tanzania. Sette rimangono dispersi, mentre tre sono stati rilasciati dopo diverse settimane. Otto sono stati consegnati alle autorità del Burundi e trattenuti in prigione in condizioni pessime, senza un giusto processo.

Molti degli oltre 150.000 rifugiati in Tanzania sono fuggiti da disordini politici nel 2015, quando sono state represse decine di proteste contro la candidatura del presidente Pierre Nkurunziza per un ulteriore mandato.

L’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite è stato espulso dal Paese dopo aver segnalato più di 300 esecuzioni extragiudiziali.

L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha espresso preoccupazione alle autorità tanzaniane per le sparizioni forzate.

Etiopia – Il governo etiope e le Nazioni Unite hanno raggiunto un accordo per convogliare gli aiuti umanitari disperatamente necessari nella regione settentrionale del Tigray, in seguito all’inasprimento del conflitto interno.

L’accordo consentirà agli operatori umanitari un accesso senza ostacoli alle aree del Tigray, dove le truppe federali stanno combattendo contro il Tigray People’s Liberation Front (TPLF).

Il conflitto ha ucciso migliaia di persone, costretto più di 45.000 civili a rifugiarsi nel vicino Sudan, e aggravato le sofferenze in una regione in cui 600.000 persone dipendevano già dagli aiuti alimentari. Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa, inoltre, attualmente in Tigray mancano attrezzature mediche di base.

Le Nazioni Unite e i partner umanitari in Etiopia si sono impegnati, con il governo Abiy e tutte le parti in conflitto, a garantire che l’azione umanitaria nelle regioni di Tigray, Amhara e Afar sia rigorosamente condotta in conformità con i principi di umanità, imparzialità, indipendenza e neutralità.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Rifugiati scomparsi in Tanzania, aiuti umanitari nel nord dell’Etiopia” di Federica Iezzi


Open street map - Bidibidi camp, Uganda

Open street map – Bidibidi camp, Uganda

Roma, 28 novembre 2020, Nena News

Uganda – Le immagini satellitari scattate a due anni e mezzo di distanza mostrano la trasformazione di una delle zone più trafficate del campo di Bidibidi in Uganda nord-occidentale. A partire dall’agosto 2016, i funzionari ugandesi hanno rapidamente ripulito le aree boschive e costruito nuove strade sterrate per accogliere migliaia di rifugiati che arrivano ogni giorno dal massacrato Sud Sudan. La zona 2 è una delle aree più densamente popolate e meglio organizzate di Bidibidi. Nel campo vivono un quarto di milione di persone. La maggior parte dei residenti di Bidibidi sono bambini. È il secondo più grande insediamento di rifugiati al mondo, dopo il campo dei Rohingya in Bangladesh.

In Uganda è in corso un grande esperimento. Uno skyline industriale si libra su robuste capanne di fango e piccoli appezzamenti agricoli. Bidibidi si è trasformato negli anni in un insediamento permanente, molti edifici sono stati ricostruiti con mattoni. Il Paese ha convertito la maggior parte delle scuole e delle cliniche mediche di Bidibidi in strutture permanenti e ha installato un sistema idrico. A differenza di molti campi profughi, che sono isolati e recintati, Bidibidi si fonde quasi perfettamente con l’ambiente circostante. Le case dei rifugiati, nelle cinque zone del campo, circondate da coltivazioni di mais, arachidi e piante di sesamo, sono quasi identiche a quelle dei villaggi ugandesi.

Nei campi di tutto il mondo, i rifugiati vivono stipati in tende, rifugi improvvisati o abitazioni di metallo. Sono limitati da leggi che rendono impossibile il lavoro e gli spostamenti fuori dai campi. Anche in campi ben pianificati come Azraq nel deserto della Giordania, la crudezza di una vita senza lavoro costringe i rifugiati a cercare di guadagnare denaro con accordi pericolosi e sottobanco. In Uganda, sotto una delle politiche più progressiste del mondo, coloro che sono fuggiti dalla guerra civile in Sud Sudan possono vivere, coltivare e lavorare liberamente. Qui il futuro di Bidibidi viene discusso ai più alti livelli di governo e della comunità internazionale. L’obiettivo è quello di costruire una città vivibile a partire da un campo profughi, una città che potrebbe esistere anche se i rifugiati un giorno tornassero a casa. La maggior parte dei campi in tutto il mondo sono ancora costruiti come stazioni temporanee. La velocità e la sopravvivenza hanno la priorità e i gruppi di supporto, i Paesi ospitanti e gli stessi rifugiati sperano che tornino presto a casa. La realtà è diversa. I rifugiati rimangono in esilio per una media di 10 anni. Mentre il mondo è alle prese con lo sfollamento da record, il mantenimento di campi temporanei costa centinaia di milioni di dollari all’anno e sospende la vita di milioni di persone.

Bidibidi aprì nel 2013, accogliendo fino a 6 mila persone al giorno, per lo più provenienti dai violenti scontri del Sud Sudan. Tutti i 193 Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a integrare più pienamente i rifugiati nelle loro società. Tredici paesi, compreso l’Uganda, stanno pilotando questa strategia. Ma non è certo rivoluzionario in Uganda, dove ai rifugiati è stato permesso di vivere e lavorare per più di un decennio. Nel 2017, l’Uganda ha avviato lavori per incoraggiare lo sviluppo nelle aree di accoglienza dei rifugiati.

Stabilità a lungo termine significa spostare il paradigma dei campi profughi dagli aiuti umanitari all’industria privata. Se viene creato lo spazio legale in cui è consentita l’attività economica e alle persone viene data una stabilità giuridica di base, si può sostenere un enorme dinamismo che alla fine non può creare altro che prosperità. Progetti e budget redatti da varie organizzazioni umanitarie mostrano come lo sviluppo economico sia arrivato a Bidibidi: zone Wi-Fi, mini reti elettriche, impianti di produzione su larga scala. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Il campo profughi di Bidibidi” di Federica Iezzi


FILE PHOTO: Dale Smith holds the foot of his newborn baby Sofia Murchison-Smith, born at 6:25 am, at the New York Downtown Hospital in New York

Roma, 21 novembre 2020, Nena News 

Africa sub-sahariana – L’inquinamento atmosferico ha ucciso 476.000 neonati nel 2019, con i più grandi hotspot in India e in Africa sub-sahariana, secondo il recente report dello State of Global Air 2020, prodotto dal lavoro coordinato tra Health Effects Institute, Institute for Health Metrics and Evaluation e University of British Columbia.

Gli autori dello studio fanno affidamento su un numero crescente di prove che collegano l’esposizione delle neomadri durante la gravidanza all’inquinamento atmosferico, con l’aumento del rischio di basso peso alla nascita o parto pretermine.

Queste condizioni sono associate a gravi complicazioni che rappresentano la maggioranza dei decessi nel primo mese di vita.

Anche se c’è stata una lenta e costante riduzione della dipendenza delle famiglie da combustibili di scarsa qualità, l’inquinamento atmosferico continua a essere un fattore chiave nei decessi dei neonati.

Zimbabwe – Il pluripremiato giornalista dello Zimbabwe, Hopewell Chin’ono, è stato accusato di ostacolo alla giustizia ed è detenuto nella prigione di massima sicurezza di Chikurubi.

Chin’ono è accusato di aver violato le condizioni della sua cauzione.

Il giornalista era stato arrestato a luglio con l’accusa di incitamento alla violenza pubblica, durante le proteste antigovernative legate all’amministrazione Mnangagwa, ed era poi stato liberato a settembre su cauzione.

La sua ultima detenzione è invece collegata all’arresto di Henrietta Rushwaya, presidente dello Zimbabwe Miners Federation, all’aeroporto di Harare lo scorso 26 ottobre, mentre stava per imbarcarsi su un volo per Dubai con sei chili d’oro nel bagaglio a mano, non legalmente dichiarati.

Lodato per il suo giornalismo investigativo, Chin’ono ha contribuito a denunciare uno scandalo multimilionario che ha coinvolto l’approvvigionamento in Zimbabwe di forniture per il contrasto al coronavirus, lo scorso maggio.

Repubblica Democratica del Congo – In settimana è stata celebrata la fine dell’ultimo focolaio di ebola, responsabile di almeno 2200 decessi, in Repubblica Democratica del Congo.

Il Paese era arrivato al raggiungimento dello ‘zero casi’ giá lo scorso giugno. Ma solo pochi giorni prima che le province nord-orientali del Nord Kivu e dell’Ituri venissero dichiarate libere dall’ebola, un nuovo focolaio scoppiò nella provincia dell’Equator, l’undicesimo focolaio del Paese dal 1976.

Più di cinque mesi dopo, l’infezione è stata finalmente arrestata.

Quando le comunità locali sono impegnate e formate nella preparazione e nella risposta alle epidemie, diventano contributori vitali per fermare le epidemie stesse, salvare vite umane, ripristinare i servizi, ridurre gli effetti negativi del contagio, accelerare il recupero e costruire la resilienza.

In risposta all’ultima riacutizzazione dell’ebola a Mbandaka a giugno, più di 1.000 volontari della Croce Rossa della Repubblica Democratica del Congo sono stati in grado di intraprendere azioni immediate per prevenire la diffusione del virus, senza necessitá di un’urgente assistenza esterna. Avevano formazione, scorte, procedure e protocolli pronti per produrre una risposa rapida e ridurre le conseguenze umanitarie dell’epidemia.

In un Paese in cui tre persone su quattro guadagnano meno di due dollari al giorno, le restrizioni per frenare la diffusione di virus mortali, devastano la capacità delle persone di soddisfare persino i bisogni primari.

Nena News Agency ‘FOCUS ON AFRICA. Fine ebola in Congo, detenuto noto giornalista in Zimbabwe’ di Federica Iezzi


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Roma, 14 novembre 2020, Nena News

Etiopia – Il governo federale dell’Etiopia è nel pieno di un pericoloso conflitto contro lo Stato settentrionale del Tigray, governato indipendentemente dall’opposizione, minacciando la stabilità di una delle regioni più strategiche del mondo, il Corno d’Africa.

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha affermato che le operazioni militari federali nel nord, iniziate la scorsa settimana, hanno avuto obiettivi chiari, limitati e raggiungibili. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il capo dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat e il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok, in qualità di presidente del gruppo regionale IGAD (InterGovernmental Authority on Development), appaiono profondamente allarmati.

Secondo l’ultimo rapporto, le Nazioni Unite affermano che nove milioni di persone potrebbero essere a rischio di allontanamento forzato, a causa dell’escalation del conflitto. Entrambe le parti, governo federale e rappresentanza del Tigray, guidata da Debretsion Gebremichael fino a giovedì e poi sostituito da Addis Abeba con Mulu Nega, si sono accusate a vicenda di aver iniziato i presunti combattimenti. Ed entrambi hanno intensificato la pressione negli ultimi giorni.

L’Etiopia è una delle nazioni meglio armate dell’Africa e il Fronte di Liberazione Popolare del Tigray (Tplf) dominava l’esercito e il governo del Paese prima che Abiy si insediasse nel 2018. L’International Crisis Group stima che la forza paramilitare del Tplf e la milizia locale possano contare su circa 250mila soldati.

Intanto il vice primo ministro Demeke Mekonnen è stato nominato ministro degli esteri, Birhanu Jula è stato promosso a capo di stato maggiore dell’esercito e Temesgen Tiruneh, che era presidente della regione di Amhara, è stato nominato nuovo capo dell’intelligence.

Secondo il gruppo per i diritti digitali, Access Now, il governo federale etiope avrebbe interrotto le comunicazioni telefoniche e internet alla regione del Tigray, rendendo difficile la verifica delle informazioni sul campo.

L’esercito etiope attualmente avrebbe il controllo di diverse città vicino al confine con l’Eritrea, comprese Dansha e Shire. Diplomatici, ufficiali della sicurezza regionale e operatori umanitari affermano che i combattimenti si diffondono nella parte nord-occidentale del Paese, lungo il confine tra Tigray e Amhara, che sostiene il governo di Addis Abeba, e vicino al confine con il Sudan e l’Eritrea.

Migliaia di persone hanno marciato in proteste anti-Tplf nelle regioni di Oromia, Somalo e Afar, secondo i media locali, in quello che sembrava essere un tentativo sostenuto dal governo di vincere una guerra di propaganda contro il Tigray.

Dopo la nomina come primo ministro di Abiy, il Tplf è stato sempre più emarginato, fino al ritiro dalla coalizione di governo dell’Etiopia. Lo scorso settembre, dunque, la regione etiope del Tigray ha pianificato un’elezione locale, che il governo federale dell’Etiopia ha definito illegale.

Il conflitto potrebbe estendersi ad altre zone dell’Etiopia, dove alcune regioni hanno chiesto maggiore autonomia. La mortale violenza etnica ha portato il governo federale a ripristinare misure che includono l’arresto degli oppositori.

Gli osservatori avvertono che un conflitto in Etiopia potrebbe destabilizzare geopoliticamente l’avamposto militare più strategico in Africa, il piccolo Gibuti, dove diverse potenze globali, tra cui Stati Uniti e Cina, hanno le loro basi.

Circa 11mila persone, di cui il 50% bambini, hanno già attraversato il confine tra Etiopia e Sudan, in fuga dal conflitto dall’inizio dei combattimenti, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Nena News

Nena News Agency ‘FOCUS ON AFRICA. Il conflitto in Tigray e il rischio di una guerra etiope’ di Federica Iezzi


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Sudafrica – Il più grande gruppo sindacale del Sudafrica, COSATU (Congress of South African Trade Unions), ha esortato il milione di membri a protestare contro i licenziamenti illegali, i limiti salariali e i casi di corruzione nel Paese. COSATU risulta un alleato del partito al governo African National Congress (ANC), ma ha criticato duramente la gestione del governo durante la pandemia legata al virus SARS-CoV-2.

La federazione sindacale ha affermato questa settimana che gli oltre due milioni di posti di lavoro persi nel secondo trimestre del 2020 sono stati un vero e proprio atto d’accusa contro le prestazioni del governo.

Il presidente Cyril Ramaphosa ha affermato che il governo sta finalizzando un piano di rilancio economico per migliorare i tassi di occupazione e per combattere la dilagante corruzione.

Il COSATU ha anche lanciato accuse contro il mancato aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici a partire dallo scorso aprile, come precedentemente promesso in un accordo salariale triennale concluso nel 2018, che il governo ora ritiene inaccessibile.

COSATU sta organizzando cortei e marce nelle nove province del Sudafrica.

I sindacati affiliati a COSATU rappresentano i lavoratori del settore pubblico e privato nell’insegnamento, nella sanità, nella polizia e nell’industria mineraria.

Repubblica Democratica del Congo – L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’istituzione di una commissione indipendente per indagare sulle denunce di sfruttamento e abuso sessuale da parte di operatori umanitari, durante la recente epidemia di ebola in Repubblica Democratica del Congo.

In un’indagine pubblicata dalla Thomson Reuters Foundation e The New Humanitarian, più di 50 donne hanno accusato operatori umanitari dell’OMS e di importanti organizzazioni non governative di sfruttamento sessuale, in cambio di posti di lavoro, durante la crisi legata all’infezione dal virus ebola del 2018-2020.

Le organizzazioni citate nella denuncia si sono impegnate a indagare, così come il ministero della salute del Paese.

A guidare l’inchiesta dell’OMS saranno Aichatou Mindaoudou, ex ministro degli affari esteri e dello sviluppo sociale del Niger, e Julienne Lusenge, attivista congolese per i diritti umani.

Lusenge è nota per il suo lavoro a favore delle vittime di violenza sessuale nella Repubblica Democratica del Congo orientale. Mindaoudou è rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Costa d’Avorio e Darfur.

Costa d’Avorio – La tensione rimane alta in Costa d’Avorio dopo che Alassane Ouattara è stato rieletto per un terzo mandato controverso, come presidente del Paese. Solo poche ore dopo che Ouattara è stato dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali, con oltre il 94% dei consensi, il ministro della Giustizia Sansan Kambile ha accusato l’opposizione di atti di aggressione e complotto contro l’autorità dello Stato.

Le forze di sicurezza hanno circondato le case dei leader dell’opposizione dopo che hanno rifiutato la vittoria di Ouattara e hanno comunicato di istituire un governo di transizione rivale.

La polizia ha così bloccato l’accesso alle residenze dei principali avversari di Ouattara, Henri Konan Bedie e Pascal Affi N’Guessan.

Il terzo mandato di Ouattara viola il limite di due mandati presidenziali del Paese, ma il leader ivoriano sostiene che una riforma del 2016 gli permette di non rispettare i limiti di mandato. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. In Sudafrica lotta contro licenziamenti e corruzione” di Federica Iezzi


Roma, 31 ottobre 2020, Nena News 

Costa d’Avorio – Non si è mai fermata la violenza in Costa d’Avorio legata alle elezioni presidenziali, iniziata a Bongouanou, roccaforte del candidato dell’opposizione ed ex primo ministro Pascal Affi N’Guessan.

Duri scontri tra il gruppo etnico Agni, che sostiene N’Guessan, rappresentante del Fronte Popolare Ivoriano, e la popolazione Dioula del nord della Costa d’Avorio, che sostiene l’attuale presidente Alassane Ouattara, rapresentante del Raggruppamento dei Repubblicani.

Decine di potenziali candidati sono stati esclusi dalle elezioni, tra cui l’ex presidente Laurent Gbagbo e l’ex capo dei ribelli Guillaume Soro.

A correre alle imminenti presidenziali invece rimangono l’ex presidente Henri Konan Bedie e l’ex parlamentare Kouadio Konan Bertin. Entrambi esponenti del Partito Democratico della Costa d’Avorio.

Vicina al boicottaggio, l’opposizione ha chiesto ai sostenitori di non prendere parte agli eventi elettorali e alle campagne elettorali, enfatizzando la disobbedienza civile.

Tanzania – Con 12,5 milioni di voti John Magufuli, 60 anni, ottiene il secondo e ultimo mandato quinquennale come presidente della Tanzania.

Mercoledì scorso il Paese ha aperto le urne per le elezioni presidenziali. Il voto è stato preceduto da una dura repressione del governo Magufuli nei confronti dei leader dell’opposizione, in particolare contro i rappresentanti del movimento CHADEMA (Party for Democracy and Progress), Tundu Lissu e Freeman Mbowe.

Più di 29 milioni di civili si sono registrati per votare e per decidere il destino del presidente Magufuli.

Il principale sfidante dell’opposizione Tundu Lissu ha ottenuto il 13% delle preferenze. Lissu ha esortato la popolazione a organizzare proteste nelle principali città per i risultati manomessi.

L’opposizione ha dovuto affrontare una grande sfida nel tentativo di rovesciare il partito socialista al governo Chama Cha Mapinduzi, con i 15 candidati alla presidenza che si sono divisi il sostegno.

Seychelles – Il candidato dell’opposizione delle Seychelles, Wavel Ramkalawan, ha vinto le elezioni presidenziali dell’arcipelago con il 54,9% dei voti validi espressi. Sconfitta per Danny Faure, rappresentante del partito di centro-sinistra Seychelles Unite.

Storico risultato per le isole dell’Africa orientale, infatti l’opposizione guadagna la presidenza 40 anni dopo l’ottenimento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna.

Ramkalawan, sacerdote anglicano e leader del partito liberale di centro-destra, Seychelles Democratic Alliance, si è candidato per la sesta volta alla presidenza.

Più di 74.000 sono stati i votanti. Il partito al governo riceve molto sostegno dalla parte meno ricca della società isolana. L’opposizione tende invece ad essere sostenuta da imprenditori dalle discendenze occidentali.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Violenze in Costa d’Avorio, Magufuli rieletto presidente della Tanzania” di Federica Iezzi


Algeria - Al Jazeera

Roma, 24 ottobre 2020, Nena News

Algeria – Le forze di sicurezza algerine hanno arrestato migliaia di migranti e rifugiati, prima di espellerli attraverso il confine con il Niger, secondo quanto affermato da Human Rights Watch: dall’inizio di settembre, l’Algeria avrebbe espulso oltre 3.400 migranti di almeno 20 nazionalità differenti, inclusi 430 bambini. Questo porta il numero di persone espulse sommariamente e accolte in Niger dall’inizio dell’anno a oltre 16.000.

Il Niger si trova su una rotta chiave attraverso il Sahara per migliaia di migranti provenienti dall’Africa occidentale che cercano di raggiungere il Mediterraneo per poi attraversare l’Europa.

L’Algeria ha il diritto di proteggere i suoi confini, ma non di detenere arbitrariamente ed espellere collettivamente migranti, compresi richiedenti asilo, senza traccia di un giusto processo. Prima dell’atto dell’espulsione, le autorità dovrebbero verificare lo status individuale di richiesta di asilo e garantire una revisione da parte dei tribunali.

L’Algeria ha all’attivo ondate di deportazioni negli ultimi due anni, tra cui l’espulsione di 25mila migranti in Niger nel 2018 e di altri 25mila nel 2019. Nessuna risposta da parte del governo di Algeri.

Nigeria – Il World Trade Organization (WTO) ha annunciato che l’attuale ministro del commercio della Corea del Sud, Yoo Myung-hee, e l’ex ministro delle finanze nigeriana, Ngozi Okonjo-Iweala, si sono qualificate come finaliste per la nomina del prossimo direttore generale, assicurando per la prima volta una donna al vertice dell’organizzazione. La vincitrice dovrebbe essere annunciata entro l’inizio di novembre.

Tre donne, tra cui due di origine africana, hanno rappresentato le ultime cinque candidate per la corsa alla leadership del WTO. Il Consiglio Generale del WTO, con sede a Ginevra, composto da 164 membri, ha eliminato Amina Mohamed, ex ministro del commercio del Kenya, Mohammad Maziad Al-Tuwaijri, ex ministro dell’economia saudita, e l’ex segretario del commercio internazionale del Regno Unito e forte sostenitore della Brexit Liam Fox.

I precedenti sette anni di lavoro del WTO, guidati da Roberto Carvalho de Azevedo, sono stati segnati da intense pressioni da parte del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha ripetutamente accusato l’organizzazione di trattamenti ingiusti, avviando una guerra commerciale contro la Cina.

Guinea Conakry – È iniziato subito dopo la chiusura dei seggi il conteggio dei voti in Guinea, in cui l’82enne presidente Alpha Conde sta cercando un controverso terzo mandato. I primi risultati mostrano Conde in testa, i sostenitori dell’opposizione sostengono l’esistenza di operazioni illecite di manipolazioni del voto.

Il voto segue mesi di disordini politici, in cui dozzine di civili sono stati uccisi durante le repressioni della sicurezza sulle proteste di massa anti-Conde. Altri dieci candidati oltre a Conde e il principale rivale Cellou Dalein Diallo, hanno contestato il sondaggio.

Un eventuale ballottaggio al secondo turno è previsto per il 24 novembre. Le tensioni politiche durante la campagna elettorale hanno sollevato lo spettro del conflitto etnico tra malinke e fulani, con Conde accusato di sfruttare le divisioni a fini elettorali. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. L’Algeria ha espulso 3400 migranti da settembre” di Federica Iezzi


Mozambico - MSF_20191201_103838

Roma, 17 ottobre 2020, Nena News 

Mozambico – A tre anni dall’inizio dei combattimenti nella provincia di Cabo Delgado, nel nord-est del Mozambico, le vittime del conflitto che ha ucciso più di 2.000 persone, non hanno ancora giustizia, secondo quanto afferma Amnesty International.

I violenti attacchi a Cabo Delgado hanno innescato una crisi umanitaria, con oltre 300.000 sfollati interni e 712.000 persone totalmente dipendenti da assistenza umanitaria. Più di 350.000 persone stanno affrontando una grave insicurezza alimentare, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari.

I membri del gruppo armato al-Shabaab hanno lanciato il loro primo assalto nel distretto di Mocimboa da Praia nell’ottobre 2017, attaccando le istituzioni governative, incluse stazioni di polizia. Da allora, gli attacchi del gruppo hanno preso di mira i civili e sono diventati sempre più violenti.

Anche le forze di sicurezza hanno commesso crimini e violazioni dei diritti umani, secondo quanto sancisce il diritto internazionale umanitario, comprese sparizioni forzate, tortura e esecuzioni extragiudiziali.

Nigeria – Centinaia di persone stanno protestando contro la presunta brutalità della polizia nigeriana contro i civili.

La rabbia si è diffusa sui social media dopo la comparsa di un video su un presunto omicidio nello stato meridionale del Delta, che le autorità hanno negato fosse reale.

Centinaia di giovani si sono riuniti a Ikeja, nel centro di Lagos, manifestando per il rispetto dei diritti umani e per una società più equa.

Il movimento di protesta era inizialmente rivolto alla Special Anti-Robbery Squad (SARS), ampiamente accusata di arresti illegali, torture e omicidi, poi diffuso alle altre forze di polizia.

La Commissione Nazionale per i diritti umani afferma di aver ricevuto più di 100 denunce di violazioni dei diritti da parte delle forze di sicurezza in 24 stati.

Con l’hashtag #EndSARS, utilizzato per la prima volta nel 2018, il mondo del web comprese diverse celebrità, hanno espresso sostegno al movimento nigeriano.

Guinea Conakry – Dopo 10 anni al potere, il presidente guineano 82enne Alpha Conde, si candida per un terzo mandato, sfidando decine di migliaia di manifestanti che hanno invaso le strade per cercare di fermarlo.

Conde, ex leader dell’opposizione, è accusato dai critici di autoritarismo. Intanto Amnesty International denuncia la dura repressione delle proteste nelle maggiori città della Guinea.

Le elezioni sono fissate per il 18 ottobre e Conde dovrà affrontare il nemico di lunga data e suo forte oppositore politico, Dalein Diallo.

Il 68enne è stato in prima linea nelle proteste contro il terzo mandato di Conde, che le forze di sicurezza hanno represso con mezzi illegali.

E’ una vecchia battaglia quella tra Conde e Diallo. Solo nel 2010, Conde salì alla presidenza dopo aver sconfitto Diallo durante il ballottaggio.

Il partito al potere Rally of the Guinean People (RPG), guidato da Conde, è ampiamente sostenuto dal popolo Malinke e l’Union of Democratic Forces of Guinea (UFDG) di Diallo, è appoggiato dal popolo fulani.

La scorsa settimana, le Nazioni Unite hanno espresso allarme per l’incitamento all’odio etnico in vista delle imminenti elezioni. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Proteste anti-polizia in Nigeria, senza giustizia le vittime del Mozambico” di Federica Iezzi


Al Jazeera UNCTAD

Roma, 10 ottobre 2020, Nena News

Africa – Uno studio delle Nazioni Unite ha dimostrato che l’Africa ha perso quasi 89 miliardi di dollari all’anno, equivalenti al 3,7% del Pil africano, in flussi finanziari illeciti come l’evasione fiscale e il furto, che ammontano a più di quanto riceve in aiuti allo sviluppo. La stima, nella relazione di 248 pagine della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), è la più completa fino ad oggi per l’Africa. Mostra una tendenza all’aumento nel tempo ed è superiore alla maggior parte delle stime precedenti.

I flussi finanziari illeciti privano l’Africa e la sua gente delle loro prospettive, minando la trasparenza e la responsabilità ed erodendo la fiducia nelle istituzioni.

Quasi la metà della cifra totale annua di 88,6 miliardi di dollari è rappresentata dall’esportazione di materie prime come oro, diamanti e platino. Ad esempio, l’oro ha rappresentato il 77% delle esportazioni totali per un valore di 40 miliardi di dollari nel 2015. Affrontare i flussi illeciti è una priorità per le Nazioni Unite, la cui Assemblea Generale ha adottato una risoluzione in merito già nel 2018.

Sudan – Il governo del Sudan e i ribelli hanno firmato un accordo di pace nel tentativo di porre fine a decenni di guerra in cui hanno perso la vita migliaia di persone.

La fine dei conflitti interni in Sudan è stata una delle massime priorità del governo di transizione al potere, a partire dalla rimozione dell’ex governatore Omar al-Bashir, risalente allo scorso anno, durante una rivolta popolare.

Ma il primo passo per trasformare le promesse sulla carta in pace è anche uno dei più esplosivi: il disarmo. Avvertendo un divario di fiducia tra gli ex ribelli e Khartoum, si teme che verranno mantenuti nascosti depositi di armi come assicurazione. Lo Small Arms Survey, un’organizzazione di ricerca con sede a Ginevra, calcola che nel 2017, erano detenute illegalmente in Sudan 2,76 milioni di armi. L’aspetto della sicurezza dell’accordo è il più complesso, entro 45 giorni verrà creato un consiglio supremo per guidare il disarmo che dovrebbe essere completato entro 39 mesi, nelle aree più critiche.

Il Fronte Rivoluzionario Sudanese (SRF), un’alleanza di gruppi ribelli delle regioni del Darfur, del Nilo Azzurro e del Kordofan meridionale, a maggioranza cristiana, ha espresso la speranza di una pace duratura.

Il Sudan è stato dilaniato da molteplici conflitti tra il governo dominato dall’Islam, guidato da al-Bashir per 30 anni, e ribelli provenienti da gruppi etnici non arabi nelle sue regioni remote. Le tensioni sono state acuite dalle difficoltà economiche, soprattutto dopo la secessione del Sud Sudan del 2011 che ha privato il nord di tre quarti delle sue riserve di petrolio.

Secondo le Nazioni Unite, la devastante guerra in Darfur del 2003 ha provocato la morte di almeno 300.000 persone e l’allontanamento di 2,5 milioni di sfollati, solo nei suoi primi anni.

Tuttavia alcuni gruppi ribelli si sono rifiutati di firmare l’accordo. Tra questi: la fazione del Movimento di Liberazione del Sudan (SLM) con sede in Darfur, guidata da Abdelwahid Nour e l’ala del Sudan People’s Liberation Movement-North (SPLM-N), con sede nel Sud Kordofan, guidata da Abdelaziz al-Hilu.

L’accordo copre una serie di questioni delicate, dalla proprietà terriera, riparazioni e risarcimenti, alla ricchezza, alla condivisione del potere e al ritorno in patria di rifugiati e sfollati interni.

Repubblica Centrafricana – Il presidente della Repubblica Centrafricana Faustin-Archange Touadera ha annunciato che parteciperà alle elezioni di dicembre nel Paese devastato da più di sette anni di guerra civile.

Touadera, 63 anni, è stato eletto nel febbraio 2016 con la maggioranza dei voti, da allora ha lottato per arginare la violenza intercomunitaria nella nazione, dove gruppi armati controllano i due terzi del territorio.

La violenza rimane radicata nella Repubblica Centrafricana nonostante un accordo di pace firmato nel febbraio 2019 tra governo e 14 gruppi armati. Nel 2013, il gruppo Seleka, una coalizione ribelle proveniente in gran parte dalla minoranza musulmana, ha rovesciato l’allora presidente François Bozizé, facendo precipitare il Paese, a maggioranza cristiana, in una spirale di violenza che ha costretto quasi un quarto dei 4,7 miliardi di cittadini a lasciare le proprie abitazioni.

Bozizé sarà il principale rivale di Touadera alle prossime elezioni.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Gli illeciti finanziari affondano il Pil africano” di Federica Iezzi

UNCTAD “Tackling illicit financial flows for sustainable development in Africa”


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Roma, 3 ottobre 2020, Nena News

Etiopia – L’Etiopia ha presentato accuse di terrorismo contro il leader dell’opposizione Jawar Mohammed e altri attivisti, azione che rischia di infiammare ulteriormente le tensioni nell’irrequieta regione dell’Oromia.

Nel complesso, l’ufficio del procuratore generale ha annunciato accuse contro più di 20 sospetti, tra cui il leader dell’opposizione Oromo Bekele Garba. Le accuse includono il tentativo di incitare conflitti etnici e religiosi per indurre i cittadini alla rivolta.

Tra gli altri sospetti ci sono diversi critici di alto profilo di Abiy che vivono all’estero, come l’eminente attivista Oromo Tsegaye Regassa e l’ex alleato di Abiy, Birhanemeskel Abebe.

Jawar, un magnate dei media diventato politico, ha un enorme sostegno tra i giovani in Oromia. È tornato in Etiopia dopo che Abiy è salito al potere. È stato imprigionato durante i disordini dello scorso luglio.

Il mese scorso, le forze di sicurezza hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco almeno cinque manifestanti in un’azione repressiva durante le proteste contro la detenzione di Jawar.

Nigeria – Il taglio a sorpresa dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale della Nigeria, a causa dei timori di una recessione incombente, potrebbe essere insufficiente per stimolare la crescita nella più grande economia africana.

Dei 10 membri del comitato di politica monetaria, sei hanno votato per abbassare il tasso all’11.5% dal 12.5%, secondo quanto affermato dal governatore Godwin Emefiele, in un briefing, nella capitale Abuja.

Questo è il secondo taglio quest’anno e si è verificato anche se l’inflazione è stata al di sopra dell’obiettivo dal 2015.

Il blocco delle principali città per frenare la diffusione del coronavirus ha causato un rapido aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. L’ordine del presidente Muhammadu Buhari di vietare l’accesso alla valuta estera per le importazioni di cibo e fertilizzanti potrebbe anche alimentare l’inflazione. La decisione del governo di porre fine ai sussidi per il carburante e aumentare le tariffe elettriche si aggiungerà ai costi dei consumatori.

Il calo della produzione e del prezzo del petrolio, la più grande fonte di valuta estera della Nigeria, si è aggiunto alla carenza di dollari e al calo più vertiginoso del prodotto interno lordo da almeno 10 anni.

Nell’ultimo anno, la Banca Centrale ha introdotto misure come una moratoria sui pagamenti di interessi sui prestiti, riducendo i tassi sugli stessi per i settori critici e aumentando il rapporto minimo prestito/deposito per le banche, nel tentativo di stimolare l’economia.

Mali – Il presidente ad interim del Mali Bah Ndaw ha nominato come primo ministro l’ex ministro degli esteri Moctar Ouane.

Ora si attende la revoca delle sanzioni imposte dopo il colpo di stato militare dello scorso agosto: un premier della società civile era la condizione perché la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) revocasse le sanzioni che aveva imposto subito dopo il colpo di stato che ha visto la fine della presidenza di Ibrahim Boubacar Keita.

Ouane è stato ambasciatore del Mali presso le Nazioni Unite dal 1995 al 2002 ed è stato ministro degli esteri dal 2004 al 2009 durante la presidenza di Amadou Toumani Toure. Attualmente è rappresentante per la pace e la sicurezza dell’Unione economica e Monetaria dell’Africa Occidentale (Wamu).

Il governo militare ha promesso di riportare un governo eletto nel Paese dopo un periodo di transizione della durata massima di 18 mesi. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Un premier civile per il Mali, ora si spera nella fine delle sansioni” di Federica Iezzi


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Roma, 26 settembre 2020, Nena News 

Kenya – Il giudice supremo del Kenya ha dibattuto con il presidente Kenyatta di sciogliere il parlamento del Paese, affermando che i legislatori non sono riusciti a soddisfare una disposizione costituzionale che accorderebbe alle donne l’occupazione di un terzo dei seggi totali.

Nonostante la costituzione del Kenya del 2010 stabilisca che non più di due terzi di qualsiasi organo eletto o nominato possono essere dello stesso sesso, le donne occupano solo il 22% dei seggi nella camera bassa del parlamento del Paese e il 31% dei seggi nella camera alta.

Le sentenze della Corte dal 2012 hanno imposto al Parlamento di approvare una legislazione per far rispettare la regola di genere.

Il giudice capo David Maraga ha affermato che la mancata attuazione della legislazione è stata una chiara testimonianza dell’atteggiamento e condotta apatici dei legislatori, in relazione alla regola di genere dei due terzi.

I gruppi per i diritti delle donne, tra cui il movimento #Weare52pc, che da tempo si battono per la legislazione, hanno affermato che il gesto è stato un passo significativo nella lotta per una più equa rappresentanza di genere in politica.

La percentuale di donne nel parlamento del Kenya è inferiore a quella di Etiopia, Sud Sudan, Burundi e Rwanda, secondo l’Inter-Parliamentary Union.

Mali – L’ex ministro della difesa del Mali, Bah Ndaw, è stato nominato Presidente del nuovo governo di transizione del Paese.

Il colonnello Assimi Goita, il leader del National Committee for the Salvation of the People (CNSP) che ha rovesciato l’ex presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita, è stato nominato vicepresidente.

Secondo un piano sostenuto dai leader militari, il nuovo presidente dovrebbe guidare il Paese per diversi mesi prima di organizzare le elezioni e riportare il Mali al governo civile.

I governanti militari del Mali hanno subito forti pressioni da parte dei leader della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) per restituire il potere ai civili dopo il colpo di stato dello scorso agosto.

Ndaw e Goita sono stati nominati da un gruppo di 17 elettori scelti dai leader militari per supervisionare una transizione di 18 mesi che culminerà in nuove elezioni.

Kaou N’Djim, portavoce dell’influente leader musulmano Mahmoud Dicko, che ha guidato proteste di massa contro Keita prima del colpo di stato, ha elogiato la nomina di Bah Ndaw.

Somalia – Il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed ha nominato Mohamed Hussein Roble come primo ministro del Paese, poche ore dopo aver negoziato un accordo con i leader regionali per le elezioni programmate il prossimo anno.

Sostituirà l’ex primo ministro Hassan Ali Khaire, che era stato sfiduciato dal parlamento lo scorso luglio, per non aver pienamente sostenuto il processo per elezioni democratiche, previste all’inizio del 2021.

Il governo di Mogadiscio, sostenuto dall’estero, ha avviato lunghe trattative con gli stati federali della Somalia su come procedere con le elezioni parlamentari e presidenziali. Tuttavia il processo è stato frenato da lotte interne politiche tra il presidente e i leader regionali del Paese.

In un comunicato ufficiale si afferma che i delegati dei numerosi clan somali avrebbero eletto i 275 parlamentari della camera bassa del parlamento, che a loro volta avrebbero scelto il presidente.

Non è stata profilata alcuna tempistica e non è chiaro quale ruolo giocherà la commissione elettorale indipendente del Paese, con i governi federale e statale che nomineranno le proprie agenzie per supervisionare i rispettivi sondaggi.

Nena News Agency “Bah Ndaw nuovo presidente in Mali, nuovo premier in Somalia” di Federica Iezzi


Mali, Al-Jazeera 20200607_180320

Roma, 19 settembre 2020, Nena News

Mali – Il movimento di opposizione popolare del Mali ha respinto la richiesta per un governo di transizione sostenuto dagli ufficiali dell’esercito al potere, che hanno rovesciato il presidente Ibrahim Boubacar Keita, con un colpo di stato il mese scorso.

Il governo militare ha appoggiato una risoluzione per un governo di transizione di 18 mesi, dopo un forum di tre giorni con partiti politici e rappresentanti della società civile. Il Mouvement du 5 juin (M5-RFP), che ha preso parte ai colloqui, ha bocciato la road map accusando il governo militare di monopolizzare il potere. Le discussioni si sono svolte in un contesto di intimidazioni e pratiche antidemocratiche.

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) ha comunicato all’attuale governo militare che dovrebbe designare un leader civile per guidare il periodo di transizione. L’Ecowas ha già interrotto i trasferimenti finanziari nel Paese e ha chiuso i confini.

Il leader del governo militare del Mali, il colonnello Assimi Goita, spera invece nel sostegno della comunità internazionale.

Liberia – Il presidente liberiano George Weah ha dichiarato la violenza sessuale un’emergenza nazionale e ha ordinato nuove misure per combattere il grave sopruso, dopo un recente aumento di casi nel Paese dell’Africa occidentale.

La decisione arriva dopo che migliaia di cittadini hanno protestato contro i crescenti episodi di stupro nella capitale Monrovia, nel tentativo di attirare l’attenzione sull’allarmante crescita dei tassi di violenza sessuale. Il governo istituirà una task force per la sicurezza nazionale sulla violenza sessuale e di genere.

Un rapporto delle Nazioni Unite nel 2016 ha registrato 803 casi di stupro in Liberia e ha comunicato che solo il 2% dei casi di violenza sessuale ha portato a una condanna. È stato il conseguente senso di impunità e retaggio dei 14 anni di guerra civile, dal 1989 al 2003, quando lo stupro era arma comune. Il Liberia’s Women Empowerment Network ha dichiarato che sono stati registrati almeno 600 casi di stupro tra giugno e agosto.

Costa d’Avorio – La Corte Suprema della Costa d’Avorio ha aperto la strada al presidente Alassane Ouattara per cercare un controverso terzo mandato, mentre continuano le violente proteste nelle maggiori città del Paese e crescono i timori di un nuovo conflitto, come quello che causò 3mila vittime un decennio fa.

Il consiglio costituzionale ha anche impedito all’ex presidente Laurent Gbagbo e all’ex leader ribelle, diventato primo ministro, Guillaume Soro, di candidarsi alle elezioni presidenziali programmate per il mese prossimo. Eliminati anche l’ex presidente Henri Konan Bedie del partito storicamente dominante Pdci (Partito Democratico della Costa d’Avorio), l’ex primo ministro di Gbagbo, Pascal Affi N’Guessan, e Kouadio Konan Bertin, un dissidente afferente al partito di Bedie.

Contro la Corte Suprema, l’ex presidente Henri Konan Bedie dovrebbe essere il principale portabandiera dell’opposizione e il Pdci lo ha ufficialmente nominato come candidato. Bedie sta cercando di tornare alla presidenza dopo essere stato rimosso nel primo colpo di stato del paese nel 1999.

I disordini hanno preoccupato gli osservatori politici, riguardo a un voto che potrebbe destabilizzare definitivamente la Costa d’Avorio. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. In Liberia la violenza sessuale è emergenza nazionale” di Federica Iezzi


Hotel des mille collines - Federica Iezzi

Roma, 12 settembre 2020, Nena News 

Rwanda – Paul Rusesabagina è stato arrestato con l’accusa di terrorismo.

Rusesabagina, un hutu sposato con una donna tutsi, mediante la sua influenza come manager dell’Hôtel des Mille Collines, a Kigali ha consentito a più di 1.200 tutsi e hutu moderati di rifugiarsi nelle stanze dell’hotel, durante i giorni del genocidio del 1994.

Il Rwanda Investigation Bureau (RIB) ha dichiarato che il 66enne critico oppositore dell’attuale governo, guidato da Paul Kagame, è stato arrestato all’estero in un luogo anonimo su un mandato internazionale e trasferito nel Paese africano per affrontare le accuse di reati gravi tra cui terrorismo, incendio doloso, rapimento e omicidio.

Rusesabagina è sospettato di essere fondatore, leader, sponsor e membro di gruppi terroristici violenti, armati ed estremisti tra cui il Rwanda Movement for Democratic Change (MRCD) che opera in vari luoghi della regione e all’estero.

Rusesabagina in Rwanda rimane una figura estremamente controversa, dove il suo status è stato contestato da una serie di attori, secondo il docente Nicola Palmer al King’s College di Londra.

Rusesabagina ha fortemente negato le accuse del governo di sostenere finanziariamente i ribelli rwandesi e ha affermato di essere stato vittima di una campagna diffamatoria.

Etiopia – Il Tigray di Wondimu Asamnew, veterano diplomatico etiope, che un tempo dominava la politica nel Paese, oggi appare sempre più in contrapposizione con il governo del primo ministro e Nobel per la pace Abiy Ahmed.

In settimana in Tigray si sono tenute le elezioni per il parlamento regionale da 190 seggi, violando apertamente la decisione federale di rinviare tutti i sondaggi, a causa della pandemia legata al coronavirus.

Le elezioni sono solo l’ultimo esempio di come i funzionari del Tigray si comportino come elementi di uno stato indipendente.

All’inizio di quest’anno, l’ex ambasciatore ha guidato il Tigray Friendship Liaison Office, strumento che aiuta i funzionari del Tigray a comunicare con altri governi, consigli commerciali e organismi culturali.

L’attuale partito leader del Tigray, il Tigray People’s Liberation Front (TPLF), ha guidato la lotta armata per rovesciare il brutale regime comunista di Derg nel 1991.

I leader del piccolo gruppo etnico, che costituisce solo il 6% dei 110 milioni di abitanti dell’Etiopia, hanno continuato a controllare la coalizione di governo dell’Etiopia per quasi 30 anni. Fino a che le proteste antigovernative hanno portato Abiy al potere nel 2018.

Il maggior partito di opposizione nelle prossime elezioni rimane il Tigray Independence Party.

Costa d’Avorio – Le elezioni di ottobre in Costa d’Avorio si preannunciano tese, dopo la decisione del presidente Alassane Ouattara di cercare un controverso terzo mandato.

Il presidente 78enne ad una riunione del partito al governo RDHP (Rassemblement des Houphouëtistes pour la Démocratie et la Paix), aveva apertamente sostenuto il primo ministro Amadou Gon Coulibaly alla presidenza.

L’annuncio della candidatura di Coulibaly sembrava porre fine a mesi di speculazioni secondo cui Ouattara avrebbe tentato di prolungare la sua permanenza, eliminando così una grande fonte di attrito tra il RDHP e i partiti di opposizione, in vista delle attese elezioni presidenziali del prossimo ottobre.

La morte improvvisa di Coulibaly, fedelissimo di Ouattara, ha creato un vuoto di leadership nel RDHP.

La rabbia per la ricandidatura di Ouattara si riversò rapidamente nelle strade, con decide di violente proteste scoppiate in ogni angolo del Paese, seguite da arresti arbitrari di diversi sostenitori dell’opposizione.

Un recente rapporto di Amnesty International ammonisce la repressione dell’esercito ivoriano

La crescente tensione minaccia i quasi 10 anni di fragile pace in un Paese che non ha mai attraversato un’elezione pacifica e democratica.

Nel 2002, un fallito colpo di stato ha innescato una guerra civile che ha sostanzialmente diviso in due la Costa d’Avorio, con il sud controllato dall’allora presidente Laurent Gbagbo e il nord nelle mani dei ribelli delle Forces Nouvelles.

Nel 2010, un voto presidenziale ritardato ha scatenato mesi di violenza post-elettorale, dopo il rifiuto di Gbagbo di dimettersi, quando una commissione elettorale dichiarò come vincitore Ouattara.

Ex-funzionario di primo piano del Fondo Monetario Internazionale, Ouattara, sostenuto dall’occidente, ha presieduto un’economia che si è espansa in media dell’8% ogni anno, da quando ha preso il potere nel 2011. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Rwanda, arrestato Rusesabagina, salvò 1200 persone dal genocidio” di Federica Iezzi


Roma, 5 settembre 2020, Nena News 

Rwanda – Il Rwanda ha emesso un mandato di cattura internazionale per l’ex capo dell’intelligence rwandese, Aloys Ntiwiragabo, indagato in Francia per il suo ruolo nel genocidio del Paese africano del 1994.

Il procuratore generale Aimable Havugiyaremye ha confermato il lavoro condiviso con l’unità francese incaricata, atto a combattere i crimini di guerra e contro l’umanità perpetratisi in Rwanda, ai danni di 800.000 tutsi e hutu moderati.

L’apertura dell’indagine ha seguito immediatamente il ritrovamento di Ntiwiragabo nella periferia della città di Orleans, a circa 100 km a sud-ovest di Parigi.

Ntiwiragabo era già stato identificato dal Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (ICTR) come uno degli artefici del genocidio.

Serge Brammertz, il procuratore capo dell’ICTR, è atterrato in Rwanda accompagnato da pubblici ministeri e investigatori, per indagare e raccogliere prove sui maggiori sospettati di genocidio, orchestrati dal governo guidato dagli hutu e dai suoi alleati, parte integrante delle milizie etniche.

Mauritania – Il presidente della Mauritania ha nominato un nuovo governo dopo che diversi ex-ministri e l’ex-premier Ismail Ould Bedda Ould Cheikh Sidiya, sono stati menzionati in una relazione sui rapporti finanziari dell’ex-leader Mohamed Ould Abdel Aziz.

Una commissione parlamentare di nove membri, istituita lo scorso gennaio, è stata incaricata di far luce sugli aspetti del mandato di Aziz dal 2008 al 2019. Le questioni indagate, secondo i funzionari parlamentari, includono la gestione dei proventi del petrolio, la vendita di proprietà statali nella capitale Nouakchott e la liquidazione di un’azienda alimentare di proprietà statale.

Secondo Adama Bocar Soko, segretario generale della presidenza, l’attuale governo di Mohamed Ould Ghazouani, concederà a tutti coloro che sono citati nel rapporto, il tempo necessario per dimostrare la propria innocenza.

Il nuovo governo resta sostanzialmente simile al precedente con 18 ex-ministri riconfermati. Il numero dei ministeri è stato ridotto a 22, dopo che alcuni sono stati fusi.

Tanzania – Il presidente della Tanzania John Magufuli si è impegnato a migliorare l’assetto economico del Paese, mediante il rilancio del prodotto interno lordo, e completare i progetti incompiuti, durante il lancio della sua campagna di rielezione. Alcune delle iniziative includono l’acquisto di nuovi aerei per la compagnia aerea nazionale, la creazione di posti di lavoro per otto milioni di persone e l’aumento dei guadagni legati al turismo.

Magufuli dovrà affrontare 14 sfidanti nel tentativo di assicurarsi un secondo mandato nelle elezioni presidenziali, previste per il prossimo 28 ottobre.

Tundu Lissu, il più quotato tra gli avversari, ha dichiarato che dei 3.754 candidati al consiglio locale del gruppo Chadema (Party for Democracy and Progress), ne è stato eliminato ingiustamente il 30%.

L’altro maggior partito di opposizione, l’Alliance for Change and Transparency (ACT-Wazalendo), ha denunciato che parte dei suoi candidati era stata contestata.

Membri dell’opposizione hanno chiesto la formazione di una commissione elettorale indipendente, esprimendo timore che le elezioni si svolgano in un clima di violenza e intimidazione. Magufuli ha promesso sondaggi liberi ed equi.

Il presidente, entrato in carica nel 2015 promettendo di reprimere la corruzione e ampliare la rete stradale e ferroviaria del Paese, è stato accusato di limitare la libertà personale e di amplificare l’autoritarismo.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Mandato di cattura internazionale per l’ex capo intelligence in Rwanda, nuovo governo in Mauritania” di Federica Iezzi


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Roma, 29 agosto 2020, Nena News

Africa – Le autorità sanitarie hanno dichiarato l’Africa libera dal virus della poliomielite dopo decenni di dura lotta, un passo importante nella campagna per eradicare la grave infezione virale paralizzante, in tutto il mondo.

Lo storico annuncio da parte della African Regional Certification Commission for Polio Eradication durante un evento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è arrivato quattro anni dopo che l’ultimo caso nel continente è stato segnalato nel nord della Nigeria.

La commissione, un organismo indipendente, ha confermato che tutti i 47 Paesi africani hanno debellato la malattia. Gli esperti di salute, hanno ora sollecitato la vigilanza continua sulla minaccia ancora esistente, rappresentata da focolai legati ad una forma rara mutata dal vaccino orale, in più di una dozzina di Paesi.

Nonostante le minacce esistenti, la notizia ha avuto un seguito ridondante poiché l’Africa è ancora alle prese con la pandemia legata a SARS-CoV-2, un’epidemia di Ebola nella regione occidentale della Repubblica Democratica del Congo occidentale e le persistenti sfide mortali di malaria, HIV e tubercolosi.

Secondo il capo dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, questo è uno dei più grandi risultati nella storia della salute pubblica. La spinta finale per combattere il virus della poliomielite si è concentrata principalmente sul nord della Nigeria.

L’Oms ha ricordato che questa è solo la seconda volta che un virus viene eradicato in Africa, dopo l’eliminazione del vaiolo 40 anni fa. Fornire vaccini contro la poliomielite a ogni minore nelle centinaia di regioni africane ha richiesto un utilizzo costante di risorse umane, competenze e esperienza.

A livello globale, i numeri di casi di polio sono stati drasticamente ridotti grazie all’immunizzazione nazionale e regionale per neonati e bambini. Tuttavia, la malattia rimane endemica in Afghanistan e Pakistan.

Sudan – Il portavoce del ministero degli esteri del Sudan, Haidar Badawi, è stato licenziato dopo aver manifestato commenti, presumibilmente non autorizzati, riguardo i rapporti diplomatici del Paese con Israele.

Badawi avrebbe affermato che il Sudan “non vede l’ora di concludere un accordo con Israele”. Non ha negato, inoltre, che ci siano attuali comunicazioni con Israele.

Le osservazioni di Badawi hanno immediatamente attirato la promessa del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, di fare tutto ciò che è necessario per concludere un accordo.

Il ministro degli esteri Omar Qamar al-Din ha cercato di prendere le distanze dai commenti di Badawi. Ha ribadito con fermezza che al ministero non era stata mai ufficialmente discussa la questione dei legami con Israele.

Lo scorso febbraio, Netanyahu ha incontrato il generale Abdel Fattah Burhan, capo del governo di transizione del Sudan, durante un viaggio in Uganda, dove, secondo i funzionari israeliani, entrambi i leader avrebbero deciso di perseguire la normalizzazione dei legami.

Il ministro dell’intelligence israeliana Eli Cohen ha dichiarato in un’intervista che crede ad un accordo, dopo i colloqui con il Sudan. Un funzionario del governo sudanese ha notificato che le deliberazioni tra funzionari sudanesi e israeliani sono in corso da mesi, con l’aiuto di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti.

Un accordo israeliano con il Sudan segnerebbe un’altra battuta d’arresto per la Palestina. Il Sudan, nazione a maggioranza araba, ha ospitato la storica conferenza, conclusasi con la risoluzione di Khartoum, dopo la guerra del 1967, in cui otto Paesi arabi hanno approvato i cosiddetti tre no: “Nessuna pace con Israele, nessun riconoscimento di Israele, nessun negoziato con esso”.

In precedenza Israele considerava il Sudan come minaccia per la sicurezza, a causa del sospetto utilizzo del Paese da parte dell’Iran come canale per il contrabbando via terra di munizioni nella Striscia di Gaza occupata. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Dopo decenni di lotta, sconfitta la polio” di Federica Iezzi


Roma, 22 agosto 2020, Nena News 

Mali – Il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keita ha annunciato in settimana la dimissione dal suo incarico e lo scioglimento del parlamento, in seguito al golpe militare, iniziato in una base chiave a Kati, una città vicino la capitale Bamako, che ha gettato il Paese in una profonda crisi politica.

Non è chiaro se l’esercito sia ora ufficialmente a capo del Paese.

Keita e il primo ministro Boubou Cisse sono stati arrestati dai militari durante una drammatica escalation di una crisi durata mesi.

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), insieme all’ex potenza coloniale francese, a Unione Europea e Unione Africana, hanno denunciato le azioni dei militari e qualsiasi cambiamento incostituzionale di potere.

Gli eventi si sono velocemente susseguiti nel mezzo di una crisi politica, durata settimane, che ha visto i manifestanti dell’opposizione scendere in piazza per chiedere le dimissioni di Keita. Quest’ultimo deve rispondere del collasso economico del Mali e di non essere riuscito a contenere una campagna armata che ha ucciso migliaia di persone e reso ingovernabili vaste aree del Mali.

L’esordio del malessere nel Paese si può contestualizzare nelle ultime elezioni presidenziali. Il primo turno di votazioni, risalente allo scorso marzo, procede nonostante la minaccia del coronavirus e le paure per la sicurezza su possibili attacchi da parte di gruppi armati. Il secondo turno, ad aprile, è interrotto da incidenti che impediscono a molti di votare. Nonostante questo, la Corte Costituzionale del Mali ha consegnato al partito di Keita ulteriori 10 seggi parlamentari, rendendolo il blocco più numeroso. Ed è proprio la decisione della Corte a scatenare le prime violente proteste nelle principali città.

Il conflitto interno durato anni in Mali, in cui gruppi armati hanno alimentato tensioni etniche alla ricerca potere, si è riversato nei paesi vicini Niger e Burkina Faso, destabilizzando la più ampia regione del Sahel e dando vita ad una massiccia crisi umanitaria.

I manifestanti antigovernativi si sono riuniti nell’Independence Square di Bamako in segno di sostegno ai militari.

I promotori del colpo di stato, che si autodefiniscono National Committee for the Salvation of the People, si sono ufficialmente impegnati a stabilizzare il Paese, secondo quanto dichiarato da Ismail Wague, vice Capo di Stato Maggiore dell’aeronautica militare del Mali.

Algeria – Khaled Drareni, direttore del sito di notizie Casbah Tribune, corrispondente di TV5 Monde e supervisore dell’organizzazione non governativa Reporters Sans Frontières, è stato condannato a tre anni di carcere.

Drareni, giornalista algerino, che ha svolto un ruolo di primo piano nell’informazione durante il movimento pro-democrazia Hirak del Paese lo scorso anno, è stato arrestato per aver messo in pericolo l’unità nazionale e incitato a un raduno disarmato.

Drareni è in detenzione dalla fine di marzo, nonostante le campagne di difesa di Human Rights Watch e Amnesty International. Ha negato ogni accusa, ha affermato di lavorare solo come giornalista indipendente e di esercitare il diritto di informare.

I sostenitori hanno uguagliato il verdetto del governo di Abdelmadjid Tebboune, all’era dispotica dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika. Il verdetto è l’ennesima prova di una giustizia algerina non libera ma strumento nelle mani del potere, che viene utilizzato per intimidire gli algerini.

Il movimento pro-democrazia Hirak sta cercando un cambiamento più profondo in una nazione i cui governanti sono stati supportati dall’esercito dall’indipendenza dalla Francia nel 1962. Le proteste hanno scosso l’Algeria per quasi un anno dall’inizio del movimento nel febbraio 2019 e si sono fermate a marzo di quest’anno, quando le autorità hanno vietato le manifestazioni per limitare la diffusione del virus SARS-CoV-2.

Almeno un altro giornalista algerino è attualmente in attesa di processo, Walid Kechida, secondo il watchdog dei media, che ha classificato l’Algeria al 144° posto su 180 Paesi, nel suo indice di libertà di stampa 2020.

Mauritius – Continua la perdita delle 1000 tonnellate di petrolio dalla nave cisterna giapponese MV Wakashio, che si è arenata su una barriera corallina al largo della costa sud-orientale delle isole Mauritius due settimane fa, minacciando un parco marino protetto che vanta foreste di mangrovie e specie in via di estinzione.

Un operatore della Mitsui OSK Lines ha dichiarato la profonda fenditura del cargo, fermo sugli scogli di Pointe d’Esny. Quasi tutte le restanti 3.000 tonnellate di petrolio rimaste a bordo, sono invece state evacuate dalla nave.

La rimozione del mercantile richiederà probabilmente mesi di lavoro. Il ministro dell’ambiente giapponese, Shinjiro Koizumi, ha dichiarato l’invio da Tokyo di una squadra di funzionari ed esperti, per comprendere l’entità del danno e sostenere la tutela della biodiversità.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Caos in Mali, condannato il giornalista Drareni in Algeria” di Federica Iezzi


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Roma, 17 agosto 2020, Nena News 

Zimbabwe – Il presidente dello Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa, ha etichettato come sovversivo il principale partito di opposizione, Movement for Democratic Change (MDC) Alliance, e ha promesso di continuare a reprimere i suoi componenti.

Gruppi per i diritti umani accusano le forze di sicurezza di aver compiuto arresti arbitrari e illegali, aggressioni e torture ai danni di diversi membri dell’opposizione e critici del governo.

Lo Zimbabwe Lawyers for Human Rights afferma che ha rappresentato più di 20 detenuti, da quando l’esercito ha contrastato una protesta antigovernativa e mentre la pressione locale e internazionale aumenta sulla sua amministrazione per le accuse di violazioni dei diritti umani.

Mnangagwa è salito al potere dopo che il dittatore Robert Mugabe è stato sollevato dall’incarico dopo un golpe militare nel 2017.

Il presidente, che ha vinto le elezioni controverse nel luglio 2018, si è impegnato a rilanciare l’economia del paese attirando investimenti stranieri. Ma il malcontento popolare è cresciuto con la grave implosione dell’economia.

L’inflazione è superiore al 700%, la seconda più alta al mondo. Secondo le previsioni del Programma Alimentare Mondiale, il 60% della popolazione potrebbe essere insicuro dal punto di vista alimentare entro la fine dell’anno.

Sud Africa – I casi confermati di COVID-19 in Sud Africa hanno superato il mezzo milione. Lo ha annunciato il Ministero della Salute.

La nazione più industrializzata dell’Africa ha registrato 572.865 casi confermati di infezione legata a SARS-CoV-2.

Poco più di tre milioni di persone sono state testate per il virus in Sudafrica, che ha confermato il suo primo caso cinque mesi fa. I decessi registrati sono saliti a 11.270.

Il Sud Africa aveva imposto un blocco a livello nazionale già alla fine di marzo per contenere la diffusione del virus, ma ora ha alleggerito molte restrizioni per stimolare l’attività economica.

Il numero di infezioni sembra stabile, nelle province del Capo Occidentale, di Gauteng e del Capo Orientale, che sono anche state le più colpite, nei mesi precedenti.

Il governo Ramaphosa continua a mobilitare ulteriori strutture, attrezzature e personale sanitario nelle province che continuano a riscontrare un aumento delle infezioni. Ha esteso le sovvenzioni agli indigenti. E recentemente ha accettato un prestito di 4,3 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale.

Il Sudafrica era già in recessione prima che l’infezione da coronavirus dilagasse e il tasso di disoccupazione oggi si attesta al 30%.

Guinea Conakry – Il partito al governo in Guinea Conakry ha ancora una volta favorito il presidente Alpha Conde per un terzo mandato presidenziale, approfittando della recente variazione sulla vigente Costituzione, riguardo i mandati presidenziali.

Conde, 82 anni, ha accettato formalmente la candidatura, comportamento che ha scatenato proteste diffuse nel Paese.

Leader dell’opposizione di lunga data, Conde è salito al potere nel 2010, sollevando speranze di progresso democratico in Guinea dopo decenni di governo autoritario. È stato poi rieletto nel 2015.

La Guinea è il più grande produttore africano di bauxite. Ha anche riserve significative di ferro, tra cui la gigantesca riserva Simandou, il più grande giacimento conosciuto nel suo genere con oltre due miliardi di tonnellate di minerale di alta qualità.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Repressa l’opposizione in Zimbabwe, più di mezzo milione di casi Covid-19 in Sud Africa” di Federica Iezzi


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Roma, 8 agosto 2020, Nena News

Somalia – Il parlamento della Somalia ha rimosso dall’incarico il primo ministro Hassan Ali Khaire mediante un voto di sfiducia. Khaire, ex dirigente della compagnia petrolifera Soma Oil and Gas, dalla sua nomina nel marzo 2017 non è riuscito a istituire forze di sicurezza nazionali, per rafforzare la rete a livello degli organi federali e statali.

Il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, in una dichiarazione pubblica, ha affermato di aver accettato la decisione dei legislatori riguardo l’allontanamento di Khaire, citando la necessità di preservare l’unità delle forze armate governative.

La nomina di Khaire come primo ministro somalo è stata attribuita principalmente al bilanciamento degli interessi del clan Hawiye, di cui è membro.

Rwanda – Parigi ha aperto un’indagine su presunti crimini contro l’umanità da parte dell’ex ufficiale militare ruandese, Aloys Ntiwiragabo, durante il genocidio del 1994, che ha provocato più di 800mila decessi tra tutsi e hutu moderati.

I procuratori hanno riferito che è stata aperta un’indagine preliminare dopo che Ntiwiragabo è stato arrestato nella periferia della città di Orleans, circa 100 km a sud-ovest di Parigi.

Gli investigatori francesi hanno rintracciato l’ex capo dei servizi segreti rwandesi, identificato dall’International Criminal Tribunal for Rwanda (ICTR) come uno degli architetti del genocidio. Né l’ICTR, né l’Interpol, né la Francia né il Ruanda lo stavano attivamente cercando e avevano lasciato cadere i mandati di arresto ormai anni fa.

La Francia è nota da tempo come nascondiglio per i sospettati del genocidio in Ruanda e gli organi di polizia francesi hanno attualmente in corso decine di casi.

Repubblica Centrafricana – L’ex presidente della Repubblica Centrafricana, François Bozizé, ha annunciato la sua candidatura per le prossime elezioni presidenziali, previste a dicembre. Questo nonostante sia stato sottoposto a sanzioni da parte delle Nazioni Unite e risulti essere soggetto a un mandato di arresto per presunti crimini contro l’umanità.

Non è chiaro in che modo il mandato o le sanzioni internazionali influenzeranno la sua candidatura. Lo scorso gennaio, Bozizé avrebbe chiesto alle Nazioni Unite di revocare le sanzioni imposte nel 2014 per il suo presunto sostegno ai gruppi armati cristiani anti-balaka.

L’annuncio è stato rivelato in gran stile a una grande folla di sostenitori, in un congresso del suo partito, Convergence National Kwa Na Kwa, nella capitale Bangui.

L’ex capo dell’esercito era stato allontanato durante la violenta ribellione del 2013, da una coalizione di ribelli prevalentemente musulmani provenienti dal nord del Paese, che ha fatto precipitare la maggioranza della popolazione cristiana in una violenta guerra civile e in una grave crisi umanitaria. I pesanti abusi hanno costretto oltre 1,5 milioni di persone a fuggire dalle proprie abitazioni.

Bozizé prese il potere dopo un colpo di stato nel 2003. La nuova amministrazione, guidata da Faustin-Archange Touadéra, ha lottato per il suo arresto, partendo dalle accuse per crimini contro l’umanità e incitamento al genocidio.

Touadéra governa oggi la Repubblica Centrafricana con il sostegno di una grande operazione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, di cui fanno parte oltre 13mila unità. Eletto nel 2016, anche Touadéra cercherà un secondo mandato alle prossime elezioni presidenziali. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Rwanda, Ntiwiragabo sotto inchiesta per crimini contro l’umanità” di Federica Iezzi


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Roma, 1 agosto 2020, Nena News

Tanzania – La commissione elettorale tanzaniana ha fissato al prossimo ottobre la data delle attese elezioni presidenziali. La campagna elettorale avrà inizio a fine agosto.

Il presidente John Magufuli cercherà la rielezione dopo essere stato scelto all’inizio di questo mese come candidato del partito di governo Chama Cha Mapinduzi (CCM).

Chadema (Chama cha Demokrasia na Maendeleo), il principale partito di opposizione, ha diversi candidati in lista, tra cui il vice presidente Tundu Lissu che attualmente vive in esilio in Belgio, e lo stesso leader del partito Freeman Mbowe.

Anche l’ex ministro degli esteri Bernard Membe, del partito ACT-Wazalendo (Alliance for Change and Transparency), sta cercando la candidatura per correre contro Magufuli.

I tanzaniani voteranno inoltre per eleggere membri del parlamento e consiglieri locali.

L’opposizione ha chiesto la formazione di una commissione elettorale indipendente, esprimendo timori per il clima di violenza e intimidazione.

Il presidente Magufuli attualmente è stato accusato di restringere la libertà individuale, limitare i diritti umani e aumentare l’autoritarismo.

Durante il suo mandato, redazioni giornalistiche sono state chiuse e il lavoro delle organizzazioni non governative è stato severamente limitato.

Costa d’Avorio – Marcel Amon-Tanoh, alleato di lunga data del presidente Alassane Ouattara e fino a poco tempo fa il suo ministro degli esteri, sarà uno dei prossimi candidati alle elezioni presidenziali della Costa d’Avorio previste in ottobre.

La campagna è stata scagliata nell’incertezza all’inizio del mese quando il Primo Ministro Amadou Gon Coulibaly, è morto improvvisamente, lasciando senza candidato il Rassemblement des houphouëtistes pour la démocratie et la paix (RHDP), partito attualmente al governo.

Le elezioni del prossimo ottobre sono viste come un test chiave per la stabilità della Costa d’Avorio. La prima vittoria elettorale di Ouattara nel 2010 ha scatenato una guerra civile combattuta in gran parte lungo le linee regionali ed etniche, che ha ucciso circa 3.000 persone.

Le tensioni politiche sono aumentate negli ultimi mesi. Alla fine dell’anno scorso, il governo ha accusato l’ex primo ministro ed ex leader ribelle Guillaume Soro, di aver pianificato un colpo di stato contro il governo di Ouattara.

Amon-Tanoh si è dimesso a marzo come ministro degli esteri, carica che aveva ricoperto dalla fine del 2016, dopo che Ouattara ha designato Gon Coulibaly come candidato presidente del RHDP.

Altro candidato in gara è Henri Konan Bedie, già presidente della Costa d’Avorio dal 1993 al 1999.

Mali – Gli sforzi di mediazione in Mali, dei leader di Ghana, Costa d’Avorio, Niger, Nigeria e Senegal si sono conclusi senza un accordo riguardo la crisi politica del Paese.

I presidenti hanno incontrato a Bamako il capo di stato maliano Ibrahim Boubacar Keita e le figure chiave del movimento di protesta dell’opposizione.

Il presidente nigeriano Mahamadou Issoufou ha dichiarato che il blocco regionale dell’Africa occidentale, ECOWAS, organizzerà un incontro per discutere una crisi che potrebbe destabilizzare ulteriormente il Paese, già in lotta contro i gruppi armati nel Sahel.

Mobilitate dall’influente leader musulmano Ibrahim Dicko, sotto la protezione del Mouvement du 5 Juin, un’alleanza di leader politici e della società civile, nelle ultime settimane, decine di migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Bamako per chiedere le dimissioni di Keita.

Una missione ECOWAS, guidata da Goodluck Jonathan, ex-presidente nigeriano, ha proposto di istituire un governo di unità nazionale che includa membri dell’opposizione e gruppi della società civile. Ha inoltre suggerito la nomina di nuovi giudici alla corte costituzionale. Ma le proposte sono state respinte in blocco dal Mouvement du 5 Juin.

Nel Mali centrale, gruppi armati si contendono il controllo sfruttando la povertà delle comunità emarginate e infiammando le tensioni tra i gruppi etnici.

La presenza di migliaia di truppe straniere nel Sahel non è riuscita ad arginare la violenza.

Ed entra sotto il nome di Takuba, la nuova task force destinata al Sahel, che sarà composta principalmente da forze speciali europee, in coordinamento con i partner del G5-Sahel, la missione delle Nazioni Unite (MINUSMA) e le missioni dell’UE (EUTM Mali, EUCAP Mali e EUCAP Niger).

La task force Takuba, a cui è stata confermata la partecipazione italiana, dovrebbe avere una capacità operativa iniziale entro l’estate del 2020 e dovrebbe diventare operativa entro l’inizio del 2021, nell’area del Liptako-Gourma, tra il Mali centro-orientale, il nord del Burkina Faso e la regione sud-occidentale del Niger.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. A ottobre presidenziali in Tanzania e Costa d’Avorio” di Federica Iezzi


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Roma, 25 luglio 2020, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – Continuano le proteste in Repubblica Democratica del Congo per la nomina di Ronsard Malonda come presidente della Independent National Electoral Commission (Ceni). Malonda, l’attuale segretario generale del Ceni, è una figura di spicco coinvolta nella gestione delle precedenti elezioni del Paese nel 2006, 2011 e 2018. I critici lo hanno accusato di avere un ruolo storico nel truccare i risultati a favore dell’ex presidente Joseph Kabila.

I sostenitori dell’attuale presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, sostengono che la nomina di Malonda fa parte di un piano di Kabila, che continua a esercitare il potere attraverso il controllo della sua maggioranza parlamentare, dell’esercito e dei diversi ministeri del governo.

La scelta di Malonda è stata approvata la scorsa settimana dall’Assemblea Nazionale dominata da Kabila, ma non è stata ancora approvata da Tshisekedi, che è entrato in carica a gennaio dell’anno scorso durante la prima transizione politica pacifica del Paese.

La disputa sul Ceni segna un nuovo picco di tensioni per il governo della coalizione, un’alleanza inquieta tra Tshisekedi e Kabila, attraverso il Front Commun pour le Congo (Fcc), e diversi partiti minori, nati dopo le elezioni del dicembre 2018. I sostenitori di Tshisekedi, la coalizione di opposizione Lamuka, il Comitato laico di Coordinamento della Chiesa cattolica congolese e altri gruppi della società civile, rivelano quanto siano diventate gravi le fratture all’interno del governo.

Nelle ultime settimane, la fragile coalizione è stata scossa da contromovimenti degli alleati di Kabila, comprese le riforme giudiziarie volte a ridefinire i poteri dei giudici. Le manifestazioni nella capitale Kinshasa hanno provocato le dimissioni, la scorsa settimana, del ministro della Giustizia Celestin Tunda, una figura di spicco dell’Fcc di Kabila.

Sudan – La missione congiunta delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana nel Darfur (Unamid) ha condannato le violenze nel Nord Darfur, compreso un attacco mortale all’interno del campo per sfollati interni di Fata Borno. La missione di mantenimento della pace ha espresso profonda preoccupazione per gli incidenti violenti scoppiati nella città di Kutum. È deplorevole che questi incidenti siano avvenuti mentre il governo di transizione del Sudan e i movimenti armati sono vicini alla conclusione di negoziati che dovrebbero portare pace e stabilità nella regione del Darfur e in tutto il Sudan.

A Kutum le autorità hanno dichiarato che la violenza è scoppiata quando un convoglio governativo è stato attaccato dopo un incontro tra funzionari della sicurezza e manifestanti. Il conflitto nel Darfur è iniziato nel 2003 dopo che i ribelli, per lo più non arabi, insorsero contro il governo centrale nella capitale Khartoum. Le forze governative e soprattutto le milizie arabe, che si sono mosse per reprimere la rivolta, sono state accusate di atrocità diffuse. Circa 300mila persone sono state uccise nel conflitto, secondo le stime delle Nazioni Unite.

Non ci sono stati seri combattimenti per anni, ma il conflitto rimane irrisolto poiché i gruppi armati arabi sono ancora presenti e controllano le terre sequestrate. Il Sudan sta seguendo un fragile percorso verso la democrazia dopo l’allontanamento di al-Bashir nell’aprile 2019.

Una coalizione di opposizione civile ha accettato di governare il Paese congiuntamente con i militari in una transizione triennale verso libere elezioni, ma parti fondamentali dell’accordo, come la nomina di governatori di stato civili, non sono state rispettate. Il governo di transizione si è impegnato a porre fine al conflitto nel Darfur e sta continuando a mediare con alcuni dei gruppi ribelli che avevano combattuto il governo di al-Bashir.

Gabon – Il presidente del Gabon, Ali Bongo Ondimba, ha nominato il primo ministro donna del Paese, Rose Christiane Ossouka Raponda. L’economista, specializzata in finanza pubblica, 56 anni, è stata promossa dal ministero della Difesa e prende il posto di Julien Nkoghe Bekale. Nel 2014 è diventata primo sindaco donna della capitale Libreville, come candidata del Parti Démocratique Gabonais (Pdg).

In una dichiarazione, l’ufficio del presidente Bongo Ondimba ha notificato che la sua missione includerà la guida del rilancio economico del Gabon e il necessario supporto sociale. Fortemente dipendente dal reddito derivante dal petrolio, lo stato dell’Africa Centrale è stato gravemente colpito dal crollo del prezzo del greggio e dall’impatto della pandemia legata al nuovo coronavirus sul commercio. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Proteste in Congo, prima premier donna in Gabon” di Federica Iezzi


Riot police officers disperse protesters near the Parliament buildings, in Omdurman, Khartoum

Roma, 11 luglio 2020, Nena News 

Malawi – Il leader dell’opposizione del Malawi Lazarus Chakwera ha prestato giuramento come nuovo presidente del Paese dopo aver battuto lo storico Peter Mutharika. Lazarus Chakwera è stato un predicatore pentecostale per oltre due decenni prima di entrare in politica.

Secondo quanto dichiarato dalla Commissione Elettorale del Malawi, Chakwera ha raccolto 2,6 milioni dei 4,4 milioni dei voti espressi, che rappresentano circa il 59% del totale, contro l’1,7 milioni di voti guadagnati da Mutharika.

Lo scorso febbraio, la Corte Costituzionale del Paese dell’Africa sud-orientale, ha notificato diffuse irregolarità nelle precedenti elezioni del maggio 2019.

Nel tentativo di rovesciare Mutharika, il fratello dell’ex presidente, il defunto Bingu wa Mutharika, il Malawi Congress Party (MCP) di Chakwera insieme a nove altri partiti dell’opposizione formarono una coalizione, la Tonse Alliance.

Le elezioni storiche e il periodo di campagna elettorale accesa hanno rivelato aspre divisioni regionali nel Paese di 18 milioni di abitanti.

La parte meridionale del Paese senza sbocco sul mare ha votato in modo schiacciante per il Democratic Progressive Party (DPP) al potere di Mutharika, mentre la regione centrale ha optato per la Tonse Alliance.

Le aspettative sulla nuova amministrazione sono molto alte riguardo la corruzione dilagante nel Paese, che è classificato 123° su 180 Paesi, nell’indice di percezione della corruzione di Transparency International.

Anche la fiducia del pubblico nelle forze di polizia del Paese è ai minimi storici. Le forze di polizia devono essere rinnovate e riformate. Per troppo tempo, le forze di polizia sono state solo un’estensione del partito al potere. Gli alti ufficiali sono stati nominati non per competenza ma in base alla loro lealtà al partito al potere.

Sudan – Si contano decine di feriti durante le ennesime manifestazioni, in gran parte pacifiche, ancora in corso in Sudan. Decine di migliaia di persone sono nuovamente scese in strada chiedendo riforme più veloci e un reale impegno civile nella transizione del Paese verso la democrazia.

La polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti nelle strade della capitale Khartoum. Proteste simili hanno avuto luogo anche a Kassala nel Sudan orientale e nel Darfur.

Sotto la guida del primo ministro Abdalla Hamdok, una coalizione di opposizione ha accettato di governare congiuntamente con i gruppi militari, in una transizione triennale verso le libere elezioni.

Parti chiave dell’accordo non sono state attuate, come la nomina di governatori di stato civili e l’istituzione di un Parlamento.

Gli organizzatori della protesta hanno chiesto la rapida nomina di governatori civili per le province del Paese. Hanno anche chiesto processi pubblici rapidi per al-Bashir e alti funzionari del precedente governo.

Al-Bashir, in prigione a Khartoum dal suo allontanamento, deve affrontare una serie di accuse legate al colpo di stato del 1989 e alla repressione contro la rivolta civile, diretta conseguenza del suo trentennale governo repressivo.

Etiopia – Hachalu Hundessa, cantante di etnia Oromo, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nella capitale etiope a fine giugno. La polizia sospetta un omicidio mirato. Migliaia di persone nella regione di Oromia sono scese in strada chiedendo risposte, tra disordini intracomunitari e intraetnici.

Nelle canzoni pop colme di riferimenti politici, Hachalu ha dato voce a sentimenti di emarginazione tra i membri del suo gruppo etnico Oromo, il più grande dell’Etiopia. La sua musica è stata la colonna sonora delle proteste antigovernative che hanno portato il Primo Ministro Abiy Ahmed, il primo leader Oromo del Paese, a ricoprire l’incarico nel 2018.

Intanto cresce il disagio per le elezioni posticipate e i politici di opposizione hanno già criticato la decisione del mantenimento del potere di Abiy, causa emergenza coronavirus.

La filosofia di controllo di Abiy riunisce diverse parti che rappresentano le comunità di Oromo, Afar e Amhara. Ma lascia fuori il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigrayan (TPLF), che ha dominato il Paese per anni.

Secondo l’International Crisis Group esiste un grave rischio di conflitto tra la regione settentrionale del Tigrayan e la vicina regione Amhara, alimentato in parte dal crescente nazionalismo etnico. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Chakwera nuovo presidente del Malawi, ucciso noto cantante di etnia Oromo in Etiopia” di Federica Iezzi


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Roma, 4 luglio 2020, Nena News

Costa d’Avorio – Ricevuto dalla Corte Penale Internazionale (Icc) un appello della procuratrice capo del tribunale delle Nazioni Unite contro l’assoluzione dell’ex presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, per l’accusa di crimini contro l’umanità.

Fatou Bensouda ha dichiarato, nella sua richiesta di appello, che la Corte ha commesso un errore nell’assolvere Gbagbo e il suo braccio destro, Charles Ble Goude, dalle accuse di violenza post-elettorale, nella caotica nazione dell’Africa occidentale nel 2010-2011, in cui morirono circa 3mila persone.

Gbagbo, ex primo ministro ivoriano, è stato processato dall’Icc, trascorrendo otto anni dietro le sbarre dell’Aia. La stessa Icc il mese scorso aveva permesso a Gbagbo, 75 anni, di lasciare il Belgio, dove era stato ospitato in condizioni rigorose dalla sua liberazione dall’Aia.

L’Ivorian Popular Front (Fpi) di Gbagbo ha invitato l’attuale presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara a dialogare sul suo eventuale ritorno nel Paese.

Gbagbo tecnicamente rischia di essere recluso in Costa d’Avorio dopo essere stato condannato in contumacia a 20 anni da un tribunale ivoriano, per il saccheggio della filiale locale della Central Bank of the West African States (Bceao), durante il periodo post-crisi elettorale.

Malawi – Si riapriranno i seggi in Malawi dopo un voto presidenziale caldamente contestato, per l’annullamento della rielezione di Peter Mutharika.

Le votazioni sono molto attese dopo che la Corte Costituzionale all’inizio di quest’anno ha decretato che le elezioni del maggio 2019, vinte da Mutharika con il 38% delle preferenze, erano irte di irregolarità gravi e diffuse. Sono circa 6,6 milioni, le persone chiamate al voto.

Le prossime elezioni rappresentano praticamente una corsa a due cavalli tra il presidente e il suo principale rivale Lazarus Chakwera. Questa elezione è nata da una sentenza del tribunale e seguirà il sistema del 50% più uno.

Chakwera, 65 anni, gode del sostegno di nove partiti politici nel suo tentativo di rovesciare il presidente in carica. Gift Trapence of the Human Rights Defenders Coalition, che ha guidato proteste in tutto il Paese per mesi contro i risultati elettorali dell’anno scorso, ha grandi speranze sulle prossime elezioni.

Repubblica Democratica del Congo – Il governo della Repubblica Democratica del Congo ha ufficialmente dichiarato la fine dell’epidemia di Ebola scoppiata nell’est del Paese nell’agosto 2018 e che ha ucciso più di 2.200 persone.

L’ultima epidemia è stata la più lunga, la più complessa e la più mortale nei 60 anni di storia della Repubblica Democratica del Congo, secondo quanto dichiarato dal ministro della Salute Eteni Longondo, seconda solo all’epidemia di Ebola del 2013-2016 nell’Africa occidentale che ha ucciso 11.300 persone.

Affinché il focolaio epidemico di Ebola sia ufficialmente concluso, non devono essere segnalati nuovi casi per 42 giorni, il doppio del periodo di incubazione del virus, responsabile della febbre emorragica.

L’epidemia nel Paese è stata dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a luglio 2019 come un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale, data la stretta vicinanza dell’epicentro con i vicini Ruanda e Uganda.

L’area più colpita è stata il Nord Kivu, provincia oppressa da forze armate ribelli e violenza etnica. L’ultimo focolaio si è concentrato su Mbandaka, un hub di trasporto sul fiume Congo nella provincia di Equateur.

Sono stati introdotti due vaccini sperimentali, già ricevuti da 320mila persone. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Il Congo dichiara sconfitta l’Ebola” di Federica Iezzi


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Rwanda – François Graner, ricercatore francese, ha vinto una lunga battaglia legale per l’accesso agli archivi dell’ex presidente François Mitterrand sul genocidio in Rwanda del 1994, in cui Kigali accusa Parigi di aver avuto un ruolo preponderante.

Il Consiglio di Stato, il principale tribunale amministrativo della Francia, ha determinato che i documenti consentirebbero di far luce su un dibattito di interesse pubblico. La protezione dei segreti di stato deve essere bilanciata con gli interessi di informazione del pubblico su eventi storici, secondo il Consiglio di Stato.

Gli archivi presidenziali sono generalmente riservati per 60 anni dopo la loro firma, ma in determinate circostanze, possono essere resi pubblici prima. Attualmente solo una piccola parte dei documenti francesi era emersa e non era stato ancora prodotto un resoconto conclusivo sul ruolo svolto da Parigi.

Il presidente rwandese Paul Kagame ha accusato la Francia di essere complice delle violenze, per le quali le milizie hutu hanno ucciso circa 800.000 tutsi e hutu moderati. La Francia ha sempre negato le accuse e l’anno scorso il presidente Emmanuel Macron ha annunciato la creazione di un panel di storici e ricercatori per esaminare la documentazione.

Kagame ha accusato Parigi di aver avuto un ruolo diretto nell’assassinio dell’allora presidente rwandese Juvenal Habyarimana, un hutu, che ha scatenato le brutalità. Le relazioni tra i due Paesi hanno toccato il minimo nel 2006 dopo che un giudice francese ha presentato Kagame ad un tribunale appoggiato dalle Nazioni Unite, per l’accusa dell’omicidio di Habyarimana del 1994. Kagame, che aveva guidato la forza ribelle tutsi che alla fine rovesciò il genocida regime hutu, interruppe i legami con la Francia per tre anni.

Tanzania – Il parlamento della Tanzania è stato sciolto in vista delle elezioni del prossimo ottobre, in un Paese in cui l’opposizione ha denunciato un clima di paura e violenza. La costituzione richiede che la legislatura composta dei 393 seggi, venga sciolta prima delle elezioni.

Il presidente Magufuli, entrato in carica nel 2015, fortemente criticato da gruppi per la difesa dei diritti umani, ha esortato tutti i partiti politici a evitare insulti e violenza durante la campagna elettorale. La dissoluzione arriva pochi giorni dopo che il leader dell’opposizione tanzaniana Freeman Mbowe, che ha annunciato la sua intenzione di correre alle prossime elezioni contro Magufuli, è stato oggetto di violenze.

La missione dell’Unione Europea nel Paese ha denunciato il presunto attacco e le ambasciate americana e britannica hanno espresso crescenti preoccupazioni. Il principale partito all’opposizione Chadema (Party for Democracy and Progress) afferma che gli attacchi contro lo stesso partito e i suoi sostenitori sono nettamente aumentati durante il mandato presidenziale di Magufuli.

Il governo, di contro, ha negato di aver cercato di reprimere il dissenso.

Chadema e gli altri partiti dell’opposizione, tra cui Alliance for Change and Transparency (ACT Wazalendo), hanno chiesto un monitoraggio indipendente durante le elezioni, per garantire la libertà di voto. L’attuale assetto della commissione elettorale non garantisce sondaggi reali, in quanto favorisce il partito al potere. Il presidente di seggio e numerosi funzionari sono nominati dallo stesso Magufuli,  leader del partito al potere.

Mali -Continua, senza placarsi, il ‘Mouvement du 5 juin’ nelle strade maliane. A Bamako, capitale del Paese, si rinnovano dai dimostranti le richieste di dimissione del presidente Ibrahim Boubacar Keita. Il Mali si è trasformato in una spirale di violenza che coinvolge una schiera di gruppi affiliati ad al-Qaeda e ISIS, milizie etniche e forze statali, regionali e internazionali, da quando i separatisti tuareg nel nord, sono stati allontanati per un breve periodo dal governo nel 2012. Keita è stato eletto l’anno successivo e ha vinto un secondo mandato quinquennale nel 2018.

Tuttavia, i risentimenti dei manifestanti si estendono oltre il conflitto, con il ritmo singhiozzante delle riforme politiche, di un’economia carceraria e di una percezione ampiamente condivisa della corruzione del governo.

Le proteste guidate da una nuova coalizione di gruppi di opposizione, hanno spinto Keita a concedere l’aumento degli stipendi degli insegnanti pubblici, dopo una disputa salariale di lunga data, e la promessa di riforme, inclusa la formazione di un nuovo governo di unità che includa figure dell’opposizione. Il crescente divario politico in Mali preoccupa i Paesi confinanti, che temono un’ulteriore instabilità, già causa di crisi in Burkina Faso e Niger. Crisi che minaccia di raggiungere più a sud i Paesi costieri dell’Africa occidentale.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Riaperti archivi su ruolo Francia nel genocidio in Rwanda” di Federica Iezzi


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Roma, 20 giugno 2020, Nena News 

Repubblica Democratica del Congo – Secondo dati diffusi dalle Nazioni Unite, circa 1.300 civili sono stati uccisi nei conflitti in corso in Repubblica Democratica del Congo e più di mezzo milione di persone sono state sfollate a causa della violenza, nel giro di pochi mesi.

Massacri, attacchi indiscriminati, uccisioni e evacuazioni forzate possono equivalere a crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

L’ufficio presidenziale ha dichiarato in una nota che il numero di vittime è aumentato vertiginosamente nelle ultime settimane, mentre gli scontri nelle tre province orientali, Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu, continuano a propagarsi con disastrose ripercussioni per la popolazione civile.

Sia i gruppi armati ribelli, che forze governative avrebbero commesso gravi violazioni.

Le operazioni militari e gli attacchi di rappresaglia contro i civili da parte di gruppi armati hanno costretto più di 400.000 civili nel Nord Kivu a lasciare le proprie abitazioni dallo scorso settembre. Mentre, dallo scorso gennaio, circa 110.000 persone sono fuggite dalla violenza del Sud Kivu.

Senegal – Il governo senegalese ha deciso di non riaprire le scuole superiori dopo che sono state rilevate positività al coronavirus tra alcuni insegnanti nella regione di Ziguinchor di Casamance, regione dell’estremo sud del Senegal.

Dopo circa due mesi e mezzo di chiusura delle scuole, gli studenti degli ultimi tre anni del liceo, circa 550.000 su 3,5 milioni di ragazzi nel sistema scolastico, erano programmati per tornare in classe la scorsa settimana.

Ad oggi, il Paese conta ufficialmente 5.639 infezioni da SARS-CoV-2, inclusi 79 decessi.

Come in altri Paesi africani, le infezioni sono state relativamente contenute, ma lo stato debole del sistema sanitario del Senegal ha sollevato dubbi sulla sua capacità di resistere a una grave epidemia.

Il governo senegalese ha rapidamente introdotto strette misure preventive contro la diffusione di coronavirus dopo la rilevazione del primo caso il 02 marzo.

Nei prossimi giorni è prevista una decisione sull’eventuale revoca di alcune misure restrittive, tra cui il coprifuoco notturno e il divieto di viaggiare tra le regioni.

Sudan – Il leader della milizia del Darfur, Ali Kushayb, è sotto la custodia del Tribunale Penale Internazionale (ICC) con accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, dopo essersi arreso volontariamente alle autorità della Repubblica Centrafricana. Kushayb è stato dunque arrestato nella città settentrionale di Birao e traferito prontamente in Olanda.

La corte ha emesso un mandato di arresto per Kushayb nel 2007, accusandolo di omicidio, stupro e saccheggio nella regione sudanese occidentale del Darfur tra il 2003 e il 2004.

Secondo quanto ricostruito dai pubblici ministeri Kushayb, comandante delle forze di difesa popolari filo-governative, condusse attacchi a città e villaggi durante il conflitto che uccise centinaia di migliaia di persone e costrinse alla fuga più di due milioni di civili.

Anche l’ex presidente sudanese Omar al-Bashir è ricercato dall’ICC con l’accusa di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità per atrocità commesse dalle forze filo-governative nel Darfur. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Oltre mille civili uccisi negli scontri in Congo, leader milizia del Darfur accusato di crimini di guerra” di Federica Iezzi


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Roma, 13 giugno 2020, Nena News

Burundi – In una dichiarazione pubblica, il governo del Burundi ha ufficialmente comunicato la morte del presidente uscente Pierre Nkurunziza, 55 anni. Nkurunziza sarebbe morto in un ospedale di Karuzi, nel Burundi orientale. Il governo ha prontamente dichiarato lutto nazionale per sette giorni.

Al potere dal 2005, Nkurunziza avrebbe dovuto essere sostituito in agosto dall’alleato politico Evariste Ndayishimiye che all’inizio del mese è stato dichiarato vincitore delle ultime elezioni presidenziali.

Nkurunziza è entrato al potere in seguito alla guerra civile del 1993-2005 che ha ucciso circa 300mila persone e che ha costretto alla fuga centinaia di migliaia di civili. Lui e Ndayishimiye hanno combattuto fianco a fianco come ribelli nel conflitto.

Il processo di pace, concluso con gli accordi di Arusha, aveva specificato che il mandato di un presidente poteva essere rinnovato una sola volta. Ma Nkurunziza, che ha vinto un secondo mandato nel 2010, ha annunciato di voler beneficiare di un terzo mandato nel 2015, in quanto non scelto per la prima volta a suffragio universale.

Il tumulto che seguì tale scelta si è inasprito con la decisione del governo burundese di lasciare la Corte Penale Internazionale, dopo le indagini su crimini perpetrati dallo Stato tra cui omicidio, stupro e tortura. L’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha riferito di oltre 300 omicidi extragiudiziali ed è stato successivamente espulso dal Paese.

Inoltre, il mese scorso, il Burundi ha espulso il rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità tra le critiche per la gestione legata alla pandemia da coronavirus.

Nkurunziza è sopravvissuto a un tentativo di colpo di Stato poco dopo il voto del 2015. E lascia un’eredità di spietata repressione.

Repubblica Democratica del Congo – Funzionari sanitari della Repubblica Democratica del Congo hanno riferito la presenza di un nuovo focolaio di ebola nel nord-ovest del Paese. Il Ministro della sanità Eteni Longondo ha dichiarato la morte di già quattro persone, legate all’infezione dal virus ebola, in un distretto della città nord-occidentale di Mbandaka. L’Institut National de la Recherche Biomédicale, con sede a Kinshasa, ha confermato la positività per ebola dei campioni di Mbandaka.

La provincia di Equateur, la cui capitale è Mbandaka, è stata precedentemente colpita da un focolaio di ebola tra maggio e luglio 2018, in cui sono morte 33 persone. L’epidemia più recente nel nord-ovest della Repubblica Democratica del Congo è l’undicesima nel Paese da quando è stata caratterizzata la malattia per la prima volta nel 1976.

Ha già ucciso più di 2.200 persone da quando è emersa nella provincia orientale del Nord Kivu nell’agosto 2018, diffondendosi poi nella vicina provincia di Ituri.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’epidemia un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale nel luglio 2019, dopo che il virus altamente contagioso ha minacciato di diffondersi nella grande città di Goma e nei Paesi vicini.

La situazione è cambiata con il lancio di due vaccini prodotti da Merck e Johnson & Johnson, ancora in fase di studio clinico e non ancora autorizzati, per l’immunizzazione di più di 300mila persone.

Il Paese sta inoltre combattendo un aggressivo focolaio infettivo legato al virus SARS-CoV-2, con 4.515 positività e 98 decessi correlati.

Camerun – Il giornalista camerunese Samuel Wazizi, arrestato lo scorso agosto per aver criticato la gestione del governo Biya nella rivolta separatista, è morto in detenzione, secondo quanto affermato da Reporter Senza Frontiere.

Wazizi lavorava per l’emittente indipendente CMTV (Chillen Muzik and TeleVision), con sede nelle regioni del sud-ovest, aree in cui i separatisti di minoranza inglese nel 2017 hanno lanciato una campagna armata per l’indipendenza.

Reporter Senza Frontiere chiede un’indagine approfondita e indipendente sull’accaduto per stabilire la catena di responsabilità, di porre fine al silenzio intollerabile attorno al caso e di restituire il corpo del giornalista alla sua famiglia.

Wazizi, qualche giorno dopo l’arresto, era stato trasferito da una stazione di polizia della città di Buea al quartier generale locale del 21° battaglione di fanteria motorizzata dell’esercito. Da quel momento in poi, né alla sua famiglia né ai suoi avvocati è stato permesso alcun contatto con lui, né è stata fornita alcuna informazione.

Giornalisti, personaggi della società civile e opposizione hanno moltiplicato sui social media l’hashtag #JusticeforWazizi. Il Camerun è attualmente al 134° posto su 180 Paesi nel World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere del 2020.

Il conflitto nato dalla discriminazione di lunga data tra la minoranza di lingua inglese del Camerun da parte della maggioranza francofona ha causato oltre 3mila vittime e costretto a fuggire dalle proprie case quasi 700mila persone. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Muore il presidente del Burundi, il repressore Nkurunziza” di Federica Iezzi


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Roma, 06 giugno 2020, Nena News

Sudan – Il Sudan ha respinto la proposta etiope di riprendere le trattative negoziate dagli Stati Uniti, per la costruzione di una controversa diga sul Nilo, Grand Ethiopian Renaissance Dam, nella regione di Benishangul-Gumuz in Etiopia. Il Primo Ministro del Sudan, Abdalla Hamdok, ha dichiarato di essersi rifiutato di firmare l’accordo parziale per il riempimento della diga, a causa dell’assenza di una pianificazione coordinata e dell’assenza di elementi tecnici e giuridici legati all’impatto ambientale e sociale della diga stessa.

Il Sudan e l’Egitto temono che la contestata diga da 4,6 miliardi di dollari intrappoli le loro riserve idriche essenziali.

In un documento alla sua controparte etiope, Hamdok ha anche sottolineato la necessità di raggiungere un accordo tra Egitto, Sudan ed Etiopia prima del completamento del progetto. Le tensioni sono aumentate nel bacino del Nilo da quando l’Etiopia è entrata nel progetto nel 2011. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e la Banca Mondiale sono intervenuti come osservatori l’anno scorso per facilitare i colloqui tra i tre Paesi dopo che i negoziati hanno ripetutamente fallito.

Rwanda – Un tribunale rwandese ha condannato all’ergastolo un ex politico ritenuto colpevole di aver programmato l’uccisione di decine di migliaia di persone, durante il genocidio del 1994 nel Paese.

Ladislas Ntaganzwa, ex sindaco di Nyakizu, nel Rwanda meridionale, è stato incriminato nel 1996 dal Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda, con base a Arusha in Tanzania, con l’accusa di incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, omicidio e stupro. Il tribunale è stato chiuso cinque anni fa ed è stato sostituito da un organo successore, l’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals.

L’accusa del tribunale contro Ntaganzwa è quella di aver complottato per sterminare la popolazione tutsi e aver ordinato personalmente il massacro di oltre 25.000 civili tutsi e hutu moderati, nella città di Nyakizu, nell’aprile 1994.

Ntaganzwa è stato arrestato nel dicembre 2015 nella Repubblica Democratica del Congo. Il Rwanda lo ha preso in custodia a marzo 2016. La condanna arriva poco dopo che Felicien Kabuga, ricco uomo d’affari e ideatore di propaganda e massacri contro la popolazione tutsi nel 1994, è stato arrestato in Francia dopo 25 anni di fuga. E dopo la notizia della morte dell’ex Ministro della Difesa Augustin Bizimana, altro progettista del genocidio. Protais Mpiranya, ex comandante della Guardia Presidenziale delle forze armate rwandesi, risulta invece ancora latitante.

Etiopia – Secondo l’ultimo report redatto da Amnesty International, ‘Beyond law enforcement. Human rights violations by ethiopian security forces in Amhara and Oromia’, le forze di sicurezza etiopi continuano a commettere gravi violazioni dei diritti umani, comprese esecuzioni extragiudiziali e torture, da quando il Primo Ministro Abiy Ahmed ha conquistato il potere nel 2018.

Nella sua ultima relazione, il gruppo di difesa dei diritti umani, ha documentato le detenzioni arbitrarie di migliaia di persone e gli sfratti forzati di decine di famiglie dalle loro abitazioni, durante le operazioni di sicurezza, in risposta agli attacchi di gruppi armati e violenza intercomunitaria in alcune aree delle regioni di Amhara e Oromia.

Abiy ha introdotto una serie di riforme radicali, tra cui la concessione di amnistia a migliaia di prigionieri politici e l’abrogazione di leggi drastiche, da quando è salito al potere nell’aprile 2018. Il mandato di Abiy è stato anche afflitto da conflitti etnici, con centinaia di migliaia di civili sfollati internamente, in un peggioramento della situazione della sicurezza.

Il rapporto di Amnesty International documenta una serie di presunti abusi in Oromia, regione centro-meridionale etiope, dove le forze di sicurezza stanno conducendo una campagna contro l’Esercito di Liberazione Oromo (OLA), frangia armata del Fronte di Liberazione Oromo (OLF), oggi uno dei partiti dell’opposizione.

Almeno 10.000 persone sospettate di sostenere l’OLA sono state arrestate dalle forze di sicurezza in cicli di detenzione di massa iniziati nel gennaio 2019. E almeno 39 persone sono state giustiziate in via stragiudiziale tra le crescenti tensioni nel Guji, nella regione di Oromia.

Ad Amhara, regione dell’Etiopia centro-settentrionale, invece, almeno 130 persone sono state uccise in conflitti intercomunitari, in cui le forze di sicurezza sono state complici, sia per coinvolgimento attivo che per incapacità di proteggere le comunità colpite.

L’Organizzazione Non Governativa ha affermato che la polizia regionale, la milizia e i gruppi di vigilanza locali hanno effettuato numerosi attacchi contro l’etnia Qemant, provocando decine tra morti e feriti e centinaia di sfollati. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Sudan ed Etiopia ai ferri corti per la diga sul Nilo” di Federica Iezzi

Amnesty International ‘Ethiopia: Beyond law enforcement. Human rights violations by ethiopian security forces in Amhara and Oromia’


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Roma, 30 maggio 2020, Nena News

Benin – In Benin si sono tenute le elezioni locali, senza la partecipazione dei principali partiti di opposizione, nonostante le preoccupazioni generali per la pandemia legata al coronavirus.

Il Paese questa settimana ha revocato una serie di restrizioni volte a frenare la diffusione del virus, che finora ha contagiato 210 persone e causato tre morti.

Secondo gli osservatori, l’affluenza alle urne sembra aver sofferto, dopo la chiusura dei sondaggi per il controllo di 77 consigli in tutto il Paese. In queste elezioni si votava per gli 83 deputati dell’Assemblea Nazionale, con membri eletti direttamente nelle circoscrizioni plurinominali con voto proporzionale.

Il Benin è entrato in una crisi politica da quando un controverso sondaggio parlamentare nell’aprile dello scorso anno ha suscitato proteste.

I partiti alleati del presidente Patrice Talon hanno vinto tutti i seggi ai sondaggi del 2019 dopo una decisione della commissione elettorale di vietare ai partiti di opposizione di votare, perché non erano in grado di soddisfare i rigidi criteri imposti dalla nuova legge elettorale.

I principali partiti dell’opposizione si sono nuovamente trovati esclusi dall’ultimo voto e l’esclusione ha sollevato ondate di proteste, guidate da Talon Sebastien Ajavon, uomo d’affari beninese e leader dell’opposizione con il partito Union sociale libérale.

La Corte regionale africana per i diritti umani e dei popoli ha affermato che il voto dovrebbe essere sospeso in quanto non inclusivo. Ma il governo ha ignorato la sentenza e ha rotto i legami con la Corte, come protesta contro la decisione.

La campagna elettorale si è limitata a scarne apparizioni mediatiche, in quanto i candidati sono stati costretti a revocare tutte le manifestazioni a causa dei divieti di assembramento.

I risultati finali sono previsti entro poche settimane.

Gibuti – Il Paese con la più alta prevalenza di casi di coronavirus nell’Africa orientale, secondo l’Africa Centres for Disease Control and Prevention, dovrebbe iniziare a revocare le misure di restrizione nel tentativo di alleviare la pressione sulla sua economia.

Ad oggi, la piccola nazione del Corno d’Africa che ospita le principali basi militari statunitensi e francesi ha registrato 2.914 infezioni legate a SARS-CoV-2 e 20 decessi correlati. Intanto i casi positivi nell’intero continente sfiorano i 130.000, con più di 3.700 decessi, secondo i dati diffusi dal Regional Office for Africa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Il trasporto pubblico riprenderà e i luoghi di culto saranno ufficialmente autorizzati a riaprire, sebbene dovranno seguire misure molto rigorose di protezione.

I confini rimarranno chiusi, tranne per il personale umanitario che seguirà un protocollo di prevenzione concordato.

Il governo Guelleh ha affermato che una task force nazionale continuerà a seguire la diffusione del COVID-19.

Dal 23 marzo Gibuti osserva un blocco a livello nazionale, con chiusura di confini, luoghi di culto e industrie non essenziali e con divieto di utilizzo dei trasporti pubblici.

Burundi – Dichiarato dalla commissione elettorale del Burundi il nuovo presidente del Paese: il candidato del partito al governo Evariste Ndayishimiye. Il risultato è stato già contestato dall’opposizione.

Il corpo elettorale, CENI (Commission Electorale Nationale Indépendante), ha dichiarato che Ndayishimiye, ex comandante ribelle e attuale segretario generale del partito al potere CNDD-FDD (Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia – Forze per la Difesa della Democrazia), ha ottenuto il 67% dei voti espressi.

Agathon Rwasa, leader del National Freedom Council (CNL), maggior partito all’opposizione, ha ricevuto il 24% dei voti.

Più di quattro milioni di burundesi hanno risposto al voto alle elezioni presidenziali, scegliendo tra sette candidati.

La Corte Costituzionale dichiarerà i risultati delle elezioni definitive il prossimo 4 giugno, salvo ufficiali ricorsi da parte dei partiti all’opposizione.

Si prevede che Ndayishimiye presterà giuramento per un mandato di sette anni a fine agosto, quando terminerà il mandato di Pierre Nkurunziza.

La decisione di Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato nel 2015, causò nel Paese ondate di violenze diffuse che causarono la morte di almeno 1.200 persone e costrinsero più di 400.000 civili a lasciare il Burundi.

Nkurunziza avrà il titolo di ‘Guida Suprema’ al momento della cessione del potere a Ndayishimiye.

Nel frattempo, gruppi per i diritti umani hanno affermato che il voto ha avuto luogo in un contesto di repressione politica continua dei media indipendenti e della società civile.

Continuano anche le notizie di omicidi, arresti arbitrari, percosse e sparizioni di membri dell’opposizione, secondo i report di Amnesty International. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Elezioni locali in Benin, nuovo presidente in Burundi” di Federica Iezzi


Kigali Genocide Memorial

Rwanda – Kigali Genocide Memorial

Roma, 23 maggio 2020, Nena News

Rwanda – È stato arrestato Felicien Kabuga, ricco uomo d’affari hutu ricercato da 25 anni con l’accusa di aver finanziato le milizie che hanno massacrato circa 800mila tutsi e hutu moderati, nel genocidio del 1994 in Rwanda.

L’84enne viveva sotto una falsa identità in un appartamento nel comune francese di Asnieres-Sur-Seine, secondo il ministero della giustizia francese. Dal 1994 Kabuga ha viaggiato impunemente tra Germania, Belgio, Repubblica Democratica del Congo, Kenya e Svizzera.

L’arresto apre la strada al processo: il criminale sarà portato davanti alla corte d’appello di Parigi e successivamente davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aia.

I procuratori ruandesi hanno riferito, studiando i documenti finanziari trovati nella capitale Kigali, che Kabuga usava le sue compagnie commerciali per importare enormi quantità di machete, poi usati per massacrare i civili.

Kabuga è anche accusato di aver creato la stazione Radio Télévision Libre des Mille Collines, che ha trasmesso per mesi una feroce propaganda contro l’etnia tutsi, che ha incitato molti dei massacri chiave, oltre ad addestrare e armare la milizia Interahamwe che guidava la follia omicida.

Vicino all’ex presidente Juvenal Habyarimana, la cui morte quando il suo aereo fu abbattuto su Kigali scatenò l’inizio del genocidio, Kabuga dovrebbe essere trasferito sotto la custodia del meccanismo delle Nazioni Unite, in previsione del processo.

Altri due sospettati del genocidio in Ruanda, Augustin Bizimana, ex ministro della difesa, e Protais Mpiranya, ex militare del Rwandan Army, sono ancora ricercati dalla giustizia internazionale.

Il presidente del Ruanda, Paul Kagame, accusa la Francia di aver sostenuto le forze etniche hutu durante il massacro e di aver aiutato alcuni degli autori a fuggire. La Francia è nota da tempo come nascondiglio per i sospettati del genocidio ruandese e gli investigatori francesi hanno attualmente in corso decine di processi aperti.

Lesotho – Il governo del primo ministro del Lesotho, Thomas Thabane, è caduto dopo che i suoi partner della coalizione hanno ritirato il loro sostegno, segnalando la potenziale fine di una lunga crisi politica che ha attanagliato il paese per anni.

Annunciando il crollo della maggioranza del governo, il portavoce dell’Assemblea Nazionale, Sephiri Motanyane, ha dichiarato che il primo ministro ha rassegnato le sue dimissioni ed è iniziata la formazione di una nuova amministrazione. Il principale partito di governo, All Basotho Convention, e altri due partiti della coalizione hanno provvisoriamente concordato per sostituire Thabane con l’attuale ministro delle finanze Moeketsi Majoro.

A inizio mese, re Letsie III ha approvato la legislazione che ha impedito a Thabane di sciogliere il parlamento e convocare le elezioni in caso di voto sfiduciato nei suoi confronti. Thabane era stato già primo ministro in Lesotho tra il 2012 e il 2015 quando una divisione all’interno del governo di coalizione ha portato a elezioni anticipate.

Anche il governo subentrante, guidato da Pakalitha Mosisili del Democratic Congress Party, è stato poi scosso da divisioni. Mosilili ha perso un voto di sfiducia e Thabane è tornato al potere nel 2017 come capo della coalizione guidata dall’All Basotho Convention.

Burundi – Prime elezioni presidenziali in Burundi da quando è scoppiata la guerra civile nel 1993. Si eleggeranno, non solo il nuovo presidente, ma parlamentari e consiglieri locali, che a loro volta nomineranno i membri del Senato.

Le elezioni hanno lo scopo di inaugurare la prima transizione democratica in 58 anni di indipendenza per la nazione dell’Africa orientale.

Il presidente Pierre Nkurunziza, il cui governo è stato più volte accusato di violazioni dei diritti umani, si dimetterà dopo 15 anni. Il candidato al National Council for the Defense of Democracy – Forces for the Defense of Democracy (CNDD-FDD) è il generale dell’esercito in pensione Evariste Ndayishimiye. Per contro il leader dell’opposizione Agathon Rwasa, del National Forces of Liberation, e altri cinque: Domitien Ndayizeye del Kira Burundi Coalition, Dieudonné Nahimana e Francis Rohero come indipendenti, Gaston Sindimwo dell’Union for National Progress, Léonce Ngendakumana del Front for Democracy in Burundi.

Il governo ha rifiutato qualsiasi osservatore delle Nazioni Unite o dell’Unione Africana, accusando quest’ultima di essere troppo vicina all’opposizione.

Ci sono state diffuse critiche internazionali durante le ultime elezioni del Burundi nel 2015, quando Nkurunziza ha corso per un terzo mandato. I suoi oppositori hanno affermato che la partecipazione di Nkurunziza ha violato un accordo di pace che ha posto fine alla guerra civile. Nel periodo post-elettorale si sono scatenate violente proteste che hanno portato all’esilio centinaia di burundesi. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Un pò di giustizia per il Rwanda: arrestato il finanziatore del genocidio” di Federica Iezzi


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Roma, 16 maggio 2020, Nena News 

Sudan – Tre anni di carcere sono la pena che il governo del Sudan ha stabilito per gli esecutori di mutilazioni genitali femminili. Mossa che gli attivisti hanno affermato introdurrà una nuova era per i diritti delle ragazze nel Paese, anche se sarà difficile cambiare modello nelle comunità che considerano la pratica tradizionale necessaria per il matrimonio.

Quasi nove donne su dieci in Sudan hanno subito mutilazioni genitali femminili, secondo i dati delle Nazioni Unite. E la prevalenza della pratica in Sudan è una delle più alte a livello globale.

Il governo di transizione del Sudan ha approvato un emendamento alla sua legislazione penale, secondo cui chiunque compia atti di mutilazione genitale femminile all’interno di un istituto sanitario o fuori, rischia tre anni di reclusione e una multa.

Si stima che 200 milioni di donne in tutto il mondo siano state sottoposte a mutilazioni parziali o totali dei genitali femminili esterni.

Le stesse sono praticate in almeno 28 Paesi africani e non sono collegate a nessuna particolare fede religiosa.

In Sudan, più di tre quarti delle procedure sono condotte da infermieri, ostetriche o altro personale sanitario, secondo la charity inglese ‘28 Too Many’.

Sudafrica – Il Sudafrica ha iniziato una graduale riapertura del settore industriale, dopo cinque settimane di restrizioni che hanno fatto precipitare l’economia in difficoltà e subbuglio.

Il Paese prevede di riaprire l’economia, in più fasi con un approccio graduale a partire dal mese di maggio.

Circa 1,5 milioni di lavoratori in settori selezionati tornano a lavorare mentre le condizioni sanitarie del Paese sono ancora severe, secondo il ministro del commercio e dell’industria Ebrahim Patel.

Secondo quanto dichiarato dal presidente Cyril Ramaphosa le aziende devono essere in grado di produrre e commerciare, devono generare entrate e mantenere i loro dipendenti in attività lavorativa, per far ripartire l’economia del Paese.

L’economia sudafricana era in recessione e si stava riprendendo dalla bassa crescita e dai debiti elevati, già prima dell’inizio della pandemia legata al coronavirus.

Il governo Ramaphosa ha presentato un pacchetto di incentivi e aiuti sociali senza precedenti per 26,9 miliardi di dollari, pari a circa il 10% del prodotto interno lordo.

Il ministro delle finanze Tito Mboweni ha dichiarato che il governo chiederà aiuti al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale, per un massimo di 4,2 miliardi di dollari.

Il numero di infezioni confermate in Sudafrica è salito a 12.739, con 238 decessi.

Malawi – La Corte Suprema del Malawi in una decisione unanime ha confermato l’annullamento della vittoria elettorale del presidente Peter Mutharika.

La Corte Costituzionale ha citato irregolarità diffuse, sistematiche e gravi. Le violazioni hanno minato i doveri della Commissione Elettorale del Malawi e hanno gravemente compromesso i diritti degli elettori. Al contrario, Mutharika ha sempre affermato che le elezioni presidenziali dell’anno scorso sono state libere ed eque.

Sono previste nuove elezioni il prossimo luglio, in cui tra i candidati compare anche Mutharika.

In corsa a fianco di Mutharika, Atupele Muluzi, 41enne figlio dell’ex presidente Bakili Muluzi, che ha governato il Malawi dal 1994 al 2004.

All’opposizione Lazzaro Chakwera, del Malawi Congress Party, e Saulos Chilima, dell’United Transformation Movement. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Pene per mutilazioni genitali femminili in Sudan, in Malawi nuove presidenziali a luglio” di Federica Iezzi


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Roma, 9 maggio 2020, Nena News 

Somalia – Sei settimane dopo aver registrato il primo caso di coronavirus, la Somalia ha confermato 928 infezioni da COVID-19 e 44 decessi. Sono state sollevate grandi preoccupazioni sul fatto che l’attuale conteggio potrebbe essere molto più alto. Il totale delle infezioni non viene rilevato perché vengono testate solo persone altamente sintomatiche.

Il Paese non ha la capacità di effettuare test di massa. Attualmente ci sono solo tre laboratori attrezzati per testare in sicurezza le infezioni da SARS-CoV-2, di cui uno nello stato semi-autonomo del Puntland e uno nella regione separatista del Somaliland. Il numero di test che questi laboratori possono eseguire è comunque molto limitato, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) in Somalia.

Il Paese del Corno d’Africa ha ricevuto 20.000 kit-test, 100.000 maschere facciali e 1.000 tute protettive e schermi facciali, che il governo dovrebbe distribuire nei vari distretti, secondo le Nazioni Unite. Attualmente nessun sistema organizzato per la registrazione delle informazioni e del follow-up è stato implementato in ospedali pubblici o cliniche e strutture sanitarie supportate da partner internazionali.

Una grande parte della popolazione vive in spazi ristretti, in insediamenti decrepiti concepiti per sfollati interni. Rimanere a casa non è un’opzione praticabile per la maggior parte dei lavoratori informali che hanno bisogno di uscire di casa ogni giorno, per poter generare una minima fonte di reddito.

La Somalia è in cima all’indice di rischio globale sulla piattaforma INFORM GRI. Ciò lo rende il Paese con la più debole capacità di far fronte allo stress aggiuntivo di una pandemia. Il problema diventa ancora più preoccupante nelle aree difficili da raggiungere, sotto il controllo dei ribelli jihadisti sunniti al-Shabaab, in cui l’assistenza sanitaria umanitaria non è autorizzata a penetrare.

Le infrastrutture sanitarie del Paese sono state sventrate da decenni di conflitti e instabilità, in un quadro di carenza di dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario e stigma profondamente radicato delle persone colpite.

Il Martini Hospital di Mogadiscio è l’unica struttura medica dedicata al trattamento dei pazienti contagiati da COVID-19. E a causa della sua capacità limitata, l’ospedale accoglie solo i casi più gravi.

Il governo Mohamed ha istituito un call-center che i cittadini possono contattare gratuitamente per ottenere informazioni e consigli e il sistema ha avuto un grande successo, con più di 8.800 chiamate nelle sole prime 24 ore.

La Somalia ha chiuso i suoi confini a metà marzo come parte di misure volte a prevenire la diffusione della pandemia. Il governo ha anche imposto il coprifuoco a Mogadiscio all’inizio di aprile.

Sierra Leone – Una rivolta è scoppiata nella prigione centrale di Freetown, capitale della Sierra Leone, dopo la conferma di un caso di positività a coronavirus. I detenuti nella prigione di Pademba Road hanno incendiato alcuni edifici per protestare contro la polizia e le forze di sicurezza. Ci sono vittime e feriti sia tra il personale di sorveglianza che tra i detenuti.

La prigione di Pademba Road fu costruita nel 1914 con una capacità di circa 300 detenuti, ora ne ospita oltre un migliaio. È stata già colpita da una serie di rivolte negli anni 2000 a causa del sovraffollamento e delle cattive condizioni. Le prigioni della Sierra Leone sono cronicamente sovraffollate e insalubri, e le organizzazioni non governative locali avevano precedentemente sollecitato il governo a rilasciare prigionieri, con accuse di crimini minori, per alleviare il rischio di infezione.

La Sierra Leone ha registrato 231 casi di coronavirus, con 16 decessi. Il Paese non è attrezzato per gestire nessun grave focolaio infettivo a causa del suo fragile sistema sanitario, già messo dura prova nel 2014 dall’epidemia legata al virus ebola. Nel continente africano il numero delle positività per infezione da SARS-CoV-2 è intanto salito a oltre 53.000, con più di 2000 decessi, secondo i dati diffusi dal Regional Office for Africa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO AFRO).

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Somalia indifesa di fronte al Covid-19. Rivolta in carcere in Sierra Leone” di Federica Iezzi


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Roma, 2 maggio 2020, Nena News 

Mali – Nonostante il sempre più evidente conflitto armato e l’incombente pandemia di coronavirus, sono stati aperti in Mali i seggi per il secondo turno delle elezioni legislative.

Gli elettori nella nazione di 19 milioni di abitanti esprimeranno il loro voto per 147 seggi all’Assemblea Nazionale. L’affluenza al primo turno di votazioni a livello nazionale è stato del 35,6%.

Le elezioni sono state ripetutamente ritardate, erodendo la fiducia nelle istituzioni (dovevano svolgersi alla fine del 2018, ma sono state rinviate più volte, principalmente a causa di problemi di sicurezza), mentre il Paese lotta duramente contro una rivolta armata che ha ucciso migliaia di persone e costretto centinaia di civili a lasciare le proprie case.

Il primo turno svoltosi il 29 marzo è stato interrotto da attacchi e intimidazioni, incluso il rapimento del leader dell’opposizione Soumaila Cisse.

I prossimi, saranno i primi sondaggi parlamentari del Paese dal 2013, quando il partito Rally for Mali del presidente Ibrahim Boubacar Keita, vinse con una spropositata maggioranza.

La speranza nelle nuove elezioni legislative è che i nuovi parlamentari appoggino le modifiche alla Costituzione per la promozione del decentramento. Questa è la chiave per portare avanti i piani del governo per la pace.

Etiopia – L’Etiopia sta intensificando i preparativi per proseguire con la chiusura programmata di un campo per i rifugiati eritrei, come risposta ai crescenti contagi da Covid-19.

Il campo di Hitsats che ospita circa 26mila persone, tra cui 1.600 minori, è uno dei quattro campi nella regione del Tigray settentrionale che ospita in totale almeno 100mila rifugiati eritrei, secondo i dati dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Secondo i molteplici report di Human Rights Watch, per gli eritrei, fuggire rimane ad oggi una delle uniche opzioni reali, per sfuggire alla repressione del governo Afewerki.

All’inizio di questo mese, l’Ethiopia’s Agency for Refugee and Returnee Affairs ha annunciato ai rifugiati nel campo di Hitsats che il governo federale aveva deciso di trasferirli nei campi di Mai Aini e Adi Harush o di offrire loro la possibilità di vivere in città.

I rifugiati del campo di Hitsats sono da sempre sotto pressione per la carenza di acqua e accesso all’elettricità. Tuttavia, i campi di Mai Aini e Adi Harush sono attualmente pieni e privi delle infrastrutture necessarie per far fronte ai nuovi arrivati.

L’Unhcr, non in linea con il governo Abiyi, ha esortato a sospendere qualsiasi sforzo di ricollocazione, per il rischio di rendere i rifugiati ancor più vulnerabili a infezioni legate al virus SARS-CoV-2.

L’Etiopia ha 108 casi confermati di infezione da coronavirus, inclusi tre decessi.

Guinea Bissau – La Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) ha riconosciuto Umaro Sissoco Embalo come vincitore delle elezioni presidenziali della Guinea-Bissau, dopo mesi di controversie sui risultati.

L’autorità elettorale del Paese ha ripetutamente affermato che Embalo, ex generale dell’esercito e primo ministro, ha conquistato la vittoria del voto presidenziale risalente allo scorso dicembre.

Il candidato dell’opposizione Domingos Simoes Pereira, del Paigc, Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde, ha definito fraudolente le elezioni e ha portato il caso dinanzi alla Corte Suprema, che attualmente non si è ancora pronunciata.

Embalo si era auto-dichiarato presidente lo scorso febbraio senza aspettare la risoluzione della Corte Suprema.

La controversia post-elettorale ha infranto le speranze che il voto avrebbe potuto porre fine a anni di caos istituzionale. Pereira ha accusato Embalo di impadronirsi illegalmente del potere con l’appoggio dell’esercito del Paese, già coinvolto in nove colpi di stato dall’indipendenza dal Portogallo nel 1974. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. L’Etiopia chiude un campo per rifugiati eritrei” di Federica Iezzi


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#insidethestory

Roma, 25 aprile 2020, Nena News 

Ebola, Repubblica Democratica del Congo – L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che sei nuovi casi di ebola sono stati confermati nella Repubblica Democratica del Congo negli ultimi 21 giorni. I nuovi casi sono stati confermati a Beni, una città nel cuore dell’ultima epidemia, nelle regioni orientali del Paese.

I team sanitari locali, in collaborazione con l’OMS, sono già sul campo per approfondire le indagini e attuare azioni di controllo e eventuale quarantena.

Fino a metà febbraio non erano stati registrati nuovi casi, dopo l’epidemia emersa nell’agosto 2018 che da allora ha ucciso più di 2.200 persone delle 3.461 infette.

Dopo 52 giorni senza un caso, le squadre di sorveglianza e di risposta sul campo hanno confermato il nuovo caso, secondo quanto affermato da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore Generale dell’OMS.

Sfortunatamente, questo significa che il governo della Repubblica Democratica del Congo non sarà in grado di dichiarare la fine dell’epidemia di ebola, come sperato.

L’OMS aveva dichiarato l’epidemia un’emergenza di salute pubblica di interesse internazionale nel luglio del 2019, dopo che il virus altamente contagioso ha minacciato di diffondersi nella grande città di Goma e nei Paesi vicini.

Il corso dell’epidemia è cambiato con il lancio di due vaccini, prodotti da Merck e Johnson & Johnson, che sono attualmente in fase di studio clinico, dunque non ancora autorizzati, per immunizzare più di 300.000 persone.

La regione del Nord Kivu, epicentro dell’epidemia, è una zona di conflitto attiva in cui operano dozzine di gruppi armati, secondo il database Kivu Security Tracker.

La diffidenza nei confronti degli interventi sanitari da parte delle organizzazioni internazionali è legata anche a preoccupazioni della popolazione della regione indigente, dove la malaria, il morbillo e altre malattie infettive minori uccidono migliaia di civili ogni anno.

Le analisi pubblicate sulla rivista The Royal Society Journal lo scorso anno hanno anche messo in guardia sul fatto che il conto alla rovescia di 42 giorni potrebbe non essere sufficiente per decretare con sicurezza la risoluzione dell’epidemia.

SARS-CoV-2, Africa – Continuano le polemiche attorno all’insana proposta di testare i vaccini per il virus SARS-CoV-2 sulla popolazione africana, perfino priva di dispositivi di protezione individuale.

Ma il tipo di pensiero nascosto sotto queste intenzioni non è una novità. Fa parte di una tendenza che per generazioni ha visto la disumanizzazione di alcune persone a causa del complesso di superiorità di altre.

La disumanizzazione del sud del mondo è stata una delle forze trainanti già del commercio di schiavi e del colonialismo.

All’inizio dello scorso marzo, quando le positività al COVID-19 hanno iniziato una curva di crescita esponenziale, alcuni rappresentanti della comunità internazionale, hanno analizzato il basso numero di contagi nel continente africano.

Il tono di queste domande ha avuto l’immediato effetto di interrogarsi se la popolazione africana fosse, in qualche modo, geneticamente immune al nuovo coronavirus.

I ricercatori sanno fin troppo bene che condurre ricerche nel nord del mondo è sicuramente più oneroso e la burocrazia da attraversare è infinita. Nel sud del mondo, al contrario, i grandi prodotti farmaceutici, spesso con il supporto complice di funzionari governativi, vengono testati senza intoppi, spesso grazie alla generale disinformazione.

Ma quando si suggerisce che l’Africa debba essere inclusa come parte di uno studio sui vaccini, non sorprende che i sospetti si accendano, specialmente quando ci sono relativamente meno casi nel continente africano di quanti ce ne siano in Europa e negli Stati Uniti.

In che modo ci si aspetta che la popolazione africana non reagisca all’ennesimo tentativo di usarli come cavie per sviluppare farmaci che servirebbero al nord del mondo, i cui sistemi sanitari ben finanziati possono permettersi i costosi farmaci salvavita, per la cui carenza gli stessi africani spesso muoiono?

Nell’epidemia di ebola nell’Africa occidentale del 2014, ad esempio, oltre 250.000 campioni di sangue sono stati raccolti da pazienti africani, in laboratori di Francia, Regno Unito e Stati Uniti, spesso senza consenso informato, per aiutare i ricercatori nella creazione di nuovi vaccini e medicinali. Ancora oggi, i ricercatori sudafricani, francesi e americani si rifiutano di rivelare quanti di questi campioni conservano ancora, citando come dettame la sicurezza nazionale.

Ma i casi non sono sporadici. Nel 1996, lo stato di Kano in Nigeria fu l’epicentro di un’epidemia di meningite. All’epoca Pfizer, una delle più grandi aziende farmaceutiche di ricerca al mondo, decise di condurre studi clinici per testare un farmaco che stava sviluppando.

Pfizer ha trascurato di acquisire il consenso informato dei pazienti. Fu solo nel 2009 che Pfizer pagò 75 milioni di dollari al governo dello stato di Kano e 175.000 dollari ai genitori di quattro dei bambini che erano morti durante l’epidemia e le prove cliniche.

Prove e test simili sono stati condotti in Zimbabwe nel 1994 con i farmaci antiretrovirali, per la cura dell’infezione da HIV. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Ebola nel Congo, polemiche su test-vaccini su popolazione africana” di Federica Iezzi


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#liveupdates #COVID19

Roma, 18 aprile 2020, Nena News 

Zimbabwe – Il personale sanitario nello Zimbabwe ha lanciato l’allarme per la limitata capacità del Paese di eseguire test di diagnosi per l’infezione da coronavirus, avvertendo che la mancanza di attrezzature specifiche e carenze infrastrutturali potrebbero far sì che molti casi non vengano rilevati.

Lo Zimbabwe ha riportato il suo primo caso a metà marzo e finora ha testato circa 400 persone per coronavirus. Il Paese, che ha un solo centro di test COVID-19, nella capitale Harare, ha ad oggi confermato 24 casi, e tre decessi.

In Zimbabwe sono stati consegnati solo 500 kit di test COVID-19 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e ne sono stati usati già quasi 400.

Come parte delle misure per contenere la diffusione del virus SARS-CoV-2, il governo Mnangagwa ha dichiarato lo stato di disastro nazionale e ha vietato tutte le riunioni pubbliche di oltre 50 persone, per 60 giorni. Alcuni dei raduni vietati includono servizi religiosi, matrimoni e attività sportive.

Inoltre, sono attualmente in atto la chiusura delle scuole e la designazione di tre ospedali come strutture di quarantena per pazienti contagiati da COVID-19.

Anni di sottofinanziamento e una profonda crisi economica derivante dalla cattiva gestione politica hanno messo in ginocchio il settore sanitario del Paese.

Sono circa 17.000 i casi confermati di COVID-19 nel continente africano, con almeno 890 decessi.

Secondo l’OMS, ci sono meno di 5.000 letti di unità di terapia intensiva disponibili in 43 dei 54 Paesi del continente. Si tratta di circa cinque posti letto per milione di persone, rispetto ai 4.000 in Europa.

Niger – Mentre la maggior parte dei Paesi africani ha chiuso i loro confini nell’ambito degli sforzi per contenere la pandemia di coronavirus, i migranti stanno pagando un prezzo elevato.

Nel corso delle ultime due settimane, centinaia di donne, uomini e bambini sono stati bloccati in Niger, tradizionale corridoio di transito per i migranti provenienti dall’Africa occidentale e diretti in Libia o Algeria.

Le deportazioni dall’Algeria al Niger hanno avuto un trend in costante aumento a partire dalla fine del 2016, con cifre che sono diminuite lo scorso anno per ricominciare a crescere da febbraio in poi.

In piena pandemia, i migranti rimangono attualmente in quarantena in strutture allestite nel posto di frontiera militare di Assamaka e ​​nei centri di transito gestiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) nella città meridionale di Arlit.

Nonostante la chiusura delle frontiere, i migranti viaggiano attraverso rotte secondarie per evitare i controlli, creando un grave problema di salute pubblica per l’intera comunità africana.

Un’inusuale operazione di respingimento è avvenuta anche a fine marzo al confine tra Niger e Libia, dove un convoglio di migranti è stato intercettato, costringendo l’OIM a predisporre ulteriore assistenza umanitaria.

Circa 1.400 medici sono operativi in ​​Niger, secondo il governo, al servizio di una popolazione di circa 22 milioni.

Attualmente, 2.371 persone, per lo più nigeriani, guineani, camerunesi e maliani, sono alloggiate nei sei centri di transito dell’OIM.

Il Niger ha confermato 609 casi di coronavirus e 15 decessi per lo più nella capitale Niamey. Il Paese ha introdotto una serie di misure di contenimento per rallentare la diffusione del COVID-19, tra cui la chiusura dei confini internazionali, il divieto di raduni e il coprifuoco notturno.

Oltre ai migranti in movimento, le organizzazioni umanitarie sono particolarmente preoccupate per il destino dei 420.000 sfollati interni, sfuggiti alla violenza di gruppi armati, lungo i confini del Paese con Nigeria, Ciad, Mali e Burkina Faso.

Somalia – Il ministro della giustizia dello stato autonomo somalo di Hirshabelle, Khalif Mumin Tohow, è morto dopo aver contratto l’infezione da SARS-CoV-2. Si registra come quinto decesso nel Paese, dopo quello dell’ex primo ministro Nur Hassan Hussein.

Tohow è deceduto all’ospedale Martini di Mogadiscio, dopo essere risultato positivo al test COVID-19 nella città di Jowhar, la capitale amministrativa di Hirshabelle.

Secondo i dati notificati dal Ministero della Salute, il Paese conta 80 casi confermati di infezione da coronavirus, tra cui decine di impiegati governativi. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Coronavirus: allarme in Zimbabwe, migranti bloccati in Niger” di Federica Iezzi


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Roma, 11 aprile 2020, Nena News – Secondo le dichiarazioni del direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, l’Africa non sarà un banco di prova per nessun vaccino contro il virus SARS-CoV-2. Le sue dichiarazioni che seguono quelle di Camille Locht, capo del gruppo francese di ricerca afferente all’INSERM, l’istituto nazionale francese per la ricerca sulla salute e la medicina, che spinge sull’idea di uno studio sui vaccini in Europa e in Australia.

È impensabile uno studio in Africa, dove esistono enormi carenze di dispositivi di protezione individuale, trattamenti farmacologici e cure di terapia intensiva.

Intanto il numero di casi confermati di COVID-19 in Africa è salito a oltre 10.000 e ha causato oltre 500 morti, secondo gli ultimi dati della John Hopkins University e dell’Africa Center for Disease Control. Tra i deceduti l’ex presidente della Repubblica del Congo, Jacques Joachim Yhombi-Opango, e l’ex primo ministro somalo Nur Hassan Hussein.

Mentre il virus ha raggiunto con lenti passi il continente africano rispetto ad altre zone del globo, i contagi e la conseguente diffusione sono cresciuti esponenzialmente nelle ultime settimane. Legato a questo, alcuni governi stanno imponendo misure più severe per cercare di rallentare la diffusione del virus. Ne è un esempio il Kenya, in cui il presidente Uhuru Kenyatta ha vietato tutti i viaggi dentro e fuori la capitale, Nairobi, e altre tre grandi città per almeno tre settimane.

Raggiungendo il continente attraverso viaggiatori di ritorno da hotspot in Asia, Europa e Stati Uniti, il primo caso di coronavirus in Africa è stato registrato in Egitto a metà febbraio. Da allora un totale di 52 Paesi hanno segnalato positività. Inizialmente, limitato alle grandi capitali, oggi anche le zone rurali risultano coinvolte. Privi di casi positivi restano ancora Comore, Lesotho, Sao Tome e Principe.

L’OMS sta lavorando con i governi di tutta l’Africa per ampliare le proprie capacità in aree di risposta critica come coordinamento, sorveglianza, isolamento, gestione dei casi, prevenzione e controllo delle infezioni. Ghana, Kenya, Etiopia, Egitto, Marocco, Tunisia e Nigeria hanno esteso i test nazionali a più laboratori, consentendo esami decentralizzati.

Queste misure combinate dovrebbero garantire la rapida identificazione dei casi, l’isolamento dei contatti e il trattamento dei positivi.

L’isolamento precoce di tutti i casi, compresi i casi lievi o addirittura asintomatici, è una delle misure di controllo chiave, insieme a diagnosi precoce, trattamento precoce e tracciabilità dei contatti. I dati epidemiologici tempestivi e precisi sono uno degli strumenti più importanti per informare e guidare la risposta. Tra le preoccupazioni principali, si colloca l’impatto della pandemia sui Paesi con fragili sistemi sanitari e su coloro che stanno vivendo emergenze complesse.

Per supportare il continente africano a far fronte alla pandemia, Abiy Ahmed, primo ministro etiope e recente vincitore del premio Nobel per la pace, ha invitato i paesi del G20 a estendere all’Africa un pacchetto di aiuti da circa 150 miliardi di dollari.

Nella Repubblica Democratica del Congo, dove i casi positivi di infezione da SARS-CoV-2 sono stati inizialmente confinati a Kinshasa, ora sono stati segnalati casi nelle regioni più orientali del Paese che fino a poco tempo prima erano in preda all’ultimo focolaio di ebola. Anche i contagi in Burkina Faso, Camerun e Senegal stanno crescendo.

È fondamentale che porti e aeroporti continuino a operare per ricevere cibo e altri beni umanitari essenziali, che confini e strade principali rimangano aperti in modo da garantire in modo sicuro gli spostamenti delle persone più vulnerabili. Nena News

Nena News Agency “CORONAVIRUS. Ghebreyesus: l’Africa non farà da cavia ad alcun vaccino” di Federica Iezzi


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Roma, 4 aprile 2020, Nena News

Zimbabwe – Il governo Mnangagwa ha dichiarato perplessità sulla decisione sconcertante della Casa Bianca di estendere le sanzioni contro i membri del governo del Paese sudafricano per violazione dei diritti umani.

Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni, comprese restrizioni finanziarie e di viaggio, nel 2003 contro l’allora presidente Robert Mugabe, membri della sua cerchia interna e compagnie statali per violazioni dei diritti e elezioni truccate.

La Casa Bianca ha dichiarato che, in seguito alla rimozione di Mugabe nel novembre 2017 e alle elezioni generali del luglio 2018, lo Zimbabwe ha avuto ampie opportunità di attuare riforme e aprire le porte a una maggiore cooperazione con gli Stati Uniti. E l’attuale amministrazione del presidente Emmerson Mnangagwa deve ancora segnalare una volontà politica credibile per attuare tali riforme.

Il governo dello Zimbabwe ha probabilmente accelerato la sua persecuzione nei confronti della critica e della cattiva gestione economica nell’ultimo anno, durante il quale le forze di sicurezza hanno condotto omicidi extragiudiziali, stupri e presunti rapimenti di numerosi dissidenti.

Lo scorso novembre, Hilal Elver, relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione, ha suggerito sanzioni economiche a Stati Uniti e Unione Europea contro funzionari ed entità legati al partito al governo dello Zimbabwe per presunti abusi. Elver ha affermato che il 60% della popolazione dello Zimbabwe, circa 14 milioni di persone, è considerata insicura dal punto di vista alimentare.

Uganda – La polizia ugandese ha arrestato Henry Tumukunde, generale in pensione futuro candidato alla presidenza, per sospetto tradimento.

La polizia ha dichiarato che Tumukunde, ex alleato del presidente di lunga data Yoweri Museveni ed ex ministro della sicurezza, è stato accusato di reclutare il sostegno del Rwanda per sostenerlo nel rimuovere l’attuale leadership.

Le relazioni tra Uganda e Rwanda sono rimaste tese per più di un anno a causa delle accuse di sostenersi a vicenda con i dissidenti.

L’Uganda dovrebbe tenere le nuove elezioni presidenziali all’inizio del prossimo anno.

Museveni, che è al potere dal 1986, è appoggiato dal partito al potere, il Movimento di Resistenza Nazionale, per candidarsi alla rielezione.

Il presidente è stato accusato dai critici del governo e dagli attivisti per i diritti umani di usare tattiche tra cui le intimidazioni da parte delle forze di sicurezza per mantenere la presa sul potere.

Uno dei suoi avversari sarà Bobi Wine, pop star ugandese e membro del Parlamento la cui ampia base di supporto tra i giovani ha alimentato la preoccupazione nel partito al governo e provocato una repressione a danno dei suoi sostenitori.

Repubblica Democratica del Congo – All’inizio di gennaio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che il numero di persone colpite dalla recente epidemia di morbillo nella Repubblica Democratica del Congo ha superato i 6.000 casi.

Ha aggiunto che l’infezione, che ha contagiato più di 310.000 persone dall’inizio del 2019, è la più grande e la più rapida al mondo. Secondo i dati di Medici Senza Frontiere, tre quarti dei decessi è riferibile a bambini.

Secondo l’OMS, circa l’86% dei bambini nel mondo ha ricevuto una dose di vaccino contro il morbillo entro il loro primo anno di vita. Di conseguenza, il numero di decessi per morbillo in tutto il mondo è diminuito del circa l’80% tra il 2000 e il 2017.

L’epidemia di morbillo sta devastando la Repubblica Democratica del Congo dal 2018. Questo pericoloso ritardo è stato in parte il risultato di un vuoto di potere politico post-elettorale nel Paese.

Da quando il nuovo presidente Felix Tshisekedi è entrato in carica all’inizio del 2019, dopo un’elezione controversa, ha iniziato a delineare le riforme politiche e le innovazioni di governance in vari settori e province.

Con il supporto di agenzie umanitarie, il governo del Paese ha vaccinato più di 18 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni nel 2019. Tuttavia, in alcune aree, la copertura vaccinale di routine rimane bassa.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Arrestato candidato presidenziale in Uganda, più di 6000 casi di morbillo in Congo” di Federica Iezzi


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#liveupdates #COVID19

Roma, 28 marzo 2020, Nena News – Dall’imposizione dei divieti di viaggio, al divieto di raduni di massa, alla chiusura delle scuole, i governi dell’intera Africa stanno adottando misure sempre più radicali nel tentativo di frenare la diffusione del nuovo coronavirus SARS-CoV-2.

Le mosse di emergenza seguono un preoccupante aumento del numero di infezioni registrate negli ultimi giorni in tutto il continente, dopo settimane di relativo silenzio, con pochi casi segnalati. Dai dati del WHO Regional Office for Africa (Oms/Afro), 41 Paesi africani hanno riportato un totale di più di 2.200 casi e almeno 40 decessi legati all’infezione da Covid-19. I pazienti guariti sono più di 70.

Tedros Adhanom Ghebreyesus, biologo etiope e direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha sottolineato che il numero di casi nel continente africano al momento attuale potrebbe essere sottostimato.

Le raccomandazioni erano già arrivate quando la Nigeria, il paese più popoloso del continente, aveva vietato completamente l’ingresso agli arrivi da tredici paesi colpiti gravemente dal contagio.

Sulla scia della Nigeria, numerosi altri Stati africani hanno adottato misure simili, soprattutto in relazione ai viaggi dall’Europa, attuale epicentro della pandemia. Hanno per esempio imposto periodi di quarantena obbligatoria dei passeggeri provenienti dalle regioni colpite. L’ampio e rapido aumento del numero di paesi coinvolti dall’infezione ha spinto alla chiusura dei confini e a misure di isolamento sociale, nel tentativo di rallentare la diffusione del virus.

Sebbene finora l’infezione da Covid-19 non abbia una terapia valida, vengono raccomandate una serie di azioni che possono minimizzare il rischio di infezione, incluso il lavaggio frequente e completo delle mani semplicemente con acqua e sapone.

Seguendo le richieste dell’Oms, i presidenti di Senegal e Ruanda, Macky Sall e Paul Kagame, hanno preso parte alla campagna sui social media #SafeHands per mostrare le corrette pratiche di lavaggio delle mani, nella prevenzione della diffusione del coronavirus. Altri leader africani, tra cui il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa e il presidente liberiano, George Weah, hanno esortato i loro cittadini a evitare strette di mano come saluto.

Già all’inizio dell’emergenza sanitaria, l’Oms aveva espresso profonda preoccupazione riguardo il rischio di diffusione del virus SARS-CoV-2 in paesi con sistemi sanitari più deboli, compresa l’Africa sub-sahariana, dove le scarse strutture sanitarie, la proliferazione dell’economia informale e l’affollamento urbano pongono ulteriori sfide negli sforzi per combattere i quadri infettivi.

La sensibilizzazione per diffondere le regole base contro il contagio, in contesti rurali e informali, è inadeguata. Negli slum delle grandi città africane molte persone sono costrette alla vita in piccoli spazi. La mancanza di acqua è la norma, quindi lavarsi le mani diventa un atto impraticabile. Inoltre, le persone devono andare a lavorare indipendentemente da sintomi o contatti.

Accanto ai divieti di viaggio imposti di recente, paesi come Senegal, Ruanda, Sudafrica, Kenya, Etiopia, Zambia e Tanzania sono tra quelli che hanno strutture scolastiche chiuse. La maggior parte dei paesi, tra cui Botswana, Ghana ed Etiopia, hanno vietato eventi sportivi. Altre nazioni come la Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda e il Ghana hanno anche vietato incontri nei luoghi di culto. Alcune aziende africane stanno incoraggiando le persone a lavorare da casa, ma ci sono paesi in cui sono presenti interruzioni di corrente anche di 18 ore.

Le lezioni apprese dalle precedenti emergenze sanitarie, incluso il devastante focolaio di ebola nel 2013-2016, che ha ucciso oltre 11mila persone nell’Africa occidentale, dovrebbero essere considerate in prima linea nella lotta contro il nuovo coronavirus. La prevenzione di un grande focolaio si basa sul contenimento dei casi importati e sul tentativo di fermare la trasmissione nella comunità.

Uno dei più forti miglioramenti visti rispetto all’epidemia di ebola nell’Africa occidentale iniziata nel 2013, è il coordinamento e il sostegno di WHO Regional Office for Africa, Africa Centers for Disease Control e West African Health Organizations.

In Senegal, al momento uno dei pochi paesi dell’Africa sub-sahariana che ha registrato una trasmissione locale del virus, il dipartimento di malattie infettive dell’Ospedale Universitario di Fann, ritiene vincente nella gestione del contagio una combinazione di capacità di laboratorio, direttive governative e popolazione aderente alle linee guida. Tuttavia, rimangono forti le preoccupazioni che vanno dalla capacità dei sistemi sanitari tesi a gestire un grave focolaio infettivo, alle sfide sull’assistenza all’infanzia, all’effetto delle restrizioni sulle economie locali in tutto il continente. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. 41 Paesi colpiti dal coronavirus” di Federica Iezzi

WHO – Regional Office for Africa


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Roma, 21 marzo 2020, Nena News

Sud Africa – Nel Sud Africa sono stati registrati solo poche decine di casi, tutti legati a viaggiatori internazionali. Il Sudafrica ha attualmente 240 casi confermati di COVID-19 e nessun decesso. Il Paese di circa 59 milioni di persone, negli ultimi giorni, un senso di insicurezza ha ampiamente travolto la popolazione.

Nel corso delle settimane si sono susseguite la chiusura delle scuole, l’imposizione di severe restrizioni di viaggio nazionali e internazionali e la chiusura di punti di ingresso. Trentacinque dei 53 punti di accesso alla terra sono stati chiusi, così come due porti su otto.

In un Paese con ancora gravi disparità, nelle aree molto povere, dove il sistema di sanità pubblica è estremamente carente, non ci sono posti per la quarantena. Cliniche e ospedali pubblici sono sovraffollati e insufficienti e spesso non riescono a far fronte all’elevata quantità di malattie trasmissibili e infettive.

Burkina Faso – Proprio come gran parte del resto del mondo, la pandemia di coronavirus sta alterando la quotidianità in Burkina Faso. Tutte le scuole e le università del Paese dell’Africa Occidentale rimarranno chiuse per il resto del mese. Il Burkina Faso ha finora registrato 40 casi di positività al COVID-19 e un decesso, ma le organizzazioni umanitarie temono che molti casi potrebbero non essere diagnosticati in un Paese il cui sistema sanitario è stato distrutto dai conflitti.

Nell’ultimo anno, gli scontri tra forze governative, gruppi armati legati all’ISIS e ad al-Qaeda hanno provocato oltre 2.000 morti in Burkina Faso e costretto oltre 700.000 persone a fuggire dalle loro case. Solo tre strutture sanitarie nel Paese sono attualmente in grado di eseguire i test per la rilevazione del coronavirus: due a Ouagadougou e uno a Bobo Dioulasso.

Il governo ha pubblicato il piano ufficiale di risposta e prevenzione contro il COVID-19 che comprende: vigilanza dei punti di ingresso, istituzione di squadre di intervento rapido, sistema di sorveglianza epidemiologica.

Kenya – Il Kenya ha presentato una serie di misure rigorose per frenare il coronavirus, bloccando l’ingresso nel Paese a tutti, tranne residenti e stranieri con permessi di residenza validi, e chiudendo le scuole. La condizione è che tutti gli ingressi nel Paese, negli ultimi 14 giorni, procedano in auto-quarantena o in una struttura di quarantena governativa.

Attualmente il Kenya conta 7 casi positivi al COVID-19 con nessun decesso correlato all’infezione. I primi casi includono due cittadini giapponesi e uno etiope. Tutti lavorano ad Addis Abeba e hanno avuto stretti contatti fra di loro.

L’Etiopia è un hub chiave nel continente, uno dei pochi paesi della regione a non implementare misure di controllo come bloccare i gli spostamenti aerei.

Nigeria – Il governo federale della Nigeria ha annunciato il divieto di ingresso dei viaggiatori provenienti da 13 Paesi come misura di controllo della pandemia di coronavirus. Attualmente i Paesi interessati includono Cina, Stati Uniti e Regno Unito. La Nigeria si unisce a un certo numero di regioni in tutto il continente che ha annunciato divieti di spostamenti in Paesi con elevati casi di COVID-19.

La Nigeria ha attualmente 12 casi positivi confermati, uno dei quali è stato dimesso dalle strutture ospedaliere.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Coronavirus, cresce il contagio in un continente in perenne emergenza sanitaria” di Federica Iezzi

COVID-19 Coronavirus outbreak


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Roma, 14 marzo 2020, Nena News 

Repubblica Democratica del Congo – L’ultimo paziente curato per ebola nella Repubblica Democratica del Congo è stato dimesso, ha dichiarato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, portando il focolaio di 19 mesi più vicino alla fine.

La dimissione del paziente da un ospedale nella città orientale di Beni ha segnato la prima volta che non ci sono stati casi attivi da quando l’epidemia è stata dichiarata nell’agosto 2018.

Da allora il virus ha ucciso oltre 2.200 persone e ne ha infettate quasi altre 1.200, rendendolo il secondo peggior focolaio di ebola nella storia. Solo l’epidemia del 2013-2016 in Africa occidentale è stata più mortale, uccidendo oltre 11.000 persone.

In Repubblica Democratica del Congo sono ormai trascorsi 14 giorni senza nuovi casi confermati. L’epidemia può essere dichiarata chiusa una volta trascorsi 42 giorni senza un nuovo caso, equivalente a due cicli di 21 giorni, periodo massimo di incubazione per il virus.

Togo – Aperti i seggi elettorali in Togo per le elezioni presidenziali che dovrebbero prolungare il potere di Faure Gnassingbe, dopo oltre mezzo secolo.

Analisti politici si aspettano che Gnassingbe vinca le elezioni, iniziate al primo turno. Anche se il Paese dell’Africa occidentale di circa otto milioni di persone, disdegna la dinastia di Faure Gnassingbe e di suo padre Eyadema Gnassingbe, che presero il potere in un colpo di stato del 1967.

L’elezione segue un rinnovamento costituzionale dell’anno scorso, non retroattivo, che limita i presidenti a due mandati quinquennali.

Più di 3,6 milioni di persone si sono registrate per votare in quelle che sperano possano essere elezioni legittime.

Il voto si tiene sullo sfondo dell’aumento dei prezzi dei beni di base, di sistemi sanitari deboli, di un settore dell’istruzione in cui gli insegnanti minacciano continuamente scioperi, dell’aumento della disoccupazione tra i giovani. Attualmente più della metà della popolazione vive sulla soglia della povertà, secondo l’African Development Bank.

Gnassingbe affronta sei rivali di un’opposizione divisa e storicamente debole, tra cui Jean-Pierre Fabre, ex giornalista e attivista per i diritti umani, che è arrivato secondo per numero di voti alle elezioni del 2010 e del 2015.

Se nessun candidato si assicura la maggioranza dei consensi, ci sarà un ulteriore voto il mese prossimo.

Sudan – Il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok è sopravvissuto a un tentativo di assassinio dopo un’esplosione vicino al suo convoglio nella capitale Khartoum.

“Quello che è successo non fermerà la strada del cambiamento, non sarà altro che un’ulteriore spinta nelle forti ondate della rivoluzione” ha commentato il primo ministro, economista e analista politico, mesi dopo che un movimento democratico ha costretto l’esercito a rimuovere l’ex presidente Bashar al-Bashir.

Falih Salih, ministro delle informazioni del Sudan, ha dichiarato che è in corso un’indagine per determinare i responsabili dell’attacco.

Il rovesciamento di al-Bashir lo scorso aprile è stato seguito da mesi di negoziati tra il movimento militare e quello democratico.

Le due parti hanno raggiunto un accordo di condivisione del potere lo scorso agosto che ha istituito un consiglio sovrano congiunto militare e civile, di 11 membri, che governerà il Sudan per i prossimi tre anni.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Presidenziali in Togo, nel Congo ebola quasi sconfitta” di Federica Iezzi


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#outbreak #COVID19

Roma, 7 marzo 2020, Nena News

Nigeria – Le autorità sanitarie in Nigeria stanno intensificando gli sforzi per rilevare e contenere i casi di contagio di coronavirus dopo che il Paese più popoloso dell’Africa ha confermato la sua prima infezione.

Un cittadino italiano che lavora in Nigeria è risultato positivo per il virus dopo il suo arrivo a Lagos da Milano, hotspot europeo del coronavirus. Da allora è stato isolato in un ospedale di Yaba e appare clinicamente stabile, secondo i funzionari sanitari.

I professionisti della sanità pubblica hanno espresso fiducia nella capacità del Paese dell’Africa occidentale di contenere la diffusione del virus. Hanno sottolineato le lezioni chiave nella risposta positiva al focolaio di ebola, più di cinque anni fa, e hanno evidenziato una serie di misure già messe in atto prima dell’arrivo del coronavirus.

Oltre a intensificare lo screening nei punti di ingresso, in particolare negli aeroporti, le autorità hanno dotato quattro laboratori dei test clinici specifici e ampliato le manovre di sorveglianza. Il Nigeria Centre for Disease Control sta sostenendo l’attivazione di centri operativi di emergenza, che fungeranno da piattaforme di coordinamento.

Il governo Buhari ha nel frattempo pubblicato un avviso di sanità pubblica per informare i cittadini nigeriani su sintomi e misure preventive e ha fornito un numero verde gratuito per l’orientamento.

La Nigeria è il primo Paese dell’Africa sub-sahariana a registrare un caso di infezione da COVID-19, che ha ucciso oltre 3.000 persone e infettato oltre 98.000 persone in tutto il mondo, con maggior prevalenza in Cina.

A metà febbraio, i ministri della Sanità degli stati dell’Economic Community of West African States (ECOWAS), si sono incontrati nella capitale del Mali, Bamako, per sviluppare un piano di preparazione regionale e rafforzare la collaborazione transfrontaliera, per promuovere diagnosi e contenimento rapidi.

La Nigeria ha combattuto focolai epidemici multipli. Alcune regioni dell’Africa occidentale condividono già una dolorosa esperienza nel tentativo di affrontare il grave focolaio di ebola che ha devastato la regione tra il 2013 e il 2016 e ha ucciso oltre 11.000 persone.

Nell’agosto dell’anno scorso, la Nigeria ha collezionato i primi tre anni di assenza da poliovirus e dovrebbe ricevere lo status di libertà da poliomielite nel giugno 2020. Un enorme traguardo dal 2012, quando ha registrato la metà di tutti i casi di polio in tutto il mondo.

Il Paese ha adottato varie misure per raggiungere questo obiettivo, in particolare stabilendo centri specialistici per rispondere alle epidemie di poliomielite e migliorare la collaborazione tra agenzie sanitarie e partner internazionali. Ha anche condotto una campagna di vaccinazione contro la poliomielite su larga scala che ha coinvolto volontari, gruppi di comunità, istituzioni religiose e tradizionali nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica.

Lo schema non è diverso per il coronavirus. La conferma del primo caso di COVID-19 arriva in un momento in cui la Nigeria sta ancora combattendo un focolaio di febbre di Lassa, che ha causato 118 morti dall’inizio dell’anno.

Con il programma Citizens Health Initiative Nigeria, ha preso il via una grande campagna per il diritto dei cittadini a un’assistenza sanitaria accessibile e di qualità, a una formazione continua della forza lavoro sanitaria coinvolta nella lotta alle epidemie, a un’educazione sanitaria aggressiva e intensiva sull’igiene respiratoria per impedire la diffusione dei virus.

L’arrivo del coronavirus a Lagos, una megalopoli sovraffollata di circa 20 milioni di abitanti, ha suscitato timori tra i residenti. Funzionari sanitari e professionisti della sanità pubblica hanno espresso preoccupazione per il fatto che le piattaforme online potrebbero innescare la nascita di disinformazione sulla malattia. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Coronavirus in Nigeria, già alle prese con la febbre Lassa” di Federica Iezzi

WHO “COVID-19 outbreak”


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Roma, 29 febbraio 2020, Nena News 

Etiopia – Il parlamento dell’Etiopia ha approvato una legge che punisce discorsi di odio e disinformazione con pesanti multe e lunghe pene detentive, nonostante gruppi di diritti affermino che mini la libertà di parola.

Quasi 300 legislatori hanno votato a favore del disegno di legge, con 23 voti contrari e due astensioni. I legislatori hanno affermato che la legge è necessaria perché le disposizioni legali esistenti non si occupano di discorsi di odio e disinformazione e hanno affermato che non pregiudicherà i diritti dei cittadini. Diversi legislatori che si sono opposti al disegno di legge hanno affermato che viola una garanzia costituzionale di libertà di parola.

La nuova legge prevede multe fino a 3.100 dollari e la reclusione fino a cinque anni per chiunque condivida o crei post sui social media che si ritenga possano causare violenza o disturbo dell’ordine pubblico.

L’Etiopia ha subito a volte violenze etniche mortali dal giugno 2018, poco dopo il primo ministro Abiy Ahmed ha annunciato ampie riforme politiche per le quali in seguito gli è stato assegnato il premio Nobel per la pace. Ahmed è stato elogiato per le riforme che hanno favorito un ambiente politico e mediatico più aperto. Ma i critici nazionali lo accusano di tendenze autoritarie, incluso il blocco degli avversari politici.

I gruppi per i diritti internazionali affermano che la legge attuale crea un mezzo legale per il governo per mettere a tacere gli avversari.

Lo scorso dicembre, Human Rights Watch aveva avvertito che la legge poteva ridurre significativamente la libertà di espressione nel Paese.

Burundi – Il principale partito di opposizione del Burundi, il National Congress for Liberty, ha scelto Agathon Rwasa come candidato per le elezioni presidenziali del prossimo maggio.

Per l’ex leader ribelle, oppositore politico e presidente uscente Pierre Nkurunziza, Rwasa è stato il principale candidato dell’opposizione già in due precedenti elezioni nel 2010 e nel 2015.

Nel 2015, la controversa decisione di Nkurunziza di cercare un terzo mandato ha fatto precipitare il Paese nella sua peggiore crisi dalla fine di una sanguinosa guerra civile un decennio prima, con gruppi per i diritti umani che manifestavano contro le violenze.

All’epoca, l’opposizione aveva accusato Nkurunziza di violare la costituzione cercando un altro termine.

Rwasa correrà nei prossimi sondaggi contro il generale dell’esercito Evariste Ndayishimiye, un alleato di Nkurunziza che è stato scelto il mese scorso dal partito al potere National Council for the Defense of Democracy-Forces for the Defense of Democracy (CNDD-FDD) come candidato.

Le Nazioni Unite hanno avvertito che le violazioni dei diritti umani potrebbero aumentare nuovamente prima delle elezioni.

Sud Sudan – I leader rivali nel Sud Sudan dilaniato da una guerra civile da anni, aspettano la formazione di un governo di unità nazionale.

Riek Machar, ex vice presidente e leader del Sudan People’s Liberation Movement-in-Opposition (SPLM-IO), ha espresso la sua insoddisfazione per la proposta di pace presentata dal suo rivale, l’attuale presidente del Paese Salva Kiir.

Kiir ha proposto un sistema di 10 stati, idea appoggiata da Machar, oltre a tre aree amministrative: Pibor, Ruweng e Abyei.

Finora il conflitto ha ucciso almeno 380.000 persone e costretto milioni di civili a lasciare le loro case, lasciando quasi metà del Paese in grave povertà.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Legge contro l’odio in Etiopia, in Sud Sudan non c’è intesa sul governo di unità nazionale”di Federica Iezzi


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Roma, 22 febbraio 2020, Nena News 

Namibia – La Corte Suprema della Namibia ha confermato i risultati delle elezioni presidenziali dello scorso anno, affermando che l’opposizione non è riuscita a dimostrare che il partito al governo avrebbe manipolato il voto elettronico.

La sentenza significa che il presidente Hage Geingob continuerà il suo secondo mandato. Ha vinto a novembre con il 56% dei voti, mentre il primo candidato presidenziale indipendente della Namibia, Panduleni Itula, ha ricevuto il 29% dei consensi.

Itula e quattro leader del partito di opposizione hanno poi richiesto di dichiarare invalidi i risultati elettorali elettronici e ordinare un nuovo voto.

In ogni caso, il giudice supremo Peter Shivute ha dichiarato che l’uso del voto elettronico, senza una traccia cartacea, come deciso prima delle elezioni del 2014 nella nazione sudafricana, non sarà più valido. Le elezioni future dunque dovranno ora includere una traccia cartacea verificabile.

Camerun – Sondaggi chiusi alle elezioni parlamentari e municipali, a lungo ritardate in Camerun, tenute per la prima volta in sette anni tra preoccupazioni in materia di sicurezza e divisione politica.

I sondaggi di domenica hanno visto una bassa affluenza di elettori nelle regioni a nord-ovest e sud-ovest di lingua inglese, epicentro della violenza separatista che ha provocato lo spostamento di centinaia di migliaia di persone.

Continuano gli scontri nella roccaforte ribelle nelle regioni nord-occidentali, anche se i combattimenti si svolgono quasi quotidianamente in entrambe le regioni di lingua inglese al confine con la Nigeria.

Nelle regioni di lingua francese del Paese, invece, il voto è proseguito normalmente. Le elezioni si sono svolte con una forte presenza militare.

Il Cameroon People’s Democratic Movement (RDPC), che sostiene il presidente Biya, dovrebbe mantenere la maggioranza in parlamento.

Il principale partito di opposizione, il Movement for the Rebirth of Cameroon (MRC), ha rifiutato di schierare un singolo candidato dopo che il suo leader, Maurice Kamto, che ha trascorso nove mesi in prigione dopo la sua sconfitta alle elezioni presidenziali del 2018, ha chiesto un boicottaggio delle elezioni.

Anche il Social Democratic Front (SDF) ha preso parte ai sondaggi.

Repubblica Democratica del Congo – L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha esteso la copertura d’emergenza globale per l’epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo.

Finché esiste un singolo caso di ebola in un’area insicura e instabile come le aree orientali del Paese, il potenziale per un’epidemia rimane molto più ampio.

Con le aspettative legate al nuovo vaccino, lo stato di emergenza potrebbe essere revocato entro i prossimi tre mesi su consiglio del WHO’s Emergency Committee of International Experts.

Affinché l’epidemia sia dichiarata conclusa, non devono essere segnalati nuovi casi per 42 giorni, il doppio del periodo di incubazione.

L’OMS lo scorso luglio ha dichiarato l’epidemia di ebola una emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale, una designazione che conferisce all’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite maggiori poteri per limitare i viaggi e aumentare i finanziamenti.

Il recente focolaio di ebola è stato identificato per la prima volta nell’agosto 2018 e da allora ha ucciso oltre 2.300 persone nella Repubblica Democratica del Congo. Questo è il secondo peggior focolaio della malattia dal 2014, quando hanno perso la vita circa 11.000 persone, principalmente in Guinea, Liberia e Sierra Leone.

Gli sforzi per contenere l’attuale focolaio sono stati ostacolati da attacchi a operatori sanitari e conflitti nell’est del Paese. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Ebola in Congo, sconfitta l’opposizione alle presidenziali in Namibia” di Federica Iezzi


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Roma, 8 febbraio 2020, Nena News

Malawi – Il presidente del Malawi Peter Mutharika ha in programma di contestare la decisione di un tribunale di rovesciare la sua ultima vittoria elettorale nel 2019, con una mossa che potrebbe portare a nuove proteste dell’opposizione.

Mutharika è stato dichiarato vincitore alle elezioni dello scorso maggio con il 38,5% dei voti, seguito da Lazarus Chakwera, con il 35%, e l’ex vicepresidente Saulos Chilima, con il 20%.

Dopo sei mesi di audizioni che hanno bloccato il paese, cinque giudici hanno decretato che la vittoria alle elezioni presidenziali di Mutharika non è stata “debitamente integra”, citando irregolarità enormi, sistematiche e diffuse.Il presidente ha fino a sei settimane per fare appello.

Dall’annuncio dei risultati elettorali, il Malawi è entrato in un turbine di proteste per chiedere le dimissioni di membri senior della commissione elettorale per presunta cattiva gestione del voto.

Dopo la sentenza, la Human Rights Defenders Coalition, che aveva contribuito a organizzare le proteste, ha minacciato di riprendere le manifestazioni pacifiche a meno che non ci fossero immediati cambiamenti nel corpo elettorale.

I due contendenti hanno chiesto al tribunale di annullare i risultati, sostenendo diverse irregolarità. Il tribunale ha affermato che solo il 23% dei risultati è stato verificato e che il risultato annunciato dalla commissione elettorale non può essere considerato come un vero riflesso della volontà degli elettori.

È la prima volta che un’elezione presidenziale è stata contestata per motivi legali in Malawi dall’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1964. Rimane il secondo voto africano annullato, dopo il voto presidenziale del Kenya del 2017.

Sudafrica – Un tribunale sudafricano ha emesso un mandato di arresto per l’ex presidente Jacob Zuma, a causa della non comparsa a un’udienza preliminare per un caso di corruzione, per necessità di cure mediche presso un ospedale militare.

L’ex leader è sotto processo con 18 accuse di frode, racket e riciclaggio di denaro pubblico relativo a un accordo militare da due miliardi di dollari con la società di difesa francese Thales nel 1999, quando Zuma era vicepresidente. È accusato di aver accettato 34mila dollari ogni anno da Thales dal 1999, in cambio della protezione della società da un’indagine sull’accordo.

Zuma, presidente dal 2009 al 2018, aveva precedentemente richiesto una sospensione permanente del procedimento, ma il tribunale di Pietermaritzburg ha respinto il suo appello lo scorso novembre.

La National Prosecuting Authority (Npa) aveva presentato le accuse contro Zuma ben dieci anni fa, ma le ha messe da parte poco prima che si candidasse con successo alla presidenza nel 2009. A seguito degli appelli e delle pressioni esercitate dai partiti dell’opposizione, l’Npa ha ripristinato le accuse nel marzo 2018.

Sahel – La Francia ha dichiarato che rafforzerà la sua presenza militare nel Sahel aggiungendo 600 truppe alla sua operazione di 4.500 in Mali e in altri quattro paesi della regione.

Il ministro della difesa francese Florence Parly ha dichiarato che la maggior parte dei rinforzi sarebbe stata dispiegata entro la fine di febbraio nella zona di confine tra Mali, Burkina Faso e Niger per contrastare la crescente violenza perpetrata da gruppi armati.

Il rafforzamento dovrebbe consentire alle truppe di aumentare la pressione contro l’Isis-Great Sahara. Un’altra parte di questi rinforzi, invece, sarà direttamente impegnata all’interno delle forze del Sahel G5 (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad).

Negli ultimi mesi un aumento della violenza nella regione, dove sono attivi più gruppi armati, ha alimentato una sensazione di maggiore insicurezza tra i locali.

Il mese scorso l’inviato delle Nazioni Unite per l’Africa occidentale ha dichiarato al Consiglio di sicurezza che gli attacchi sono aumentati di cinque volte in Burkina Faso, Mali e Niger dal 2016. Nel 2019 sono stati registrati oltre 4mila morti. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. In Malawi annullata la vittoria di Mutharika sei mesi dopo” di Federica Iezzi


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Roma, 1 febbraio 2020, Nena News

Nigeria – Le autorità nigeriane hanno annunciato un aumento delle misure di emergenza per contenere l’ultimo focolaio di febbre emorragica di Lassa nel paese dell’Africa occidentale, a seguito della morte di 29 persone nell’ultimo mese. Attualmente 195 casi confermati e 29 decessi sono stati segnalati in undici aree nigeriane, secondo il Nigeria Centre for Disease Control (Ncdc).

La febbre di Lassa è una febbre emorragica virale, appartenente alla stessa famiglia dei virus Ebola e Marburg. La malattia è endemica nel paese dell’Africa occidentale e il suo nome deriva dalla città di Lassa, nel nord della Nigeria, dove è stata identificata per la prima volta nel 1969.

In precedenza, sono stati segnalati casi di infezione in Sierra Leone, Liberia, Togo e Benin, che hanno ucciso almeno nove persone nel 2016.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il farmaco antivirale ribavirina sembra rappresentare un trattamento efficace per la febbre di Lassa, se somministrata precocemente nel corso dell’infezione. Il numero di infezioni da febbre di Lassa in Africa occidentale ogni anno è compreso tra 100mila e 300mila, con circa 5mila decessi, secondo gli US Centers for Disease Control and Prevention (Cdc).

Burundi – Il partito al governo del Burundi, il Cndd-Fdd (Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia – Forze per la Difesa della Democrazia), ha dichiarato che il segretario generale Evariste Ndayishimiye sarà il prossimo candidato alle elezioni presidenziali del paese, previste per il prossimo maggio.

Alleato di Pierre Nkurunziza, attuale presidente della Repubblica, Ndayishimiye, 52 anni, oggi dirige il dipartimento degli affari militari nell’ufficio del presidente ed è stato ministro dell’interno e della sicurezza.

Nkurunziza, entrato in carica nel 2005, ha annunciato a giugno che non correrà per la rielezione. Il partito al potere Cndd-FDd ha accolto la sua decisione di dimettersi, conferendogli il titolo di Guida Suprema del Patriottismo, con allegata ingente somma di denaro pubblico.

L’importo è una fortuna in Burundi, dove oltre il 65% della popolazione vive in condizioni di povertà e dove il 50% del paese è insicuro dal punto di vista alimentare, secondo il World Food Programme.

Rwanda – I bambini di strada nella capitale del Ruanda, Kigali, sono stati arbitrariamente detenuti e sottoposti ad abusi nel centro di detenzione Gikondo Transit Center, secondo Human Rights Watch (Hrw). Johnston Busingye, ministro della giustizia ruandese, ha prontamente negato le accuse dichiarate nel rapporto di Hrw, descrivendo Gikondo come un centro di riabilitazione, istituito per fornire ai bambini competenze e protezione.

Le interviste segnalate nel report di Hrw parlano di condivisione di materassi e coperte, infezioni e parassitosi da sporadico accesso a cure mediche. Inoltre i bambini sono spesso trattenuti a Gikondo senza supervisione giudiziaria, processo adeguato e accesso a un avvocato, tutore o familiare.

In base alla legislazione ruandese introdotta nel 2017, gli individui che mostrano comportamenti devianti come la prostituzione, l’uso di droghe, l’accattonaggio, il vagabondaggio e il commercio ambulante informale possono essere trattenute nei centri di transito per un massimo di due mesi, senza ulteriori giustificazioni legali o supervisione.

Secondo la legge, dunque, i centri di transito sono locali utilizzati per ospitare in via temporanea individui che hanno poi diritto ad essere trasferiti in centri di riabilitazione.

Nel suo rapporto, Hrw ha esortato l’United Nations Committee on the Rights of the Child alla revisione e al rispetto della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che il Ruanda ha ratificato nel 1991, chiedendo l’immediata chiusura del centro. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. HRW: in Rwanda abusi sui bambini nei centri di riabilitazione” di Federica Iezzi


AWARD WINNER: Pulitzer for Feature Photography

Roma, 25 gennaio 2020, Nena News 

Isole Comore – Secondo i risultati ufficiali, il partito del presidente delle Isole Comore, Azali Assoumani, ha conquistato la vittoria in un’elezione parlamentare boicottata dall’opposizione.

Il partito Convention for the Renewal of the Comoros, ha vinto 17 seggi legislativi su 24, mentre altri due seggi sono andati ai partiti della coalizione presidenziale.

Una seconda tornata di votazioni si svolgerà il 23 febbraio per assegnare i restanti cinque seggi, ha reso noto la commissione elettorale.

I partiti di opposizione hanno affermato che l’affluenza alle urne è stata di circa il 10%, respingendo la stima dichiarata dell’organo elettorale del 61,5%. Le Comore hanno avuto una storia politica instabile dall’indipendenza del 1975, subendo più di 20 tentativi di colpo di stato, quattro dei quali hanno avuto successo. Lo stesso Azali inizialmente è salito al potere con un colpo di stato, poi ha governato tra il 1999 e il 2006. È stato rieletto nel 2016 con un voto segnato dalla violenza e dalle accuse di irregolarità.

Angola – Le autorità angolane stanno lavorando per riportare in patria Isabel dos Santos, la figlia miliardaria dell’ex presidente del Paese.

La dos Santos ha lasciato l’Angola dopo che suo padre Jose Eduardo dos Santos, che ha governato il Paese per quasi 40 anni, si è dimesso nel 2017 ed è stato sostituito da Joao Lourenco.

La 46enne dos Santos, che è attualmente divisa tra Londra e Dubai, ha respinto le accuse mosse contro di lei di essersi appropriata di fondi governativi.

Le osservazioni sono arrivate dopo la lettura di centinaia di migliaia di file, soprannominati “Luanda Leaks”, che documentano il trasferimento di ingenti somme di beni materiali all’estero.

Dos Santos è stata nominata la prima miliardaria femminile africana nel 2013 da Forbes, che stima la sua ricchezza attuale a oltre due miliardi di euro.

Il mese scorso i pubblici ministeri hanno congelato i conti bancari e le partecipazioni di proprietà della donna d’affari e del marito congolese-danese Sindika Dokolo, una mossa che dos Santos ha descritto come motivata da una vendetta politica infondata.

Etiopia – I recenti combattimenti tra forze statali e gruppi armati nella regione di Oromia in Etiopia hanno portato a sfollamenti interni nella regione più grande e popolosa del Paese. Secondo i dati delle Nazioni Unite il maggior numero di sfollati sarebbero nell’area di Guji.

Gli sfollati interni sono stati ri-allocati nella città di Darme, a circa 200 chilometri da Neghelle, città nell’Etiopia del sud-est.

Nel corso del 2019 si sono verificati frequenti episodi di violenza intercomunitaria, nonché scontri tra forze governative e gruppi armati non identificati.

Mentre eventi violenti sono stati registrati in tutte le regioni del paese, la maggior parte delle ostilità si è verificata nell’Oromia occidentale e meridionale. L’esercito nazionale è stato schierato per far fronte alla situazione della sicurezza in alcune aree dell’Oromia dopo che un certo numero di funzionari statali regionali sono stati uccisi da gruppi armati.

La sicurezza è stata una questione chiave per le imminenti elezioni nazionali nel Paese. Analisti e osservatori politici hanno avvertito il governo di garantire una sicurezza duratura prima e dopo le elezioni che sono considerate un severo test per il Primo Ministro Abiy Ahmed.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Combattimenti in Etiopia, legislative boicottate dall’opposizione alle Isole Comore” di Federica Iezzi


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Roma, 18 gennaio 2020, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – Solo dall’inizio dell’anno, le morti nella prigione centrale di Makala, nella capitale della Repubblica Democratica del Congo, Kinshasa, sono arrivate a undici.

Ormai è cronica la mancanza di farmaci e risorse.

Il portavoce dell’associazione ‘Fondation Bill Clinton pour la paix’ (FBCP), Emmanuel Cole, particolarmente attiva nelle prigioni del Paese, riferisce che dallo scorso ottobre, lo stato non ha erogato fondi per fornire alla prigione farmaci di base e cibo.

Secondo il Ministro della Giustizia Celestin Tunda Ya Kasende, ci sarebbe un ritardo nel pagamento ai commercianti, causa dell’interruzione delle forniture.

Il carcere di Makala è il più grande della capitale e ospita circa 9000 detenuti in una struttura di epoca coloniale con una capacità massima prevista di 1.500, secondo i dati ufficiali.

Sono in corso lavori per rinnovare almeno tre ali della grande prigione, ma l’attività ha costretto i detenuti a vivere in condizioni sempre più anguste e malsane.

Della popolazione di reclusi a Makala, solo 500 sono stati processati e condannati.

Sudan – Per la prima volta dall’inizio del conflitto avuto inizio nel 2011, sono approdati nella città di Kauda, nello stato del Sud Kordofan, i rappresentanti del governo di transizione del Sudan, guidati dal Primo Ministro Abdalla Hamdok, nonché diplomatici e rappresentanti di organizzazioni umanitarie.

Kauda, ​​circondata dalle montagne di Nuba, è una roccaforte del movimento popolare ribelle Sudan’s People Liberation Movement-North (SPLM-N), guidato da Abdelaziz al-Hilu, e composto principalmente da combattenti del sud, militanti degli stati del Kordofan meridionale e del Nilo azzurro.

In seguito, mentre il Sud Sudan, che ha ottenuto uno status semi-autonomo, e quindi il diritto a un referendum per l’indipendenza, a seguito di un accordo strappato nel 2005, Kordofan meridionale e Nilo azzurro hanno ottenuto solo una consultazione popolare.

Le tensioni nelle due aree hanno raggiunto il picco nel 2010 durante le elezioni nazionali e governative. Al-Hilu, che correva per il governatorato per il SPLM-N, criticava le politiche di Ahmed Haroun, allora governatore in carica. Haroun fu poi accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella regione occidentale del Darfur.

Il dittatore Omar al-Bashir bloccò gli aiuti sanitari e umanitari nelle aree controllate dal gruppo SPLM-N. Si contano ancora più di 100.000 sfollati interni nel Sud Kordofan.

Nell’ottobre dello scorso anno grazie ad un’azione del World Food Program, si è aperto ufficialmente un corridoio umanitario su Kauda, dopo bollenti colloqui con il governo Hamdok, subentrato al presidente al-Bashir.

Guinea Conakry – La Nazione dell’Africa occidentale è stata investita da manifestazioni anti-governative da metà ottobre, a causa del sondaggio parlamentare, con il quale l’attuale presidente Alpha Conde cercherà di estendere il suo mandato costituzionale.

Conde il mese scorso ha pubblicato un progetto di costituzione, sostenendo che le leggi dell’era coloniale del Paese devono essere modificate. Ma i critici sono convinti che abbia intenzione di usare la riforma per rimanere in carica oltre i due termini presidenziali attualmente previsti dalla costituzione.

I gruppi di opposizione stanno continuando ad organizzare cortei di protesta, aumentando i timori di un nuovo giro di violenza.

La risposta non tarda ad arrivare nel formato di un comunicato governativo, secondo cui ‘i poteri statali saranno esercitati con tutto il loro rigore nei confronti di coloro che cercano di turbare l’ordine pubblico e di negare ad altri guineani il libero esercizio dei loro diritti fondamentali’. Intanto, almeno 20 persone sono state uccise in scontri con le forze di sicurezza da quando le proteste di massa sono iniziate nell’ottobre dello scorso anno. Centinaia i feriti e i detenuti. Il divieto generale di protesta, l’arresto arbitrario dei leader della società civile e la violenta dispersione di manifestanti dimostrano che il governo è pronto a calpestare i diritti umani per reprimere il dissenso.

Secondo l’attuale costituzione della Guinea, affinché un leader possa modificare la costituzione per consentirgli di cercare un ulteriore mandato in carica, la maggioranza dei due terzi in parlamento deve approvare l’emendamento. Attualmente, il partito guidato da Conde, il Rassemblement du peuple de Guinee, detiene solo una maggioranza ristretta. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Morti nella prigione di Kinshasa, proteste anti-governative in Guinea Conakry” di Federica Iezzi


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Roma, 11 gennaio 2020, Nena News

Guinea Bissau – Con il 53% dei voti il leader dell’opposizione della Guinea-Bissau, Umaro Cissoko Embalo, ex primo ministro del Paese, ha vinto il ballottaggio alle recenti elezioni presidenziali.

Secondo i dati diffusi dalla National Electoral Commission (Cne), il suo maggior rivale Domingos Simoes Pereira, capo del gruppo al potere Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde (Paigc), ha guadagnato il 46% dei consensi.

Il Cne ha calcolato un’affluenza alle urne durante il ballottaggio del 72%, percentuale simile al primo turno di votazione dello scorso 24 novembre, che Pereira vinse con il 40% dei voti contro il 28% di Embalo.

Nato nella capitale Bissau, Embalo è un membro dell’etnia Fulani. Laureato in scienze sociali e politiche, seguite in Spagna e in Portogallo, ha cercato il ritiro anticipato dall’esercito negli anni ’90 e ha lanciato un fondo di investimento istituito dall’allora governo libico.

Algeria – L’Algeria ha rilasciato importanti figure della protesta antigovernativa, tra cui il noto veterano di guerra per l’indipendenza Lakhdar Bouregaa.

Arrestato nella sua casa nella capitale Algeri, lo scorso giugno, per aver preso parte a un piano per indebolire l’esercito con l’obiettivo di danneggiare la difesa della nazione, secondo i media locali, Bouregaa è stato liberato dal carcere di Algeri dove era stato detenuto per sei mesi.

Bouregaa era un comandante dell’esercito di liberazione nazionale che ha combattuto il dominio coloniale francese.

Fondatore nel 1963 del Front des Forces socialistes, uno dei più vecchi partiti di opposizione dell’Algeria, prima del suo arresto Bouregaa aveva preso parte alle manifestazioni che hanno scosso l’Algeria dallo scorso febbraio, inizialmente contro il quinto mandato presidenziale di Bouteflika e poi contro l’intero establishment.

Tra gli altri detenuti liberati su cauzione il generale in pensione Hocine Benhadid, capo del gruppo National Committee for the Liberation of Prisoners.

Circa 180 manifestanti, attivisti e giornalisti sono stati arrestati durante le proteste della Revolution of Smiles o Hirak Movement.

Alcuni sono stati assolti, spesso dopo mesi di detenzione preventiva. Altri sono stati condannati per aver attaccato l’integrità del territorio. Circa 140 altri rimangono tuttora in carcere, sia condannati che in attesa di giudizio.

Somalia – Le forze governative della Somalia hanno arrestato un numero record di giornalisti nel 2019. Secondo i dati compilati da Abdalle Ahmed Mumin, segretario generale del Somali Journalists Syndicate (Sjs), lo scorso anno le forze di sicurezza dello stato hanno arrestato 38 giornalisti.

Sono stati picchiati e minacciati sotto l’intimidazione di armi da fuoco. Questo in confronto ai 16 giornalisti detenuti nel 2017, ai 12 nel 2016 e ai sei nel 2015.

I giornalisti sono stati banditi dal parlamento e ignorati dai portavoce che hanno semplicemente rilasciato dichiarazioni ufficiali sui social media. I legislatori stanno inoltre prendendo in considerazione un disegno di legge per limitare ulteriormente la libertà dei media.

Uganda – La polizia in Uganda ha arrestato il leader dell’opposizione Robert Kyagulanyi, in arte Bobi Wine, e ha sparato gas lacrimogeni per disperdere i suoi sostenitori durante le prime manifestazioni pubbliche in vista delle elezioni del prossimo anno.

Bobi Wine, cantante pop prestato alla politica, particolarmente popolare tra i giovani ugandesi, avrebbe dovuto iniziare la scorsa settimana una serie di consultazioni prima del sondaggio presidenziale del 2021.

Le accuse dell’arresto, ancora in fase di analisi, sarebbero quelle di tenere un’assemblea illegale e di fomentare la disobbedienza riguardo le campagne elettorali.

Duro contro le politiche del presidente Yoweri Museveni da molto tempo, Bobi Wine è già stato arrestato diverse volte e ha subito numerosi tentativi di blocco dei suoi concerti da quando è stato eletto parlamentare nel 2017.

Lo scorso dicembre ha presentato ufficialmente i piani dei suoi eventi alla Commissione elettorale, rispettando anche il Public Order Management Act 2013.

Human Rights Watch ha criticato la legge elettorale ugandese in quanto garantisce alla polizia ampi poteri discrezionali sul contenuto e sulla gestione delle riunioni pubbliche dei candidati. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. L’Algeria libera Bouregaa, l’Uganda arresta Bobi Wine” di Federica Iezzi


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Sud Sudan – 2011

Le celebrazioni sono scoppiate a mezzanotte. Migliaia di manifestanti si sono riversati nelle strade di Juba nelle prime ore del mattino, issando enormi bandiere per festeggiare la nascita di una nuova Nazione. Era il 9 luglio del 2011.

Dopo più di cinquant’anni di guerriglia e due milioni di vite perse, la Repubblica del Sud-Sudan, il 54° stato dell’Africa, ha dunque ufficialmente dichiarato la propria indipendenza.

Dalla metà degli anni ’50, anche prima che il Sudan si liberasse dal suo giogo coloniale, i sudanesi del sud cercavano maggiori diritti. La lotta del Sud Sudan scoppiò in una vera e propria ribellione negli anni ’60, poi ripresa di nuovo negli anni ’80. Il governo sudanese rispose brutalmente, bombardando villaggi e scatenando milizie arabe che massacrarono civili e ridussero in schiavitù i minorenni.

I gruppi cristiani hanno storicamente difeso il Sud Sudan. Il governo americano ha spinto i ribelli del sud e il governo centrale a firmare un accordo di pace globale che garantisse ai meridionali il diritto alla secessione.

Egitto – 2012

Per il grande paese africano il decennio appena terminato è coinciso con eventi di portata eccezionale e, purtroppo, costati la vita a migliaia di persone. Il primo all’inizio del 2011 è stato la caduta del regime di Hosni Mubarak, presidente da trent’anni e leader del Partito Nazionale Democratico, avvenuta con quella che è passata alla storia come la ‘Rivoluzione del 25 gennaio’. Violenti scontri tra forze di sicurezza e manifestanti provocarono la morte di almeno 800 persone e oltre 6.000 feriti. La lotta dei manifestanti egiziani si concentrò su questioni legali e politiche, brutalità della polizia, leggi sullo stato di emergenza, mancanza di libertà politica, libertà civile, libertà di parola, corruzione, alto tasso di disoccupazione, inflazione e salari bassi.

Andati al potere, con le elezioni, i Fratelli musulmani, le proteste degli egiziani non-sostenitori del movimento islamista, si concentrarono contro il nuovo presidente Mohamed Morsi. Il 22 novembre 2012, milioni di manifestanti iniziarono a protestare contro Morsi, dopo che il suo governo aveva annunciato una dichiarazione costituzionale temporanea che avrebbe garantito al presidente poteri illimitati. A capo delle manifestazioni, organizzazioni e figure dell’opposizione egiziana, principalmente liberali, di sinistra, laici e cristiani. Le dimostrazioni provocarono violenti scontri con decine di morti e centinaia di feriti. Numerosi consiglieri di Morsi diedero le dimissioni in segno di protesta e anche molti giudici manifestarono la propria opinione contro le azioni del presidente.

A dicembre del 2012, Morsi annullò il decreto temporaneo che aveva ampliato la sua autorità presidenziale e rimosso la revisione giudiziaria dei suoi decreti. Ma il suo destino sarebbe stato segnato dal colpo di stato militare. Il 30 giugno 2013, primo anniversario della sua elezione, milioni di oppositori si radunarono in piazza Tahrir e fuori dal palazzo presidenziale, nel sobborgo di Heliopolis, chiedendo le dimissioni del presidente. Il 3 luglio 2013 le forze armate egiziane entrarono in azione mettendo fine alla sua presidenza e diedero vita ad una feroce repressione dei sostenitori del presidente islamista.

Sud Africa – 2013

A 95 anni, il 5 dicembre 2013, muore Nelson Mandela. Leader dei diritti civili, leader politico e simbolo di integrità e riconciliazione, dopo un periodo di quasi tre anni in prigione diventa presidente del Sud-Africa.

La sua missione permanente di porre fine all’apartheid è iniziata quando ha lasciato presto la scuola per unirsi all’African National Congress (ANC). Fu nel 1960 che gli sforzi di Mandela divennero più militanti, scatenati quando la polizia aprì il fuoco su un gruppo di manifestanti disarmati nella cittadina di Sharpeville, uccidendo 69 persone.

Poco dopo, l’ANC fu considerato fuorilegge, ma ciò non fermò Mandela che continuò la sua lotta non armata a fianco dell’organizzazione la ‘Umkhonto we Sizwe’ (lancia della nazione).

In qualità di presidente, dal 1994, Mandela ha introdotto innovativi programmi sociali ed economici e ha presieduto l’emanazione di una nuova costituzione che ha istituito un forte governo centrale e vietato la discriminazione razziale.

Guinea Conakry, Sierra Leone, Liberia – 2014

Il 30 dicembre del 2015 è stata dichiarata libera dal focolaio di ebola, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la Guinea Conakry. Nel corso del 2016 vengono dichiarati spenti anche gli ultimi focolai di ebola in Liberia e Sierra Leone.

E’ stata la fine di una delle più aggressive epidemie del virus ebola in Africa occidentale, che ha contato 28.657 casi conclamati e 11.325 morti. L’ebola ha lasciato orfani circa 6.200 bambini solo in Guinea Conakry.

Il focolaio infettivo è iniziato a Gueckedou, nella Guinea orientale, prima di diffondersi violentemente in Liberia, Sierra Leone e altri sette Paesi limitrofi. La costruzione di sistemi di assistenza sanitaria resilienti, la ferrea vigilanza e la rapidità di risposta sono stati i punti chiavi per sottomettere l’infezione.

Etiopia – 2015

El Niño colpisce le regioni settentrionali dell’Africa orientale con una crescente intensità. L’aumentato rischio di siccità seguito da inondazioni nelle aree fluviali è risultato strettamente correlato alle anomalie climatiche.

I forti eventi di El Niño hanno causato un’importante riduzione nella produzione agricola. Inoltre, l’impatto della variabilità climatica sullo stoccaggio delle acque sotterranee, ha ricevuto ancora una volta un’attenzione limitata, nonostante la diffusa dipendenza da queste come risorsa di acqua potabile e come elemento cruciale in agricoltura e industria.

Il Paese più colpito rimane l’Etiopia con una drammatica siccità che ha costretto 18 milioni di persone alla dipendenza da aiuti umanitari, secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

Rwanda – 2018

Firmato nella capitale rwandese Kigali, il 21 marzo 2018, l‘African Continental Free Trade Agreement (AfCFTA). Con l’accordo, tenacemente mediato dall’Unione Africana, nasce una zona di libero scambio tra 44 Paesi africani.

L’accordo prevede che i membri riducano le tariffe doganali del 90%, consentendo il libero accesso a merci e servizi in tutto il continente. La Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (UNECA) ha stimato che l’accordo aumenterà il commercio intra-africano del 52% entro il 2022.

Algeria – 2019

Iniziato il 16 febbraio 2019, sei giorni dopo che Abdelaziz Bouteflika ha annunciato la sua candidatura per un quinto mandato presidenziale, il movimento Revolution of Smiles o Hirak Movement, ha inondato di proteste e manifestazioni le strade algerine.

Queste proteste, senza precedenti dalla guerra civile algerina, sono state pacifiche e hanno portato i militari algerini a insistere sulle dimissioni immediate di Bouteflika, che hanno effettivamente avuto luogo il 2 aprile 2019.

Le crescenti tensioni all’interno del regime algerino possono essere ricondotte all’inizio del dominio di Bouteflika, che è stato caratterizzato dal monopolio dello stato sulle entrate delle risorse naturali utilizzate per finanziare il sistema di clientela del governo e garantirne la stabilità.

Le autorità algerine hanno arrestato decine di attivisti del Mouvement pour la démocratie en Algérie dal settembre 2019. Molti rimangono tuttora detenuti con vaghe accuse.

Presi di mira anche i giornalisti che hanno documentato le proteste. I rapporti della polizia negli archivi giudiziari mostrano che la Brigade de Recherche et Investigation, ha monitorato le attività sui social media di alcuni leader del movimento, presentandole come crimini elettronici ai danni della sicurezza dello stato o dell’unità nazionale.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Un decennio colmo di avvenimenti” di Federica Iezzi


Sudan - Al-Jazeera

Roma, 21 dicembre 2019, Nena News Agency

Sudan – Lo scorso settembre ha prestato giuramento il primo gabinetto ministeriale, dopo l’allontanamento del presidente di lunga data Omar al-Bashir.

Il raggiungimento della pace nelle aree di conflitto in Sudan e il miglioramento dell’economia erano tra le priorità principali del nuovo governo, in carica da ormai 100 giorni.

Il popolo sudanese sembra essere diviso tra elogiare il governo per i risultati raggiunti finora e criticarlo per non essersi mosso abbastanza velocemente su alcune questioni.

Le richieste di responsabilità da parte del governo, dall’inizio della rivoluzione, sono diventate più forti a seguito dell’attacco mortale del 3 giugno scorso contro un sit-in pro-democrazia, nel quartier generale dell’esercito a Khartoum.

Almeno 120 manifestanti sono stati uccisi, spingendo più richieste di giustizia per presunti crimini commessi dal 1989, quando il governo di al-Bashir è salito al potere.

Il primo ministro Abdalla Hamdok ha formato un comitato per esaminare le accuse di abuso dei diritti umani e un organo separato per indagare sull’attacco del 3 giugno.

Alcuni funzionari dell’ex partito al potere sono tuttora in prigione e l’ex presidente al-Bashir è stato condannato a due anni in un centro di riabilitazione per corruzione.

Per la prima volta da quando è iniziata la guerra nel Blue Nile nel 2011, gli aiuti umanitari hanno raggiunto Yabous, un’area controllata dall’opposizione armata Sudan’s People Liberation Movement/Army-North (SPLM/AN), guidata da Abdelaziz al-Hilu.

Questo mentre i colloqui tra il governo e i vari gruppi armati erano in corso nella capitale del Sud Sudan, Juba, e solo poche settimane dopo un’altra consegna di aiuti a Kauda, ​​che è sotto il controllo dello stesso gruppo nello stato del Kordofan meridionale.

Il conflitto nel Blue Nile e nel Kordofan meridionale ha provocato lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone. A causa della mancanza di accesso da parte del precedente governo, l’esatto bilancio delle vittime non è chiaro, ma le Nazioni Unite hanno ripetutamente messo in guardia sulla situazione umanitaria nelle due aree, mentre il precedente governo e i gruppi armati hanno attraversato cicli di colloqui di pace falliti.

Lo scorso settembre, il governo di transizione e vari gruppi armati hanno concordato una dichiarazione di principi, per avviare colloqui di pace.

L’inflazione che è cresciuta ancor prima che il governo prendesse il controllo ha continuato la sua ascesa nelle ultime settimane. Mentre il valore della sterlina sudanese rispetto al dollaro è rimasto ufficialmente stabile a 45 sterline per dollaro, nel mercato nero parallelo, è salito da 62 a 87 sterline per dollaro. I commercianti di valuta hanno incolpato il picco di una scarsità di dollari nella banca centrale, un problema confermato dal ministro delle finanze che, settimane dopo aver prestato giuramento, ha dichiarato che il Sudan aveva abbastanza riserve valutarie per durare non più di qualche settimana e che il Paese aveva bisogno di almeno 5 milioni di dollari per stabilizzare la sua economia.

Gambia – Quando Adama Barrow assunse la presidenza della Gambia all’inizio del 2017, molti nel Paese lo considerarono come chi sarebbe stato in grado di far rivivere una nazione, uscita dal brutale regime lungo 22 anni di Yahya Jammeh.

Barrow aveva promesso di innalzare gli standard di vita, attuare riforme democratiche e istituire una commissione per la verità e la riconciliazione atta a curare una nazione divisa.

Il presidente aveva inizialmente annunciato che si sarebbe dimesso dopo tre anni, un impegno che da allora ha abbandonato a favore della prosecuzione del mandato per cinque anni, fino al 2021.

Questa mossa ha indignato molti gambiani, che a migliaia sono scesi nelle strade della capitale Banjul per protestare.

I manifestanti, parte del movimento ‘Three Years Jotna’ (Tre anni sono sufficienti), chiedono a Barrow di mantenere la parola e di dimettersi il mese prossimo. Vincitore delle elezioni del dicembre 2016, Barrow ha prestato giuramento per la prima volta nel vicino Senegal a gennaio 2017, quando Jammeh ha rifiutato di cedere il potere, prima di giurare sul suolo gambiano il mese successivo.

Ad agosto, il Gambia è stato pesantemente criticato dagli Stati Uniti per la sua mancanza di trasparenza fiscale in un rapporto in cui si affermava che il governo aveva conti fuori bilancio a sostegno di spese militari e di intelligence che non erano soggetti a supervisione o audit adeguati. In primis è stata la trasparenza di Barrow ad essere messa in discussione.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Sudan, i cento giorni del governo Hamdok” di Federica Iezzi


World malaria report 2019 - WHO

#worldmalariareport

Roma, 14 dicembre 2019, Nena News – Parla chiaro l’ultimo report sulla malaria pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): il carico mondiale è ai minimi storici, con 228 milioni di casi accertati di malaria e 405.000 decessi stimati, correlati all’infezione. I decessi per malaria stimati sono stati 416.000 nel 2017 e 585.000 nel 2010. Il tasso di incidenza della malaria è diminuito a livello globale tra il 2010 e il 2018, da 71 a 57 casi per 1000, nella popolazione a rischio.

Tuttavia, secondo il rapporto, la malaria continua ad avere un impatto sproporzionato su donne in gravidanza e bambini sotto i 5 anni nell’Africa sub-sahariana. Nel 2018, i bambini sotto i 5 anni hanno rappresentato il 67% (272.000) di tutti i decessi per malaria in tutto il mondo.

La malaria in gravidanza compromette la salute della madre e la mette a maggior rischio di morte. Influisce sulla salute del feto, determinando prematurità e basso peso alla nascita, contribuendo in modo determinante ai tassi di mortalità neonatale e infantile.

Per proteggere le donne in gravidanza in Africa, l’OMS raccomanda l’uso di zanzariere trattate con insetticidi e antimalarici preventivi. Dai dati del 2018, ancora quasi il 40% delle donne in gravidanza non usa zanzariere e due terzi di queste non hanno ricevuto le tre o più dosi raccomandate di terapia preventiva.

Nel 2018, la prevalenza dell’esposizione all’infezione da malaria in gravidanza è stata più alta nelle regioni dell’Africa occidentale e centrale (35%), seguita da Africa orientale e meridionale (20%). Almeno il 39% di questa è concentrata in Repubblica Democratica del Congo e in Nigeria. Dei 10 Paesi con il più alto tasso di infezione in Africa, Ghana e Nigeria hanno riportato in assoluto un aumento nei casi di malaria nel 2018 rispetto al 2017.

Nell’area africana del Sahel, l’OMS raccomanda la chemioprevenzione stagionale della malaria durante il picco stagionale di trasmissione. La Sierra Leone è attualmente la prima nazione africana a essersi lanciata nel trattamento preventivo dei neonati, altro approccio raccomandato dall’OMS per proteggere i più vulnerabili nelle aree endemiche da malaria.

Tuttavia, l’accesso alle cure per i bambini che mostrano segni di febbre rimane troppo basso. E le indagini per Paese lo dimostrano: quasi il 40% dei bambini febbrili nell’Africa sub-sahariana non è curato con cure mediche specializzate. Ogni anno investimenti e azioni globali salvano quasi 600.000 vite e prevengono quasi 100 milioni di casi di malaria.

La lotta globale contro la malaria si sta dimostrando uno dei migliori investimenti per migliorare la salute materna e la sopravvivenza dei bambini a livello globale. Tra i partner mondiali, il movimento ‘Malaria No More’ si concentra sulla fornitura di nuove fonti di finanziamento per la lotta contro la malaria.

Nel 2018, secondo il rapporto, circa 11 milioni di donne in gravidanza nell’Africa sub-sahariana, quasi 1/3 di tutte le gravidanze, sono state infettate dalla malaria e circa i 2/3 di queste donne hanno ricevuto il trattamento raccomandato che mantiene donne e nascituri al sicuro dall’impatto della malaria.

Degli 11 Paesi con il più alto carico di malaria al mondo, l’Uganda ha ridotto i casi a 1,5 milioni di infezioni tra il 2017 e il 2018. Al vertice dell’Unione Africana del 2019, i capi di Stato e di governo africani si sono impegnati ad aumentare gli investimenti nel finanziamento interno. Undici Paesi africani hanno recentemente lanciato la campagna ‘Zero Malaria Starts with Me’ per coinvolgere cittadini di ogni livello sociale nella lotta contro la malaria. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. OMS: la malaria resta un killer spietato” di Federica Iezzi

WHO – World Malaria Report 2019


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Roma, 7 dicembre 2019, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – Lo staff di Medici Senza Frontiere ha ritirato il suo personale internazionale dalle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo dopo che un gruppo armato ha tentato l’ingresso nel centro sanitario di Biakato, punto per il trattamento contro l’Ebola. Al momento non sono annoverate vittime. Secondo le autorità locali, gli aggressori sarebbero con grossa probabilità membri del gruppo della milizia popolare armata Mayi-Mayi.

La Repubblica Democratica del Congo sta combattendo la sua decima epidemia di Ebola, che è la seconda più mortale mai registrata. L’attuale focolaio del temuto virus ha ucciso più di 2mila persone principalmente nel Nord Kivu e nella vicina Ituri, secondo gli ultimi dati ufficiali.

L’insicurezza ha complicato fin dall’inizio la risposta all’epidemia. Le autorità congolesi hanno riferito che dall’inizio dell’anno sono stati registrati più di 300 attacchi a operatori sanitari e pazienti contagiati dal virus Ebola.

Tanzania – Gli attivisti per i diritti umani hanno lanciato un allarme la scorsa settimana sui piani del governo della Tanzania di bloccare il lavoro delle organizzazioni non governative. Dalla presa di potere del presidente John Magufuli si è verificata un’erosione delle libertà e una repressione dei difensori dei diritti umani, della stampa e dell’opposizione.

La decisione del governo impedirebbe ai tanzaniani di accedere alla giustizia della Corte di Arusha. Il tribunale è pienamente operativo dal 2010, con giudici di tutta l’Unione Africana che lavorano su casi relativi ai diritti umani. Al momento, solo otto Paesi hanno ratificato il protocollo che consente alle ong e ai singoli di intentare causa contro i governi.

Questo di fatto mina l’autorità e la legittimità della Corte africana ed è un vero e proprio fallimento rispetto agli sforzi compiuti in Africa per istituire organi regionali per la difesa dei diritti umani che possano garantire giustizia e responsabilità. Secondo Amnesty International, la Tanzania ha il più alto numero di casi archiviati ascrivibili a lesioni di diritti umani.

Malawi – Negli ultimi quattro mesi gli elettori del Malawi hanno seguito i presunti brogli durante le elezioni che hanno proclamato come presidente Peter Mutharika. Ai giudici sono state presentate accuse di frode e casi di manomissione, comprese schede elettorali modificate. Per la prima volta nella storia della nazione sudafricana, i procedimenti giudiziari sono diventati consultabili dai cittadini.

Le testimonianze raccolte mettono in discussione la credibilità delle elezioni dello scorso maggio che hanno visto Mutharika ottenere un secondo mandato con il 38,5% dei voti. Il secondo classificato Lazarus Chakwera, sposa la teoria dei brogli elettorali. Ha perso solo per 159mila voti. I risultati delle elezioni presidenziali non sono mai stati contestati in tribunale dall’indipendenza del Malawi dalla Gran Bretagna nel 1964. La corte costituzionale ha 45 giorni per emettere un verdetto.

L’opposizione ha organizzato manifestazioni nelle principali piazze. Per contro, il Malawi Congress Party (Mcp), partito presidenziale, e l’United Transformation Movement (Utm) hanno presentato una petizione ai tribunali per annullare i sondaggi. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Attacchi armati contro MSF in Congo” di Federica Iezzi


DRC

Roma, 30 novembre 2019, Nena News 

Repubblica Democratica del Congo – L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha disposto lo spostamento del suo personale sanitario dalle aree della Repubblica Democratica del Congo colpite da ebola, a causa della crescente insicurezza. Si parla di 49 dipendenti “non essenziali” dell’OMS trasferiti dalla città di Beni, nella provincia del Nord Kivu. 71 sanitari rimangono invece sul posto per garantire il minimo supporto alla risposta della crisi legata all’epidemia di ebola.

Centinaia di manifestanti hanno preso di mira le strutture delle Nazioni Unite nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. L’aumento della rabbia civile è legata al fallimento delle organizzazioni internazionali nell’impedire attacchi mortali ai civili da parte dei ribelli.

I residenti rimangono indignati per il fatto che i ribelli continuano a compiere attacchi mortali nonostante la presenza delle forze di pace delle Nazioni Unite e delle forze di sicurezza del Paese.

L’esercito della Repubblica Democratica del Congo ha avviato la sua ultima campagna lo scorso ottobre per sradicare i combattenti che operano nella regione che è stata travolta da decenni di instabilità. Tuttavia, la missione non è stata in grado di prevenire una serie di sanguinosi attacchi ai civili. Si stima che negli ultimi anni gruppi armati abbiano ucciso centinaia di civili e forze di sicurezza nelle aree nord-orientali del Paese.

Tanzania – Il partito al potere in Tanzania ha guadagnato quasi tutte le oltre 330.000 posizioni di leadership locale in palio all’ultimo voto. I gruppi di difesa per i diritti umani accusano il presidente John Magufuli di una sempre più crescente repressione.

I candidati del partito al governo Chama Cha Mapinduzi (CCM) hanno vinto oltre il 99% delle 12.000 presidenze di villaggio contestate, nonché le oltre 4.000 posizioni di leadership di strada del Paese.

Chadema, il principale partito di opposizione, ha dichiarato all’inizio di questo mese che non avrebbe preso parte alle elezioni a causa di presunte manipolazioni del governo. Diversi altri partiti minori hanno aderito al boicottaggio. Quattro delle 26 regioni continentali della Tanzania non hanno tenuto sondaggi a causa del boicottaggio dell’opposizione.

Nel precedente scrutinio locale nel 2014, il CCM ha vinto tre quarti dei seggi e Chadema ha raccolto il 15% dei consensi.

In un Paese in cui i dati politici affidabili e indipendenti sono scarsi e i media sono sempre più minacciati, gli analisti hanno affermato che i sondaggi locali potrebbero essere non veritieri per le elezioni presidenziali, parlamentari e del consiglio previste nel 2020.

Guinea Bissau – Il conteggio dei voti delle ultime elezioni presidenziali è ancora in corso in Guinea-Bissau, per il quale molte speranze sono legate alla stabilità del Paese dell’Africa occidentale dopo anni di turbolenze politiche. Oltre 760.000 elettori si sono registrati per prendere parte al sondaggio, frazionato tra 12 candidati.

Circa 6.500 forze di difesa e di sicurezza sono state dispiegate per garantire la sicurezza durante il processo. Attualmente non sono stati segnalati incidenti negli oltre 33.000 seggi elettorali.

Il presidente Jose Mario Vaz cerca la rielezione, deve affrontare una dura opposizione, dopo un primo mandato segnato da scontri politici licenziamenti illeciti.

Vaz, che è al potere dal 2014, è stato il primo presidente eletto democraticamente in un Paese segnato da colpi di stato e tentati colpi di stato, dall’indipendenza dal Portogallo nel 1974, il più recente dei quali nel 2012.

Sebbene non siano stati resi pubblici sondaggi d’opinione affidabili, uno dei principali sfidanti di Vaz è Domingos Simoes Pereira, un ex primo ministro il cui licenziamento nel 2015 ha scatenato anni di scontri politici. Se al voto nessun candidato riceve più del 50% delle preferenze, il 29 dicembre prossimo si terrà il ballottaggio tra i primi due candidati.

Il prossimo presidente erediterà importanti sfide tra cui la povertà diffusa e un sistema politico instabile in cui il partito di maggioranza nomina il governo ma il presidente ha il potere di respingerlo. Anche la corruzione occupa le prime posizioni tra le preoccupazioni del Paese. La Transparency International ha classificato la Guinea-Bissau, per indice di corruzione, 172 su 180 Paesi nel 2018. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Presidenziali in Guinea Bissau, attacchi sui civili nella Repubblica Democratica del Congo” di Federica Iezzi


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Roma, 23 novembre 2019, Nena News 

Zimbabwe – La polizia antisommossa nella capitale dello Zimbabwe ha disperso con forza i sostenitori del principale partito di opposizione che si erano radunati pacificamente per partecipare ad un discorso del leader Nelson Chamisa. Centinaia di agenti di polizia hanno bloccato le strade che portano al quartier generale del Movement for Democratic Change ad Harare, ma i sostenitori hanno continuato a radunarsi per attendere Chamisa.

Funzionari del Movement for Democratic Change, accusano il presidente Emmerson Mnangagwa di aver adottato tattiche ancor più pesanti, rispetto al suo predecessore Robert Mugabe, per reprimere l’opposizione. La tensione politica è in aumento nello Zimbabwe, dove la popolazione è alle prese con una grave crisi economica, convive con interruzioni di corrente che durano fino a 18 ore al giorno, convive con carenza di valuta estera, carburante e medicine.

Il personale sanitario del settore pubblico continua uno sciopero ormai in atto da settembre, per mancanza di retribuzioni, che ha paralizzato gli ospedali governativi, unico rifugio per le cure dei poveri.

Etiopia – Gli abitanti della regione etiope di Sidama, nel sud del Paese, hanno votato per un referendum sulla possibilità di creare un nuovo stato regionale, secondo le linee etniche. Se il referendum avrà esito positivo come previsto, il Sidama controllerà tasse locali, istruzione, sicurezza e leggi in una nuova regione autonoma.

Complessivamente circa due milioni di persone si sono registrate per votare.

Il referendum di Sidama costituirà un grande test per il federalismo multinazionale dell’Etiopia. Il referendum sull’autonomia nasce dalla non accettazione di un sistema federale concepito per fornire un autogoverno etnico inclusivo in un Paese estremamente diversificato. La spinta all’autonomia della regione di Sidama, che risale a decenni fa, ha innescato giorni di scontri mortali lo scorso luglio tra attivisti e forze di sicurezza. I disordini hanno spinto il governo Abiy a porre le aree meridionali sotto il controllo della polizia federale.

Allo stato attuale, l’Etiopia è divisa in nove stati regionali semi-autonomi. Sulla scia del Sidama altri gruppi nel sud del Paese, che rappresentano circa il 4% degli oltre 100 milioni di abitanti in Etiopia, hanno lanciato pericolosi piani di autodeterminazione. La costituzione etiope ammette che il governo organizzi un referendum per qualsiasi gruppo etnico pronto a formare una nuova entità.

Sierra Leone – La Sierra Leone annuncia una nuova politica in materia di visti d’ingresso, che prevede il rilascio del visto all’arrivo nel Paese per tutti i cittadini africani e per cittadini selezionati di altri Paesi. Secondo una dichiarazione del ministero degli Affari interni, attraverso il Servizio immigrazione, il nuovo sistema garantirà con effetto immediato l’ingresso senza visto per i Paesi del blocco subregionale, ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale).

Dunque i cittadini all’interno dell’area ECOWAS beneficeranno del protocollo senza visti mentre i cittadini degli Stati membri dell’Unione Africana godranno del visto all’arrivo comprensivo di una tassa. Il governo Maada Bio ha affermato che la mossa è parte degli sforzi per promuovere il turismo e attrarre investimenti diretti esteri. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Zimbabwe caos politico e repressione” di Federica Iezzi


The International Rescue Committe responds to the drought crisis in Somalia, March 2017

Roma, 16 novembre 2019, Nena News 

Sud Sudan – L’attuale presidente sud-sudanese Salva Kiir e il leader dei ribelli Riek Machar hanno nuovamente mancato una scadenza per formare un governo di unità di transizione, sollevando gravi preoccupazioni per il fragile processo di pace in un Paese devastato da anni di rovinose guerre civili.

I due politici avevano concordato lo scorso settembre di istituire un governo di condivisione.

In un recente incontro mediato dal presidente ugandese Yoweri Museveni e dal leader ad interim del Sudan Abdel Fattah al-Burhan, Kiir e Machar hanno respinto l’idea della formazione di una nuova amministrazione.

Gli scorsi colloqui a Entebbe, in Uganda, hanno evidenziato che i compiti critici non erano ancora completati, comprese le questioni relative agli accordi sulla sicurezza, sulla governance e sull’integrazione delle forze di combattimento.

L’ultimo accordo di pace tra le parti, per porre fine al conflitto che ha ucciso centinaia di migliaia di persone e sfollato milioni di civili, risale allo scorso anno. Firmato nella capitale etiope, Addis Abeba, nel settembre 2018, l’accordo prevedeva che i ribelli si unissero al governo di transizione e prevedeva la risoluzione di una serie di controversie, tra cui il numero di stati regionali nel Paese e i loro relativi confini.

Entrambe le parti affermano di lavorare per rispettare gli accordi di pace, sotto le pressioni dell’Intergovernmental Authority on Development, di Stati Uniti e Unione Europea per raggiungere un accordo duraturo.

Mauritius – Il primo ministro delle Mauritius, Pravind Jugnauth, ha conquistato la maggioranza dei voti nelle elezioni del Paese, secondo i risultati finali resi noti dalla commissione elettorale.

La coalizione di Jugnauth, la Morisian Alliance di centrodestra, ha guadagnato altri quattro seggi nell’assegnazione finale, dunque attualmente detiene 42 dei 70 seggi parlamentari. L’alleanza possiede la maggioranza assoluta necessaria per formare il governo.

Mentre gli elettori scelgono 62 deputati, la commissione ne nomina altri otto tra quelli che hanno ottenuto il punteggio più alto ma non sono stati eletti direttamente. In base all’istituzione di questo sistema, è garantito l’equilibrio nella distribuzione dei seggi tra partiti e comunità.

Le isole Mauritius sono prevalentemente indù. La divisione in gruppi etnici dopo l’indipendenza del 1968, riflette la considerevole minoranza musulmana, quella creola e quella di origine europea.

La vittoria di Jugnauth ha rafforzato la legittimità di un leader che è subentrato a suo padre nel 2017 senza il voto.

Punto forte di Jugnauth sono state le riforme economiche e quelle sociali. L’economia è cresciuta di quasi il 4% nel 2018. Jugnauth ha inoltre introdotto il sistema del salario minimo di circa 240 dollari al mese, aumento delle pensioni per gli anziani e riforma delle leggi sul lavoro. Nonostante questo la disoccupazione giovanile arriva al 22%.

Repubblica Democratica del Congo – Il nord-est della Repubblica Democratica del Congo è ancora, dopo un anno e mezzo, in allerta per il focolaio di ebola che ha ucciso oltre 2.000 persone.

Anche se in presenza di una cura e di una vaccinazione performante, i punti critici rimangono i villaggi remoti della regione.

Più di 1.000 persone sono sopravvissute alla malattia e ora si ritiene che siano immuni. La superstizione è ancora profondamente radicata in molte culture congolesi, per cui molti sopravvissuti vengono emarginati dalla rete sociale.

Secondo i funzionari dell’Organizzazione Mondiale della Sanità il numero di persone contagiate si è notevolmente ridotto negli ultimi mesi.

I trattamenti contro la temibile infezione hanno avuto successo per più del 90% dei casi in cui i sintomi venivano rilevati in anticipo.

Le vaccinazioni sono divise tra i due colossi farmaceutici Merck e Johnson & Johnson. Quasi mezzo milione di civili sono stati inclusi nello studio sull’efficacia del vaccino. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Ebola nella Repubblica Democratica del Congo, nessuna intesa in Sud Sudan’ di Federica Iezzi


With Famine Crisis Thousands of Somalis Flee to Ethiopia Refugee Camps

Roma, 09 novembre 2019, Nena News

Etiopia – Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha dichiarato che il bilancio delle vittime delle proteste del mese scorso è salito esponenzialmente. Tra i decessi ci sono almeno 50 membri del gruppo etnico Oromo, il più grande nel Paese, mentre più di 20 provenivano dal gruppo etnico Amhara. Tramite un comunicato stampa trasmesso da Fana Broadcasting, Abiy ha chiesto ai cittadini di resistere alle forze che minacciano di ostacolare i progressi nel Paese.

Le manifestazioni contro il governo di Abiy, vincitore dell’ultimo premio Nobel per i suoi sforzi di pace che hanno posto fine a 20 anni di ostilità con l’Eritrea, sono scoppiate nella capitale, Addis Abeba, e in altre aree della regione di Oromia lo scorso ottobre, guidate dall’attivista Jawar Mohammed.

La principale preoccupazione è che la violenza etnica in Etiopia peggiori. La violenza etnica in Etiopia ha prodotto oltre due milioni di sfollati interni, secondo le Nazioni Unite.

Jawar, che detiene la cittadinanza negli Stati Uniti ed è il fondatore di Oromia Media Network, è stato al centro delle iniziali proteste di strada che portarono al potere Abiy. Recentemente invece è diventato critico nei confronti di alcune politiche del primo ministro.

Dalla sua nomina lo scorso anno, Abiy ha avviato riforme politiche che lo hanno fatto apprezzare a livello internazionale, ma hanno anche sollevato l’incessante problema delle tensioni represse tra i numerosi gruppi etnici nel Paese.

Repubblica Democratica del Congo – La Corte Penale Internazionale ha condannato l’ex leader ribelle congolese Bosco Ntaganda, noto come ‘The Terminator’, a 30 anni di prigione per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, tra cui omicidio, stupro e schiavitù sessuale.

La sentenza ha consegnato la più alta pena mai inflitta dal tribunale dell’Aja.

Bosco Ntaganda è stato dichiarato colpevole già dallo scorso luglio per aver diretto i massacri di civili nella Repubblica Democratica del Congo nel 2002 e nel 2003. Durante il suo processo, Ntaganda è stato dipinto come lo spietato leader delle rivolte etniche Tutsi tra gli scontri violenti che hanno coinvolto la Repubblica Democratica del Congo, dopo il genocidio del 1994 nel vicino Rwanda.

Ntaganda è stato un leader chiave in termini di pianificazione delle operazioni dell’Union of Congolese Patriots e del suo braccio armato Patriotic Forces for the Liberation of Congo.

Più di 60.000 persone sono state uccise da quando la violenza è scoppiata nella regione congolese di Ituri nel 1999, secondo gruppi di difesa dei diritti umani. Dopo il conflitto nella regione, Ntaganda fu integrato nell’esercito congolese come generale dal 2007 al 2012. In seguito divenne un membro fondatore del gruppo ribelle M23 in una nuova rivolta contro il governo.

Kenya – A inizio settimana i maggiori giudici della Corte kenyana si sono scagliati contro i tagli di bilancio che continuano a minare il sistema giudiziario e ostacolare tentativi di anticorruzione. David Maraga, capo della Corte suprema nel 2017, palesemente contro il governo del presidente Uhuru Kenyatta, ha spinto per un ribaltamento della rielezione dello stesso Kenyatta, forzando una rivolta.

Un ex ministro delle finanze e centinaia di altri alti funzionari e imprenditori sono stati accusati di corruzione. Nessuno dei casi è stato chiuso. Alla magistratura sono stati assegnati 183 milioni di dollari per l’anno fiscale che inizia il prossimo luglio, ben al di sotto della richiesta di 322 milioni di dollari.

Maraga ha affermato che l’ammontare degli stipendi è rimasto lo stesso, ma lo sviluppo e il budget delle spese ricorrenti sono stati dimezzati. I tribunali d’appello del circuito di Nairobi, Mombasa, Nakuru, Eldoret e Nyeri sono stati sospesi e 53 tribunali mobili che lavorano in aree remote hanno smesso di funzionare a causa della mancanza di fondi.

Il mese scorso, Kenyatta ha rifiutato di confermare le 41 giudici, citando problemi di integrità.

Mercy Wambua, amministratore delegato della Law Society of Kenya, ha affermato che la magistratura attualmente è sottoposta a grandi pressioni, più di quando il Paese è tornato alla democrazia multipartitica nel 1992.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Sale il bilancio di morti e feriti delle proteste in Etiopia” di Federica Iezzi


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Roma, 2 novembre 2019, Nena News

Mozambico – Vittoria schiacciante per il presidente in carica del Mozambico, Filipe Nyusi, con il 73% dei voti. Si chiudono così le ultime elezioni presidenziali in Mozambico.

Ossufo Momade, il candidato per il principale partito di opposizione ed ex movimento ribelle Renamo, ha ottenuto appena il 22% dei voti, secondo quanto dichiarato dal presidente della Commissione elettorale nazionale Abdul Carimo. Durante il suo secondo mandato quinquennale Nyusi, leader del partito al potere Frelimo, è stato responsabile della supervisione di aziende come Exxon Mobil Corp e Total, combattendo una ribellione armata e consegnando un accordo di pace firmato due mesi fa.

Daviz Simango, del terzo partito più grande, Mozambico Democratic Movement, ha ottenuto poco più del 4% dei voti, meno dell’1% dei voti sono stati assegnati a Mario Albino, che dirige il piccolo partito AMUSI (Accao do Movimento Unido para a Salvacao Integral).

Etiopia – Il primo ministro etiope Abiy Ahmed, recente premio Nobel per la Pace, continua a fronteggiare l’instabilità in Etiopia, promettendo di consegnare alla giustizia i responsabili delle ultime violenze che hanno causato la morte di più di 60 persone questa settimana.

I suoi funzionari stanno lavorando incessantemente, dicono, per garantire la prevalenza dello stato di diritto e per assicurare alla giustizia gli autori. Ciò che è iniziato come proteste contro il governo Abiy si è rapidamente trasformato in scontri che hanno assunto una dimensione etnica e religiosa. Abitazioni, attività commerciali e luoghi di culto sono stati distrutti e un numero considerevole di etiopi è stato sfollato.

La violenza è scoppiata ad Addis Abeba e in gran parte della regione etiope di Oromia. Leader della protesta è l’attivista, Jawar Mohammed, a cui fu riconosciuto il merito di aver promosso le proteste che portarono Abiy al potere. Recentemente è diventato critico nei confronti di alcune politiche del primo ministro.

Il ministero della difesa etiope ha dispiegato forze in sette diverse aree del Paese.

Tanzania – Due gruppi indipendenti internazionali per la difesa dei diritti umani hanno accusato il governo del presidente tanzaniano John Magufuli di reprimere con sempre più intensità il dissenso politico. Dall’elezione di Magufuli nel 2015, la Tanzania ha implementato leggi che reprimono il giornalismo indipendente e limitano gravemente le attività delle organizzazioni non governative e dei partiti dell’opposizione, secondo quanto riferito da Amnesty International e Human Rights Watch in due rapporti separati.

Anche l’attivismo della società civile e le discussioni pubbliche su questioni relative ai diritti umani sono state soppresse. Sparizioni e altre violazioni dei diritti umani continuano a rimanere impunite. Il governo Magufuli ha intensificato la censura dal 2015 sospendendo almeno cinque testate giornalistiche di opposizione. Tra queste compare il maggior quotidiano in lingua inglese del Paese: The Citizen. Le autorità tanzaniane hanno anche utilizzato il Cybercrimes Act del 2015 per perseguire giornalisti e attivisti riguardo contenuti sui social media.

Atti soffocati attraverso la modifica della legislazione. La Political Parties Act è stata modificata nel gennaio 2019 per conferire ai cancellieri dei partiti politici ampi poteri per annullare la registrazione dei partiti, chiedere informazioni agli stessi e sospendere i membri del partito.

Le stesse organizzazioni hanno anche affermato che il governo utilizza la Statistics Act del 2015 per controllare la ricerca indipendente e l’accesso del pubblico a informazioni statistiche indipendenti, negando ai civili fonti alternative di informazioni verificate in modo indipendente.

Nel luglio 2016, il presidente Magufuli ha annunciato un divieto generale di attività politiche fino al 2020. Il divieto è stato applicato selettivamente contro i politici dell’opposizione, molti dei quali sono stati arrestati con accuse inventate.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Tanzania messa sotto silenzio” di Federica Iezzi


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Roma, 26 ottobre 2019, Nena News

Botswana – Aperti i sondaggi in Botswana, mentre la nazione dell’Africa meridionale deve affrontare quelle che si prevede siano le elezioni più strette della storia.

Il Botswana Democratic Party, partito al potere nel Paese, e il presidente Mokgweetsi Masisi hanno presentato una sfida sorprendente dopo che l’ex presidente Ian Khama si è staccato dalle forze al potere e ha annunciato il suo sostegno alla coalizione di opposizione Umbrella for Democratic Change.

Masisi è noto per la lotta alla corruzione e alla riduzione della burocrazia per le piccole imprese.

Circa 931.000 dei 2,2 milioni di persone del Paese sono registrati per votare alle elezioni parlamentari e locali.

Il Botswana Democratic Party, l’Umbrella for Democratic Change e due partiti minori si contenderanno 57 seggi in parlamento.

Khama è uscito dal Botswana Democratic Party lo scorso maggio dopo aver accusato il presidente Masisi, il suo vice fino allo scorso anno, di autocrazia.

Khama ha scelto Masisi come suo successore quando si è dimesso lo scorso anno dopo due mandati in carica nel Paese.

Se il Botswana Democratic Party venisse superato dall’Umbrella for Democratic Change, sarebbe la prima volta che il Botswana, vede un cambio di governo in 53 anni.

Guinea Conakry – Un tribunale della Guinea Conakry ha rinviato le pene detentive a cinque leader dell’opposizione e della società civile per l’organizzazione di proteste contro un possibile cambiamento nella costituzione che consentirebbe al presidente Alpha Conde di cercare un terzo mandato.

Abdourahmane Sanoh, ex ministro del governo e organizzatore delle manifestazioni non autorizzate della scorsa settimana, è stato condannato a un anno di reclusione per incitamento alla disobbedienza civile.

Anche alcuni membri del National Front for the Defence of the Constitution, coalizione di politici e attivisti contrari al cambiamento costituzionale, hanno ricevuto una condanna dalla corte nella capitale.

Amnesty International ha criticato la sentenza della corte, asserendo che nessuno dovrebbe essere detenuto per aver organizzato o portato avanti una manifestazione pacifica. La condanna dei leader della società civile mostra il desiderio delle autorità guineane di schiacciare tutte le forme di dissenso.

Durante le proteste della scorsa settimana a Conakry e nelle roccaforti settentrionali dell’opposizione, la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti, provocando una dozzina di morti e centinaia di feriti.

La prima vittoria elettorale di Conde nel 2010 ha suscitato enormi speranze per il progresso democratico in Guinea dopo due anni di governo militare e quasi un quarto di secolo sotto il regime dittatoriale di Lansana Conte.

Sudan – Migliaia di sudanesi si sono radunati nella capitale Khartoum e in diverse città come Madani, Al-Obeid, Port Sudan e nella città di Zalinge nel Darfur, sollecitando le nuove autorità del Paese a sciogliere l’ex partito al potere del deposto leader Omar al-Bashir.

Al seguito del Sudan’s umbrella protest movement e dall’Alliance for Freedom and Change, organizzatori delle manifestazioni di protesta, la popolazione in piazza ha espresso il proprio sostegno per le nuove autorità incaricate della transizione del Paese verso il processo democratico.

L’attuale governo di transizione del Sudan è salito al potere dopo una campagna di disordini di massa, che alla fine ha portato i militari a rovesciare al-Bashir. Le proteste erano scoppiate contro il suo governo nel dicembre 2018 e si sono rapidamente trasformate in un movimento nazionale che alla fine ha portato alla sua rimozione. Il Paese è ora governato da un’amministrazione militare-civile congiunta, che deve percorrere il percorso delicato verso nuove elezioni democratiche in poco più di tre anni.

Attualmente al-Bashir è detenuto in una prigione a Khartoum ed è sotto processo con l’accusa di corruzione, insieme a funzionari del suo governo e membri del partito.

Intanto la scorsa settimana, il governo sudanese ha accettato di concedere aiuti umanitari a zone del Paese devastate dalla guerra e ha rinnovato un patto di cessate il fuoco con i principali gruppi ribelli durante gli ultimi colloqui di pace, tenuti a Juba, in Sud Sudan. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Elezioni in Botswana, condannati leader opposizione in Guinea Conakry” di Federica Iezzi


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Roma, 19 ottobre 2019, Nena News

Sudafrica – L’ex presidente sudafricano Jacob Zuma dovrà affrontare un processo per accuse di corruzione dopo che un tribunale ha respinto la sua richiesta di sospensione permanente del procedimento.

Zuma è stato accusato di corruzione, frode, racket e riciclaggio di denaro in accordo con la società di difesa francese Thales, negli anni ’90 prima come ministro dell’economia provinciale e successivamente come vice presidente dell’African National Congress.

Il giudice Willie Seriti dell’Alta Corte ha concordato con l’accusa che parti degli argomenti di Zuma per far valere il caso erano “scandalosi e vessatori”.

Le accuse sono state presentate per la prima volta nel 2005. Sono state ritirate dai pubblici ministeri nel 2009, poco prima che Zuma diventasse presidente e ripristinate nel 2016.

Sudan – Sono in corso nella capitale del Sud Sudan, Juba, i colloqui di pace tra una delegazione del nuovo consiglio sovrano del Sudan e i leader ribelli.

Le discussioni hanno lo scopo di porre fine ai conflitti che durano da anni nel Paese e arrivano un mese dopo che le due parti hanno concordato un piano e una serie di misure di rafforzamento della fiducia, compresa l’estensione di un cessate il fuoco già in atto.

La delegazione del consiglio sovrano è guidata dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, mentre la squadra rappresentativa dei ribelli è guidata da Abdulaziz al-Hilu, leader del Sudan People’s Liberation Movement-North, che è attivo nel Nilo azzurro e nel sud Kordofan.

Presenti anche il primo ministro etiope Abiy Ahmed, recente premio Nobel per la Pace, il presidente ugandese Yoweri Museveni e il presidente keniota Uhuru Kenyatta.

La nuova iniziativa di pace arriva dopo l’allontanamento dell’ex-presidente Omar al-Bashir, che è stato rimosso dalla carica a opera dei militari sudanesi lo scorso aprile, a seguito di proteste di massa contro il suo governo trentennale.

L’attuale primo ministro Abdalla Hamdok è stato incaricato di riportare il Sudan al potere civile e sta duramente lavorando sul porre fine ai conflitti con i ribelli.

Mozambico – In Mozambico si sono aperti i seggi per le elezioni presidenziali, parlamentari e provinciali, prova di un recente accordo di pace tra il partito al potere e l’opposizione armata.

I due partiti dominanti, Frelimo, vincitore di ogni precedente elezione, e Renamo, ex gruppo ribelle trasformato in principale partito di opposizione, si affrontano dalla guerra civile che si è conclusa nel 1992.

Quasi 13 milioni di elettori sono registrati nella nazione dell’Africa meridionale, sebbene alcuni osservatori avvertono che l’insicurezza potrebbe impedire ad alcuni di votare.

Le tensioni in Mozambico sono elevate alla vigilia delle elezioni che probabilmente vedranno l’attuale presidente Filipe Nyusi e il suo partito al potere Frelimo, mantenersi in carica.

Mentre si prevede che Nyusi vincerà un secondo mandato nel voto presidenziale, nonostante disordini cronici e una crisi finanziaria legata alla presunta corruzione statale, l’opposizione sta lavorando sugli incarichi provinciali e legislativi.

Si prevede che Renamo vincerà per la prima volta da tre a cinque delle 10 province del Mozambico, a seguito di una modifica della legge che consente agli elettori di eleggere i governatori provinciali. Il partito ha già ottenuto guadagni nelle elezioni municipali dell’anno scorso.

Il candidato del gruppo di opposizione Renamo, Ossufo Momade, dirige un partito di ex ribelli anticomunisti che hanno combattuto una brutale guerra civile con Frelimo dal 1975 al 1992, devastando l’economia e provocando la morte di quasi un milione di persone. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Mozambico al voto, ma il risultato non cambierà” di Federica Iezzi


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Roma, 12 ottobre 2019, Nena News 

Mauritius – Il primo ministro delle isole Mauritius, Pravind Kumar Jugnauth, ha proclamato lo scioglimento del parlamento e ha annunciato elezioni generali il mese prossimo.

Il Paese, popolare destinazione turistica, è una delle nazioni più stabili dell’Africa, tiene elezioni regolari ogni cinque anni.

Per legge, il Paese ha tra i 30 e i 150 giorni per organizzare le elezioni dopo che il primo ministro scioglie il parlamento.

Jugnauth, 57 anni, anche ministro delle finanze, cercherà un altro mandato come leader del Mouvement Socialiste Militant. Ha ricoperto la carica di Primo Ministro dal 2017 quando ha assunto il posto di suo padre, Anerood Jugnauth.

La politica mauriziana è stata dominata da un piccolo numero di famiglie indù dall’indipendenza nel 1968, con gli ultimi 40 anni segnati dalla stabilità e dalla costante crescita economica che ha spinto l’isola nelle file dei Paesi a medio reddito.

Camerun – Maurice Kamto, il principale leader dell’opposizione del Camerun, è uscito di prigione nove mesi dopo il suo arresto per aver condotto proteste contro un risultato elettorale che aveva denunciato come fraudolento.

Un tribunale militare nella capitale del Paese, Yaoundé, ha ordinato la liberazione dell’ex candidato per volere dell’attuale presidente Paul Biya, sottoposto a forti pressioni internazionali per la dura repressione ai danni dei partiti di opposizione.

Il 65enne leader dell’opposizione era stato processato lo scorso settembre, insieme a decine di altri, con l’accusa di insurrezione, ostilità nei confronti della madrepatria e ribellione, crimini che avrebbero potuto comportare la pena di morte.

Biya ha ordinato la sospensione dei procedimenti pendenti dinanzi ai tribunali militari contro alcuni funzionari e militanti di partiti politici, in particolare del Cameroon Renaissance Movement.

Rwanda – Lo scorso settembre il politico dell’opposizione Sylidio Dusabumuremyi, coordinatore nazionale delle Forces Democratiques Unifiees (FDU-Inkingi) è stato ucciso, in condizioni non chiare.

Questi incidenti fanno parte di una serie di omicidi e sparizioni forzate di oppositori e critici del presidente Kagame avvenuti negli ultimi anni. Sebbene non sia stato stabilito alcun legame diretto tra il presidente Kagame e questi omicidi e sparizioni, le organizzazioni per i diritti umani hanno ripetutamente criticato il governo per il suo trattamento pesante ai danni dell’opposizione e per l’incapacità di indagare sugli omicidi politici.

Tuttavia, il presidente Kagame gode ancora di un enorme sostegno pubblico, come portatore di pace e stabilità, in un Paese spezzato dal genocidio.

Da quando il suo gruppo ribelle prese il potere con la forza, ponendo fine al genocidio dell’aprile 1994, ha lottato per una intensa trasformazione economica del Paese e per abbattere la corruzione. Ha aperto il paese agli affari, promosso la crescita di nuovi settori economici e migliorato la sua burocrazia. Ha impiegato gli aiuti esteri con prudenza e ha usato saggiamente le risorse naturali del Rwanda. Ha spinto al maggior numero di donne in carica politica, il 64% dei legislatori nel parlamento del Rwanda oggi sono donne, la percentuale più alta di qualsiasi Paese al mondo.

Nel 2015, i rwandesi hanno votato in modo schiacciante un emendamento della costituzione attraverso il quale consentire al presidente di rimanere potenzialmente al potere fino al 2034.

Soffocando il dissenso e lasciando che gli omicidi dei suoi avversari politici rimangano irrisolti, oggi Kagame sembra mettere tutto questo a rischio percorrendo un percorso di autoritarismo.

Forse agli occhi di Kagame, solo pochi decenni dopo un genocidio che costò 800.000 vite, una democrazia veramente pluralista rappresenta un rischio troppo grande per la sicurezza e la stabilità del Paese.

Etiopia – Il Comitato Nobel norvegese ha deciso di assegnare il Premio Nobel per la pace per il 2019 al Primo Ministro etiope Abiy Ahmed Ali per i suoi sforzi atti a raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea.

Quando Abiy Ahmed è diventato Primo Ministro nell’aprile 2018, ha chiarito che desiderava riprendere i colloqui di pace con l’Eritrea. In stretta collaborazione con Isaias Afwerki, il presidente dittatore dell’Eritrea, Abiy Ahmed ha elaborato i principi di un accordo di pace per porre fine al lungo stallo tra i due Paesi.

Questi principi sono enunciati nelle dichiarazioni che il primo ministro Abiy e il presidente Afwerki hanno firmato ad Asmara e Jedda lo scorso luglio e settembre.

La normalizzazione delle relazioni tra l’Eritrea e l’Etiopia risulta più apparente che reale.

Abiy da Primo Ministro ha sollevato lo stato di emergenza del Paese, concedendo l’amnistia a migliaia di prigionieri politici, interrompendo la censura dei media, legalizzando i gruppi di opposizione illegali, licenziando leader militari e civili sospettati di corruzione e aumentando significativamente l’influenza di donne nella vita politica e comunitaria etiope

Sulla scia del processo di pace con l’Eritrea, il Primo Ministro Abiy, appoggiato e guidato da Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita, si è impegnato in altri processi di pace e riconciliazione nell’Africa orientale e nordorientale. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Elezioni generali nelle Mauritius, rilasciato il leader dell’opposizione in Camerun” di Federica Iezzi


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Roma, 5 ottobre 2019, Nena News

Uganda – Il politico d’opposizione e pop star ugandese Bobi Wine, ha denunciato la mossa del governo di mettere fuorilegge l’uso civile dei berretti rossi, simbolo distintivo di People Power, movimento di potere popolare da lui concepito.

Il codice di abbigliamento per l’Uganda People’s Defence Forces, invece, è stato standardizzato e l’azione è stata approvata dai principali organi dell’esercito. People Power è attualmente un movimento politico in forte espansione che lotta per il futuro dell’Uganda. Bobi Wine, vero nome è Robert Kyagulanyi Ssentamu, spera di schiacciare il leader di lunga data Yoweri Museveni che ha governato il paese dell’Africa orientale per più di 30 anni.

Ha annunciato, lo scorso luglio di candidarsi alla presidenza nel 2021 e ha fatto del famoso berretto rosso la sua firma, definendolo un “simbolo di resistenza”.

Somalia – Separati attacchi terroristici in Somalia hanno preso di mira una base di forze speciali statunitensi nella città di Baledogle, nella regione di Lower Shabelle, e un convoglio militare italiano nella capitale Mogadiscio.

Non sono state segnalate vittime immediate dell’attacco.

Secondo quanto dichiarato dalla missione statunitense le forze di sicurezza hanno fermato l’attacco, alla fine fallito, grazie alla loro prontezza e risposta rapida, non permettendo agli aggressori di violare i perimetri difensivi esterni della base.

L’US Africa Command ha in seguito effettuato due raid aerei contro i combattenti di al-Shabaab in un contrattacco.

Questo attacco, sebbene inefficace, dimostra la minaccia diretta che al-Shabaab rappresenti per gli americani nella regione.

La base di Baledogle funge da campo di addestramento per i soldati somali, del Somali National Army.

Una dichiarazione della missione di addestramento dell’UE in Somalia, ha confermato l’esplosione ai danni di un convoglio italiano, in un incidente separato.

La missione italiana offre consulenza militare e fornisce addestramento all’esercito della Somalia, attualmente ancora sostenuto da circa 20.000 forze di pace africane, mentre il Paese cerca di risorgere da decenni di guerra civile.

Camerun – Il Camerun avvierà ufficialmente, la prossima settimana, un dialogo nazionale nel tentativo di porre fine al conflitto separatista nelle province anglofone del Paese.

Migliaia di persone sono morte e mezzo milione di persone sono fuggite dalle proprie abitazioni dallo scoppio degli scontri nel 2017 tra esercito regolare e combattenti armati, che invocano l’indipendenza per le due province di lingua inglese del Camerun.

I colloqui, guidati dal primo ministro Joseph Dion Ngute, si terranno agli inizi di ottobre presso il palazzo del Congresso nella capitale Yaoundé.

Il presidente Paul Biya, al potere da 37 anni, spera che i colloqui chiudano una crisi che continua a danneggiare l’economia del Paese centrafricano.

I madrelingua inglesi rappresentano circa un quinto della popolazione del Camerun, che conta 24 milioni di persone, per lo più francofone.

Gli anglofoni sono concentrati principalmente in due aree occidentali, la regione nord-occidentale e la regione sud-occidentale che sono state incorporate nello stato di lingua francese dopo l’era coloniale africana, risalente a 60 anni fa. Gran parte degli anglofoni si lamenta della discriminazione e dell’emarginazione.

In un rapporto pubblicato la scorsa settimana, l’International Crisis Group ha stimato che circa 3000 persone sono state uccise dalla violenza separatista e dalla repressione militare.

Secondo il portavoce del dialogo del governo, George Ewane, le autorità camerunesi hanno tenuto discussioni preliminari con alcuni separatisti. Dei 16 leader separatisti invitati, si contano anche quelli a capo di gruppi armati come Ebenezer Akwanga e Cho Ayaba. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Attacchi terroristici in Somalia, dialogo nazionale in Camerun” di Federica Iezzi


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Roma, 28 settembre 2019, Nena News

Tanzania – La Tanzania ha convocato il rappresentante locale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dopo che l’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite ha accusato il governo di non aver condiviso informazioni dettagliate su sospetti casi di Ebola.

Secondo le informazioni in possesso dell’OMS all’inizio del mese è morta una donna a Dar-es-Salaam, che in seguito sarebbe risultata positiva all’ebola.

Nonostante diverse richieste, i dati clinici, i risultati delle indagini, i possibili contatti e i potenziali test di laboratorio eseguiti non sono stati comunicati all’OMS.

Il governo tanzaniano ha formalmente informato l’OMS a metà settembre di non aver confermato o sospettato casi di ebola.

Le autorità dell’Africa orientale e centrale sono state allertate per il possibile accrescimento dell’attuale focolaio di ebola in Repubblica Democratica del Congo (RDC), dove l’infezione in 13 mesi ha ucciso oltre 2.000 persone.

Zimbabwe – La valuta dello Zimbabwe è stata sottoposta a forti pressioni nelle ultime settimane. A partire dall’inizio della settimana, il valore di 40 Zimdollars equivale a circa 2,75 dollari nel cambio interbancario e a 2,66 dollari nel mercato nero di Harare.

Ormai il lavoro informale e non regolamentato è l’unica opzione percorribile in un’economia afflitta da un’inflazione allettante, salari stagnanti e carenze di beni essenziali.

Il tasso di disoccupazione ufficiale dello Zimbabwe è notoriamente difficile da definire. Secondo le stime del Labour and Economic Development Research Institute of Zimbabwe, i giovani di età compresa tra 18 e 34 anni rappresentano circa il 60% dei disoccupati del Paese.

L’economia del Paese sta attraversando una regressione strutturale, sostanzialmente deindustrializzante.

La regressione può essere fatta risalire al 2000, quando lo Zimbabwe iniziò il controverso sequestro di fattorie di proprietà bianca per la ridistribuzione a cittadini neri senza terra durante il governo Mugabe.

Al suo apice nel 1992, il settore manifatturiero del Paese rappresentava poco più di un quarto della totale produzione economica. Entro il 2002, a seguito dei sequestri di terreni, la produzione è crollata a meno del 10% della produzione totale del Paese, rimanendo al di sotto del 12% dal 2009 al 2014. Oggi viene utilizzata solo circa la metà della capacità produttiva del Paese.

In una normale economia formale, la manodopera dovrebbe spostarsi da settori a bassa produttività e basso reddito come l’agricoltura a settori ad alta produttività e ad alto reddito come l’industria manifatturiera. Il lavoro in realtà sta tornando all’agricoltura e ad altri settori economici a basso reddito.

La mancanza di opportunità professionali e la catastrofica situazione economica sta causando disordini sociali, che sono cresciuti nel corso dell’anno, in seguito alla decisione di estromettere l’uso di valute estere che avevano contribuito a stabilizzare l’economia dopo il crollo del dollaro dello Zimbabwe nel 2009.

Repubblica Democratica del Congo – L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato che la Repubblica Democratica del Congo inizierà a utilizzare un secondo vaccino contro l’ebola nell’ambito degli sforzi per ridurre l’epidemia che ha ucciso più di 2.000 persone negli ultimi 13 mesi.

Il vaccino sperimentale, prodotto dalla società americana Johnson & Johnson, sarà introdotto da metà ottobre in aree che non hanno trasmissione attiva dell’ebola.

Il prodotto completerà un altro vaccino sperimentale, prodotto dal colosso farmaceutico statunitense Merck, che fino ad oggi è stato somministrato a circa 225.000 persone.

L’ex ministro della sanità del Paese Oly Ilunga Kalenga, si era fortemente opposto all’uso del secondo vaccino, che non si è dimostrato efficace.

La Johnson & Johnson ha testato il nuovo vaccino su oltre 6.000 volontari in numerosi studi.

L’approccio dell’OMS è incentrato sulla cosiddetta ‘strategia ad anello’, in base alla quale tutte le persone a contatto con casi confermati di ebola ricevono il vaccino.

Spesso viene eseguita una ‘vaccinazione geografica mirata’ di interi quartieri considerati ad alto rischio virale.

Una combinazione tossica di insicurezza profondamente radicata nella regione e diffidenza diffusa nei confronti dell’epidemia hanno notevolmente ostacolato il tentativo di fermare la diffusione del virus. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Inflazione nello Zimbabwe, vaccino contro l’ebola nella Repubblica Democratica del Congo” di Federica Iezzi


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Roma, 21 settembre 2019, Nena News 

Burkina Faso – I leader dell’Africa occidentale riuniti in Burkina Faso hanno annunciato un piano da un miliardo di dollari per combattere la crescente insicurezza nella regione del Sahel.

L’impegno, che sarà finanziato dal 2020 al 2024, è stato annunciato alla fine del vertice della ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), tenutosi a Ouagadougou, la capitale burkinabè.

Il fondo comune contribuirebbe a rafforzare le operazioni militari dei Paesi coinvolti, contro i gruppi armati, affiliati ad al-Qaeda, che hanno rafforzato il loro punto d’appoggio attraverso l’arida regione del Sahel, rendendo inagibili ampie aree di territorio e alimentando la violenza etnica locale, in particolare in Mali e Burkina Faso.

Supportata dalla Francia, già una forza militare multinazionale nella regione del Sahel ha iniziato le operazioni di mantenimento della pace nel 2017, attirando truppe dal Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania nel tentativo di respingere i gruppi armati.

Ma la mancanza di finanziamenti, addestramento e attrezzature ha limitato l’efficacia della task force congiunta del G5 Sahel.

All’inizio del vertice di Ouagadougou, il presidente della Commissione ECOWAS, Jean-Claude Brou, ha sottolineato il crescente pedaggio umano, economico e politico della violenza, invitando le Nazioni Unite a rafforzare la propria missione di mantenimento della pace MINUSMA, con sede in Mali dal 2013.

Spaventoso tributo: 2.200 attacchi negli ultimi quattro anni, 11.500 morti, migliaia di feriti, milioni di sfollati.

Repubblica Democratica del Congo – L’ex ministro della salute della Repubblica Democratica del Congo è attualmente in custodia cautelare per la presunta cattiva gestione dei fondi stanziati per la risposta del Paese alla recente epidemia di Ebola in corso.

La polizia nazionale ha dichiarato che Oly Ilunga Kalenga è stato arrestato perché aveva intenzione di eludere i procedimenti giudiziari lasciando il Paese.

Sono arrivate a quasi 2000 le vittime dell’ultimo focolaio di ebola in Repubblica Democratica del Congo, mentre i casi confermati del virus hanno ormai superato i 3000.

Dall’agosto 2018, la malattia virale ha continuato a diffondersi nelle province orientali del Nord Kivu e Ituri.

Alcuni casi sono stati confermati anche in Uganda dopo che alcuni dei pazienti hanno attraversato il confine.

Una sfiducia nei confronti degli operatori sanitari e diffusi problemi di sicurezza hanno minacciato la lotta contro l’infezione mortale. Tra i disordini, gli operatori sanitari sono riusciti a vaccinare sperimentalmente oltre 200.000 persone.

Somalia – Secondo gli ultimi dati resi pubblici dalle Nazioni Unite, circa due milioni di persone in Somalia sono a rischio di grave malnutrizione, a causa della siccità che tormenta il Paese, la peggiore dal 2011.

Decenni di conflitti e mancanza di investimenti hanno minato la capacità della Somalia di far fronte a ripetute crisi umanitarie.

La siccità è sempre più frequente e intensa e la stagione delle piogge provoca ormai inondazioni ricorrenti nel Paese. L’analisi più recente delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare ha mostrato che il raccolto dallo scorso aprile allo scorso giugno, è stato il peggiore dal 2011, a causa di piogge scarse e irregolari, a cui sono seguite distruttive inondazioni.

Nei prossimi mesi si prevede che fino a sei milioni di persone siano insicure dal punto di vista alimentare.

Circa 2,6 milioni di persone sono già state costrette a lasciare le proprie case a causa di catastrofi naturali e conflitti, secondo quanto dichiarato dall’ONU.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Malnutrizione in Somalia, piano per combattere l’insicurezza nel Sahel” di Federica Iezzi


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Roma, 14 settembre 2019, Nena News 

Nigeria – La Nigeria ha avviato il processo di rimpatrio di oltre 600 dei suoi cittadini dal Sud-Africa a seguito della recente ondata di attacchi xenofobi che ha logorato le relazioni tra i due Paesi.

La drastica decisione è arrivata dopo i gravi disordini iniziati a Pretoria e Johannesburg che hanno ucciso almeno una dozzina di civili e preso di mira 1.000 imprese di proprietà straniera.

La violenza ha suscitato proteste internazionali. Circa 700 persone sono ospitate in rifugi temporanei a Johannesburg.

Gli attacchi di rappresaglia in Nigeria hanno costretto alla sospensione degli affari sudafricani nel Paese, mentre l’ambasciata sudafricana a Lagos ha temporaneamente chiuso le porte per ragioni di sicurezza.

Questa non è la prima volta che gli stranieri vengono presi di mira in Sud-Africa. Nel 2008, almeno 62 persone, tra cui sudafricani stessi, sono state uccise, mentre la violenza e il saccheggio nei negozi di proprietà straniera hanno lasciato decine di decessi nel 2015.

Le cause profonde dell’ultima ondata di violenza non sono ancora chiare, ma i rapporti suggeriscono che è legato all’elevata disoccupazione, criminalità e povertà nel Paese.

Camerun – Il presidente del Camerun, Paul Biya, ha dichiarato la forte intenzione di creare un dialogo nazionale per porre fine alle crisi in atto nel Paese, compresa la violenza che ha ucciso migliaia di persone nelle sue regioni anglofone.

Biya ha invitato tutti i separatisti nelle regioni di lingua inglese ad arrestare le proteste che macchiano le strade delle principali città.

Il processo di dialogo presieduto dal primo ministro, Joseph Dion Ngute, coninvolgerà tutti i camerunensi, in particolare i governanti tradizionali, i legislatori, il clero e tutti i funzionari popolarmente eletti.

Lo scorso agosto, un tribunale militare del Camerun ha emesso dure pene per il leader separatista Julius Ayuk Tabe e altri attivisti anglofoni, per crimini di secessione, terrorismo e ostilità contro lo stato. I condannati erano stati arrestati nella vicina Nigeria ed estradati dal Camerun per aver sostenuto uno stato separatista anglofono in Camerun, noto come Ambazonia.

Le violenze hanno avuto inizio nel 2016 a partire da insegnanti e avvocati nelle regioni di lingua inglese del Camerun che protestavano contro una presunta discriminazione da parte della maggioranza francofona del Paese.

Il governo ha risposto con una repressione che ha scatenato un movimento armato per uno stato indipendente di lingua inglese, l’Ambazonia, autodichiarato da un gruppo di secessionisti nell’ottobre 2017.

Da allora il conflitto, secondo quanto dichiarato dalle Nazioni Unite, ha ucciso oltre 2.000 persone, il numero degli sfollati interni supera i 500.000 e almeno 50.000 sono i rifugiati nella vicina Nigeria.

Rwanda – Il Rwanda ha accettato di accogliere centinaia di rifugiati e richiedenti asilo africani detenuti nei centri di detenzione in Libia ai sensi di un accordo raggiunto con l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Unione Africana.

Un primo gruppo di 500 persone, inclusi bambini e giovani a rischio, provenienti in prevalenza dal Corno d’Africa, sarà evacuato nelle prossime settimane.

Le parti hanno firmato un protocollo d’intesa nella capitale etiope, Addis Abeba, per istituire un meccanismo di transito. In base all’accordo, il governo del Rwanda riceverà e fornirà protezione ai rifugiati e ai richiedenti asilo che sono attualmente detenuti nei centri di detenzione in Libia.

Saranno alloggiati in un centro di transito rwandese prima di essere reinsediati altrove, a meno che non accettino di tornare nei loro Paesi di origine.

Secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite, circa 4.700 rifugiati sono attualmente in custodia libica.

L’accordo arriva dopo anni di ripetute accuse riguardo le inumane condizioni per i migranti nei centri di detenzione libici, tra cui abusi fisici, mancanza di cure mediche e insufficiente nutrizione.

Il governo Kagame è pronto ad accogliere fino a 30.000 africani provenienti dalla Libia.

La firma dell’accordo è il culmine di un impegno del governo rwandese risalente al 2017, atto ad ospitare i migranti africani bloccati nel Nord Africa.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Si del Rwanda ai rifugiati detenuti in Libia, il Camerun apre il dialogo nazionale” di Federica Iezzi


Acting BCMM City Manager, Andile Fani Picture: MARK ANDREWS

Roma, 7 settembre 2019, Nena News

Sudafrica – Il prodotto interno lordo sudafricano è migliorato nel secondo trimestre del 2019 grazie a una ripresa delle attività estrattive e manifatturiere. Primi segni di ripresa per il presidente Cyril Ramaphosa mentre il Paese sembra destinato a schivare la recessione.

Nel 2018 il settore agricolo è precipitato, l’economia ha faticato a recuperare uno slancio. La crescita del Pil negli ultimi tre mesi è stata del 3,1%, secondo i dati dello Statistics South Africa

L’attuale crescita è stata la più alta dal quarto trimestre del 2017. La crescita del PIL su base annua è stata dello 0,9%. I dati hanno mostrato che la produzione mineraria è cresciuta del 14,4% e quella manifatturiera è cresciuta del 2,1%.

Burkina Faso – Due alleati del corpo militare dell’ex presidente deposto del Burkina Faso, Blaise Compaore, sono stati condannati per aver organizzato un tentativo di colpo di stato nel 2015 contro il governo di transizione.

Un tribunale militare ha consegnato al generale Gilbert Diendere, ex dirigente del Presidential Security Regiment, una condanna a 20 anni di prigione con l’accusa di danno alla sicurezza dello Stato.

Invece il generale Djibrill Bassole, ex ministro degli Esteri, accusato di tradimento, è stato condannato a una pena detentiva di 10 anni.

Quattordici persone furono uccise e più di 300 ferite durante i disordini. Il colpo di stato fu montato da un’unità d’élite dell’esercito, il Presidential Security Regiment, nel settembre 2015, meno di un mese prima delle elezioni generali programmate.

Compaore è fuggito in Costa d’Avorio nel 2014 dopo 27 anni in carica segnati da omicidi e crescente disordine pubblico.

Sebbene il presunto colpo di stato sia stato rapidamente represso, ha avuto conseguenze traumatiche per il Burkina Faso, ha scavato una profonda spaccatura nelle forze armate.

Guinea Conakry – Proteste sempre più incalzanti contro il presidente guineano Alpha Conde. Nel 2010, Conde, che guida il partito al potere Rassemblement du Peuple Guineen, vinse le prime elezioni democratiche dall’indipendenza del Paese dalla Francia, risalenti al 1958.

Quattro anni fa, è stato rieletto con una maggioranza del 58% contro l’Union des Forces Democratiques de Guinee, partito guidato dall’ex primo ministro Cellou Dalein Diallo, che si è assicurato il 32% dei voti.

Secondo l’attuale costituzione, un presidente può rimanere al potere per due mandati quinquennali. Le prossime elezioni presidenziali sono programmate il prossimo anno, ma se i termini del mandato venissero eliminati da un referendum o dal consenso dei due terzi del parlamento, Conde potrebbe rimanere presidente a vita.

Figura di opposizione di lunga data, Conde fu incarcerato ed esiliato per le sue opinioni contro il precedente governo militare. È è diventato il secondo presidente della Guinea nel 1984 rovesciando il governo di Louis Lansana Beavogui, leader ad interim, dopo la morte di Sekou Toure, che aveva governato il Paese per i 28 anni successivi all’indipendenza.

Almeno 102 persone sono state uccise nelle proteste da quando Conde è entrato in carica, secondo una coalizione della società civile.

Nel corso degli anni, diversi leader africani hanno cercato di perpetuarsi al potere. Due dei capi di Stato più longevi del mondo sono Teodoro Obiang della Guinea Equatoriale e Paul Biya del Camerun che sono stati al potere rispettivamente dal 1979 e dal 1982.

All’avvicinarsi del suo secondo mandato nel 2007, l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo fece pressioni senza successo sui legislatori federali per modificare la costituzione e rimanere al potere. Paul Kagame, attuale presidente rwandese, potrebbe potenzialmente governare fino al 2034 grazie a un referendum del 2015. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Burkina Faso, condannati i golpisti” di Federica Iezzi


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Roma, 31 agosto 2019, Nena News

Somalia – Lo Stato meridionale del Jubaland ha rieletto Ahmed Mohamed Islam a leader della regione semi-autonoma. Ahmed ha sconfitto altri tre candidati in un voto espresso dai legislatori tenutosi nella città portuale di Kismayo. L’ex leader ribelle ha vinto con 56 dei 74 voti espressi.

Ahmed, 58 anni, è stato eletto per la prima volta nel maggio 2013, un anno dopo che le truppe somale, sostenute dai soldati dell’Unione Africana, hanno spinto il gruppo armato di al-Shabaab, fuori da Kismayo.

Le Nazioni Unite avevano invitato tutte le parti interessate a tenere un processo elettorale credibile, inclusivo, equo e pacifico.

Mali – La stagione del raccolto in Mali si è trasformata in un conflitto ancestrale che si svolge al culmine della stagione secca tra i Dogon, contadini e cacciatori tradizionali e i Fulani, pastori semi nomadi del Sahel. I Dogon accusano i Fulani di oltrepassare i terreni agricoli per nutrire i loro animali, mentre i Fulani accusano i Dogon di aver ucciso e rubato il loro bestiame.

La violenza non si limita al Mali: i Fulani nel Sahel sono in perpetuo conflitto con distinte tribù. Ad alimentare questo conflitto entrano gruppi armati, tra cui al-Qaeda.

La crisi nel centro del Mali è iniziata dall’occupazione del nord del paese da parte di gruppi terroristici ed è direttamente collegata alla situazione in Libia. Presente dal 2013, la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite Minusma. Ci sono attualmente 14mila truppe delle Nazioni Unite, tra cui soldati britannici, canadesi e tedeschi, oltre 4mila truppe da combattimento francesi e forze regionali del G5 Sahel.

Intanto i leader Dogon e Fulani rimangono entrambi scettici nei confronti degli attori esterni internazionali.

Tanzania – Il governo della Tanzania ha raggiunto un accordo con il vicino Burundi per il rientro dei rifugiati burundesi, a partire dal prossimo ottobre. Il rimpatrio avverrà in collaborazione con le Nazioni Unite. In base a questo accordo, saranno 2mila i rifugiati che saranno rimpatriati ogni settimana. Attualmente, circa 200mila burundesi sono in Tanzania, secondo i dati del governo.

L’Unhcr ha dichiarato che le condizioni in Burundi, immerso in una crisi politica quattro anni fa, non sono completamente favorevoli alla promozione dei rimpatri. In Burundi, centinaia di persone sono state uccise e oltre 400mila sono fuggite nei Paesi limitrofi a causa della violenza per lo più condotta dalle forze di sicurezza della nazione in seguito alla decisione del presidente Pierre Nkurunziza dell’aprile 2015 di candidarsi per un controverso terzo mandato.

Nkurunziza ha vinto la rielezione e subito dopo il Burundi ha sospeso tutte le attività di cooperazione con gli uffici delle Nazioni Unite, dopo che un rapporto commissionato dall’Onu ha accusato il governo di Bujumbura e i suoi sostenitori di essere responsabili di crimini contro l’umanità.

Ciad – Secondo quanto dichiarato dal ministro della giustizia del Ciad, un tribunale penale speciale ha condannato i 243 ribelli che hanno attraversato la Libia, lo scorso febbraio, prima che la loro incursione fosse interrotta da raid aerei francesi.

L’Union of Resistance Forces, gruppo armato che si oppone al presidente ciadiano Idriss Deby, con sede nel deserto libico meridionale, è avanzato per circa 400 km nel territorio del Ciad, prima di essere fermato dai raid aerei francesi nei pressi della capitale del Ciad, N’djamena. Il Ciad ha subito ripetuti colpi di stato e crisi da quando ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960.

Deby ha anche affrontato diverse crisi dopo il colpo di stato militare del 1990, mentre osservatori internazionali hanno messo in dubbio l’equità delle elezioni che lo hanno tenuto in carica per decenni. La Francia invece vede Deby come chiave per una più ampia lotta regionale contro i gruppi armati, e con questo principio ha basato le sue 4.500 forze dell’Operazione Barkhane a N’djamena. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. La Tanzania rimpatria i rifugiati in Burundi, nonostante la crisi” di Federica Iezzi


SUDAN, Al_Jazeera

Roma, 24 agosto 2019, Nena News

Sudan – Dopo mesi di incertezza politica e di violenze, il Sudan sembra entrare in una nuova era con il recente giuramento del nuovo primo ministro e del nuovo consiglio sovrano con membri militari e civili. Abdalla Hamdok è stato scelto come primo ministro dallo stesso movimento di protesta.

Il consiglio sovrano, composto da sei civili e cinque militari, governerà il Sudan per poco più di tre anni fino a quando si potranno tenere le nuove elezioni. Sostituisce il Consiglio Militare di Transizione, che ha preso il potere ad aprile dopo che il presidente-sovrano Omar al-Bashir è stato costretto a lasciare l’incarico, in seguito a mesi di proteste di massa contro il suo governo pluridecennale, proteste da cui è nata l’Alleanza della libertà e il cambiamento, alleanza di gruppi della società civile e partiti di opposizione

L’esercito sudanese ha rovesciato al-Bashir in aprile dopo mesi di manifestazioni diffuse contro il suo governo autoritario. Le prime proteste risalgono allo scorso dicembre a causa di condizioni economiche disastrose. Anche il generale Abdul Fattah al-Burhan, prima a capo del Consiglio Militare di Transizione, ha prestato giuramento come presidente del consiglio sovrano. Condurrà il consiglio per 21 mesi, in seguito un leader civile, nominato dal movimento di protesta, subentrerà per i seguenti 18 mesi.

Con l’inizio del periodo di transizione, il Sudan è entrato nella fase più complessa, la fase di costruzione e riforma. Oltre ad al-Burhan, i militari nel consiglio sono il generale Mohamed Hamdan Dagalo, Yasser Abdul Rahman al-Atta, Ibrahim Jabir e Shams al-Din Kabashi. I sei civili includono due donne: Ayesha Musa Saeed e Raja Nicola Issa Abdul-Masseh, giudice della minoranza copta cristiana del Sudan. Gli altri sono Hassan Sheikh Idris Qadi, Al-Siddiq Tawer Kafi, Mohammed al-Fekki Suleiman e Mohamed Osman Hassan al-Taayeshi.

Il consiglio sovrano sovrintenderà alla formazione di un governo e di un organo legislativo composto da 300 membri. Dunque, il prossimo focus del popolo sudanese sarà sul consiglio esecutivo, che avrà la maggioranza delle forze di libertà e cambiamento.

I tortuosi negoziati sul consiglio civile e militare congiunto non si sono arrestati nonostante una mortale repressione della sicurezza in un sit-in di protesta nella capitale Khartoum. Almeno 250 persone sono state uccise da dicembre, secondo gli organizzatori della protesta. Ora le sfide future includono la lotta alla crisi economica che ha scatenato le proteste contro al-Bashir e i conflitti in corso nelle regioni del Darfur, Kordofan e Blue Nile.

Ma chi è Abdalla Hamdok? Famoso economista, a seguito di lunghi negoziati con il Consiglio Militare di Transizione, ha strappato il ruolo di primo ministro nel governo del Paese. Nato nella provincia centro-meridionale del Kordofan, Hamdok ha oltre 30 anni di esperienza come economista e analista senior specializzato in sviluppo economico in tutta l’Africa. Ha iniziato a trattare le sfide immediate: inflazione, disoccupazione giovanile e disponibilità di materie prime. Dal 1981 al 1987 è stato un alto funzionario del Ministero delle finanze e della pianificazione economica del Sudan, prima di assumere diversi ruoli di leadership in istituzioni tra cui l’African Development Bank e l’International Labour Organization.

Ha ricoperto la carica di vice segretario esecutivo nella Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa. La nomina di Hamdok a primo ministro segnala l’intenzione della nuova leadership sudanese di affrontare una crisi finanziaria ormai divenuta cronica. La sua più grande sfida sarebbe quella di integrare il Paese nell’economia internazionale dopo 20 anni di paralizzanti sanzioni commerciali statunitensi. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Transizione in Sudan, chi è il nuovo premier” di Federica Iezzi


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Roma, 17 agosto 2019, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – Va avanti la ricerca dei primi trattamenti efficaci per il virus Ebola dopo che due potenziali farmaci hanno mostrato tassi di sopravvivenza fino al 90%, in uno studio clinico nella Repubblica Democratica del Congo. I due farmaci sperimentali, Regeneron’s REGN-EB3 e l’anticorpo monoclonale mAb114, hanno mostrato buoni risultati, secondo quanto dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

I farmaci hanno migliorato i tassi di sopravvivenza alla malattia rispetto a due altri trattamenti in fase di sperimentazione: lo ZMapp, prodotto dalla Mapp Biopharmaceutical, e il Remdesivir, prodotto da Gilead Sciences.

L’endemia di ebola si è diffusa nell’area orientale della Repubblica Democratica del Congo dall’agosto 2018 in un focolaio che finora ha ucciso almeno 1.800 persone. Gli sforzi per controllarlo sono stati ostacolati dalle violenze legate alla milizia Boko-Haram. Gli operatori sanitari, inoltre, hanno lottato per ottenere la cooperazione delle comunità colpite, molte delle quali sono profondamente diffidenti nei confronti del governo Tshisekedi.

Almeno 680 pazienti in quattro centri di trattamento separati nel Paese sono già stati arruolati nella sperimentazione clinica del nuovo trattamento. Intanto il focolaio supera i confini dell’Uganda, dove sono stati dichiarati dallo scorso giugno tre casi di Ebola.

Zimbabwe – Lo Zimdollar, ormai unica moneta legale dello Zimbabwe, è in piena crisi. Nel 2009, l’impennata inflazionaria ha spinto lo Zimbabwe a abbandonare la sua valuta sovrana a favore di un paniere di valute estere, guidate dal dollaro Usa. Ma l’economia ha avuto un forte colpo nel 2015 quando l’insufficienza della valuta statunitense ha indebolito il sistema bancario formale.

Nel tentativo di porre fine alla carenza di dollari Usa, la banca centrale dello Zimbabwe ha introdotto le obbligazioni, una forma di valuta surrogata, che è stata sostenuta da 200 milioni di dollari dell’Africa Export-Import Bank. La speculazione del mercato nero ha rapidamente eroso il valore delle obbligazioni, innescando una carenza che la banca centrale ha cercato di compensare creando banconote elettroniche.

Quindi, lo scorso febbraio, tutte le obbligazioni sono state fuse nel Real Time Gross Settlement dollar (RTGS) o Zimdollar. Una valuta provvisoria, progettata per spianare la strada a un nuovo dollaro dello Zimbabwe previsto per la fine dell’anno. Lo Zimdollar è rapidamente caduto in preda alle speculazioni del mercato nero che hanno fatto precipitare il suo valore.

Attualmente meno vale lo Zimdollar e più i prezzi di beni e servizi salgono. La maggior parte degli zimbabwani è alle prese con difficoltà finanziarie legate alla carenza di carburante, blackout continui che hanno colpito le aree residenziali e industriali e salari che non riescono a tenere il passo con l’inflazione a spirale.

Nel tentativo di creare supporto per lo Zimdollar, la banca centrale dello Zimbabwe ne ha prelevato circa 400 milioni dal sistema bancario a giugno, quando sono diventati l’unica moneta legale del Paese. Ma non è riuscita a arginare gli attacchi speculativi e ha esacerbato l’attuale crisi di liquidità fisica. Attualmente la banca centrale consente prelievi fino a 300 Zimdollars (circa 30 dollari) a settimana. Ma l’importo massimo giornaliero, consentito da molte banche, è di 60 Zimdollars (6 dollari).

Secondo quanto dichiarato dal presidente Mnangagwa la banca centrale avrebbe iniziato a coniare nuove banconote, ma non ha offerto un calendario preciso.

Eritrea – Secondo un nuovo rapporto di Human Rights Watch, il sistema educativo eritreo continua a forzare gli studenti a impieghi militari o governativi indefiniti. L’istruzione secondaria eritrea è una macchina di coscrizione che sottopone gli studenti a lavoro forzato e abusi fisici.

Nonostante un accordo di pace con l’Etiopia, risalente al luglio 2018, che ha ispirato la speranza a una riforma, il governo guidato dal presidente Afwerki dal 1993, non ha attuato cambiamenti significativi nel sistema. L’Eritrea è stata condannata dalle Nazioni Unite per abusi che includono omicidi extragiudiziali, torture e violenze. Il Global Slavery Index stima che il 93‰ dei cittadini eritrei vive in una forma di schiavitù moderna.

Dal 2003, gli studenti all’ultimo anno di scuola secondaria sono costretti ad allenarsi nell’isolato campo militare di Sawa, vicino al confine sudanese. Qui, gli studenti sono indirizzati verso disciplina di tipo militare, punizioni fisiche e lavoro forzato.

Dopo la formazione obbligatoria, alcuni studenti vengono inviati direttamente al servizio militare. Altri vengono inviati al college, da cui vengono incanalati in lavori governativi. Coloro che rifiutano questo futuro hanno poche scelte oltre a fuggire dal Paese. E coloro che tentano di fuggire spesso affrontano una lunga detenzione con abusi fisici e torture. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Farmaci contro Ebola, in Congo si sperimenta la cura” di Federica Iezzi


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Roma, 10 agosto 2019, Nena News 

Benin – Un tribunale del Benin ha imposto un periodo di detenzione di sei mesi all’ex primo ministro Lionel Zinsou, leader politico dell’opposizione, per violazione della campagna elettorale.

Il provvedimento vieta a Zinsou di candidarsi alle prossime elezioni politiche, contro l’attuale presidente Patrice Talon.

Il leader è stato dichiarato colpevole di aver utilizzato documenti falsi e di aver abbondantemente superato i limiti di spesa nella sua offerta del 2016 per la presidenza della nazione dell’Africa occidentale.

I critici dichiarano che l’ultima sentenza fa parte di una repressione concertata dell’ex magnate degli affari Talon che ha portato persino all’esilio di avversari chiave.

Talon, che ha fatto fortuna nell’industria del cotone, è salito al potere nel 2016 su una piattaforma di modernizzazione, promettendo di sradicare la corruzione e la cattiva gestione in un Paese che ha la reputazione di una delle democrazie più stabili della regione.

Le proteste hanno pesantemente scosso il Benin in seguito al voto parlamentare dell’aprile 2016 che ha visto i partiti alleati di Talon conquistare tutti i seggi elettorali. I gruppi di opposizione sono stati di fatto banditi.

Zimbabwe – L’inizio del nuovo mandato per l’attuale presidente dello Zimbabwe, Emmerson Mnangagwa, si era politicamente staccato dal passato rovinoso e spesso autocratico del suo predecessore e si era impegnato nuovamente con la comunità internazionale, dopo anni di ostracismo diplomatico.

Era previsto un ritorno alla democrazia.

Economicamente si stavano perseguendo nuove politiche come l’apertura del Paese agli affari internazionali. Si stava anche tentando di abbandonare politiche controverse come l’indigenizzazione, legge che obbligava gli investitori stranieri, con aziende del valore patrimoniale netto di un milione di dollari a cedere quote azionarie per il 51% agli indigeni dello Zimbabwe, per correggere squilibri storici di prosperità.

Ma un anno dopo la nuova presidenza in Zimbabwe, la speranza di un nuovo Paese è svanita. Mnangagwa ha perso il supporto e ha confermato la peggior paura di tutti: una gestione peggiore di quella di Mugabe.

La vita è più dura. I prezzi continuano a salire. Non gira denaro nell’economia. Le tasse scolastiche sono alle stelle.

Lo Zimbabwe è di fronte a una crisi politica ed economica caratterizzata da carenza di energia, aumento dei prezzi, crisi valutaria e carenza di carburante.

Mnangagwa inoltre non ha istituito riforme delle leggi ritenute incostituzionali come la legge repressiva sull’accesso alle informazioni e alla protezione della privacy e la legge sull’ordine pubblico e la sicurezza. Le due leggi sono state viste da sempre come un attacco ai diritti fondamentali come la libertà di espressione e di associazione.

Guinea Equatoriale – Un decennio fa, nessuna nave era al sicuro al largo della Somalia. Uomini armati di mitragliatrici su piccole imbarcazioni prendevano sistematicamente di mira le navi, comprese quelle collegate a aiuti umanitari.

È difficile confrontare la pirateria dell’Africa orientale con quella dell’Africa occidentale. Sono due fenomeni separati. Il Corno d’Africa ha attraversato gravi fallimenti governativi. Il Golfo di Guinea ha stati sovrani funzionanti.

La minaccia della pirateria continua a tormentare la regione del Golfo di Guinea, area che copre 11.000 chilometri di costa dall’Angola al Senegal, impedendone la sicurezza e lo sviluppo economico.

La maggior parte degli attacchi viene effettuata su petroliere e petroliere. La regione produce oltre cinque milioni di barili di petrolio greggio al giorno, fonte vitale di petrolio e gas per Asia, Europa e Stati Uniti.

Al largo delle coste dell’Africa occidentale, il costo totale della pirateria è aumentato costantemente negli ultimi tre anni, con un costo totale stimato superiore agli 800 milioni di dollari, secondo i dati del programma Oceans Beyond Piracy.

L’International Maritime Bureau dichiara che nei primi sei mesi di quest’anno, la maggior parte della cattura di ostaggi ha avuto luogo nel Golfo di Guinea.

Burundi – La malaria ha ucciso oltre 1.800 persone in Burundi quest’anno, secondo i dati dell’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite, un bilancio delle vittime in competizione con il letale focolaio di ebola nella vicina Repubblica Democratica del Congo.

Nel suo ultimo rapporto, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari ha affermato che nel Burundi sono stati registrati 5,7 milioni di casi di malaria nel 2019, una cifra approssimativamente pari alla metà della sua intera popolazione.

Il piano nazionale di risposta all’epidemia di malaria, attualmente in fase di convalida, ha messo in luce la mancanza di risorse umane, logistiche e finanziarie per una risposta efficace.

La mancanza di misure preventive, i cambiamenti climatici e l’aumento dei movimenti di persone dalle aree montane con bassa immunità alla malaria stanno guidando la crisi.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha registrato almeno 220 milioni casi della malattia parassitaria nel 2017, con circa 435.000 morti in tutto il mondo. Più del 90% dei casi di malaria e dei correlati decessi avviene in Africa. Nena News

Nena News Agency ” FOCUS ON AFRICA. Carcere per l’ex premier del Benin. 1800 le vittime della malaria in Burundi” di Federica Iezzi


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Roma, 3 agosto 2019, Nena News

Senegal-Gambia – Di tutti i confini artificiali stabiliti in Africa dalle potenze coloniali nel XIX secolo, uno dei più ridicoli è quello tra Senegal e Gambia. Geopoliticamente il Gambia, colonizzato dagli inglesi, è una sottile striscia di terra che corre sull’omonimo fiume, circondata sui tre lati dal Senegal. Su entrambi i lati, le persone condividono la stessa cultura e le stesse lingue locali, ma la scuola divide le popolazioni per la lingua d’istruzione, rispettivamente l’inglese per il Gambia e il francese per il Senegal.

Il confine tra i due Paesi è stato sempre motivo di tensioni economiche e di sicurezza. Chiuso già nel 2016 per una dura disputa tra i due governi. L’ex-presidente gambese Yahya Jammeh emise un decreto con il quale aumentava il dazio doganale applicato al traffico merci che attraversava il Paese, senza avvisare le autorità senegalesi. E poco è cambiato con il turbolento passaggio di consegna all’attuale presidente Adama Barrow.

Il Senegal affronta da anni un conflitto a bassa intensità con un movimento separatista interno nella regione di Casamance, il Mouvement des force démocratiques de Casamance (MFDC), nonché una persistente instabilità politica con la vicina Guinea-Bissau.

La chiusura delle frontiere e la lotta diplomatica continua tutt’oggi ad avere implicazioni economiche negative per entrambi i Paesi. Il Gambia è quasi interamente senza sbocco sul mare e quindi fa totale affidamento sul vicino Senegal, per i flussi commerciali terrestri. In molte occasioni le politiche e le scelte irrazionali del regime gambese hanno causato la fuga di migliaia di civili sulla sponda senegalese, secondo i dati dell’UNHCR.

Anche le seriate riaperture ufficiali del confine e le ispezioni da parte di delegazioni ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale), sono state motivo di disordini, soprattutto a carico dei trasportatori, i quali hanno pesantemente protestato contro l’aumento ingiustificato delle tariffe che stanno soffocando l’economia del Gambia.

Questo si ripercuote direttamente sull’aumento dei costi di trasporto all’interno del Senegal, in particolare nella problematica regione meridionale di confine di Casamance.

Di gran lunga il percorso più breve tra la regione di Casamance e la capitale Dakar, attraversa il Gambia ma con le continue chiusure del confine il viaggio di 420 km raddoppia.

Sul confine pattugliano forze di sicurezza congiunte che comprendono militari, Police Intervention Unit e guardiani del National Intelligence Agency.

La persistente instabilità cronica sconforta lo sviluppo economico nella Casamance, per agricoltura e turismo. Invece le attività illecite, come il traffico di droga e il disboscamento illegale, sono enormemente diffuse, nonostante i severi controlli da parte della polizia senegalese.

Nel tentativo di affrontare alcune delle cause profonde dei disordini in Casamance, il governo senegalese sta portando avanti importanti progetti infrastrutturali volti a migliorare i collegamenti della regione con il resto del Paese.

Tuttavia, qualsiasi miglioramento a lungo termine delle condizioni della regione dipenderà dal vicino Gambia. Le relazioni tra i due governi, mai state forti, sono peggiorate negli ultimi anni.

Il governo del Gambia è stato inoltre oggetto di critiche internazionali per le repressioni sui sostenitori di diritti politici e di diritti umani, che hanno aggravato le tensioni già esistenti tra i due governi. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Il confine tra Senegal e Gambia” di Federica Iezzi


L'Hôpital des plaies de de la cicatrisation de Balanveng, Cameroun / The Hospital of wounds and cicatrization of Balaveng, Cameroon

Roma, 27 luglio 2019, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – Nell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, si sottolinea la grande preoccupazione per il perpetrarsi di violenze che hanno provocato lo sfollamento di centinaia di migliaia di civili nell’area nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo e la minaccia di nuovi scontri sta impedendo ai civili il rientro nelle proprie case. Il deterioramento della situazione della sicurezza sta inoltre interrompendo il processo di rimpatrio nel Paese.

Gli scontri interetnici nella turbolenta e ricca regione dell’Ituri hanno lasciato almeno 700.000 persone in balia di soli aiuti umanitari. L’Ituri ha una storia di violenza etnica, con oltre 60.000 persone uccise e altre 500.000 sfollate a causa di sanguinosi scontri tra gruppi rivali tra il 1999 e il 2003.

In tutto il Paese, i disordini hanno prodotto 4,5 milioni di sfollati interni, dal dicembre 2017, e oltre 850.000 civili hanno attraversato i confini per stazionare in Angola, Zambia e altri Paesi limitrofi.

La politica della Repubblica Democratica del Congo è stata sconvolta da una lotta di potere da quando Felix Tshisekedi ha ottenuto la vittoria a sorpresa nel voto presidenziale dello scorso dicembre, contro il candidato favorito del presidente uscente Joseph Kabila, Emmanuel Ramazani Shadary.

L’assenza di un governo nazionale, dovuta principalmente all’intransigenza degli attori politici allineati con l’ex presidente Kabila, compromette progressi e iniziative.

Tanzania – Il governo Magufuli ha dichiarato di aver concesso le licenze per la costruzione di una fonderia di minerali e due raffinerie d’oro a impresari cinesi, nell’ambito dei programmi per generare maggiori entrate dall’industria mineraria nella Nazione. Almeno 37 società cinesi hanno manifestato interesse. La costruzione di miniere su larga scala, prevede un investimento individuale superiore ai 100 milioni di dollari.

La Tanzania risulta essere il quarto produttore di oro dell’Africa dopo il Sudafrica, il Ghana e il Mali.

Il governo tanzaniano ha dichiarato di aver istituito 28 centri di commercio di minerali dallo scorso marzo, per migliorare e controllare la raccolta delle entrate provenienti dai minatori africani di piccola scala. Per un totale di 60 milioni di dollari, l’oro è stato scambiato attraverso i nuovi centri minerari facendo incassare al governo almeno tre milioni di dollari in diritti d’autore e commissioni di liquidazione.

Secondo un rapporto parlamentare, infatti, i minatori su piccola scala producono circa 20 tonnellate di oro all’anno, ma il 90% di questo viene esportato illegalmente. La Tanzania ha conquistato 134 milioni di dollari in entrate minerarie nell’anno fiscale 2018-2019 che mira ad aumentare fino a 200 milioni di dollari nel prossimo anno fiscale.

Le esportazioni di oro sono una fonte chiave di valuta estera per il Paese, che solo l’anno scorso ha esportato oro per più di 1.500 miliardi di dollari, secondo i dati della Banca Centrale.

Kenya – Il presidente Uhuru Kenyatta ha sostituito il suo ministro delle finanze, Henry Rotich, accusato di frode per la gestione di contratti multimilionari indirizzati alla costruzione di due dighe nell’ovest del Paese. È la prima volta che un ministro delle finanze in Africa orientale, afflitta da una diffusa corruzione, viene accusato mentre è in carica. Rotich ha negato le accuse in un’apparizione in tribunale.

Secondo una dichiarazione del governo Kenyatta, l’attuale ministro del lavoro, Ukur Yatani Kanacho, ricoprirà il ruolo di Rotich.

Il presidente ha anche sostituito il funzionario vicino a Rotich, Kamau Thugge, e altri collaboratori. Le accuse sostengono che i funzionari avrebbero cospirato per truffare il governo nel progetto delle dighe nella contea di Elgeyo-Marakwet, nella Rift Valley Province, dove non è stata avviata alcuna costruzione nonostante siano stati già spesi miliardi di scellini kenioti.

Secondo alcune fonti la società italiana CMC (Cooperativa Muratori e Cementisti) di Ravenna, leader nel settore delle costruzioni, sarebbe coinvolta nell’inchiesta. La stessa ha negato qualsiasi illecito e ha dichiarato di collaborare con le autorità kenyane. L’accusa si riferirebbe, in effetti, alle condizioni del finanziamento, da parte delle banche di primaria importanza internazionale e delle opere pubbliche appaltate dal governo kenyano alla CMC. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. RDC, nuove violenze etniche. Kenya, corruzione ai vertici. Tanzania, affari d’oro con la Cina” di Federica Iezzi


RDC Al-Jazeera

Roma, 20 luglio 2019, Nena News

Repubblica Democratica del Congo – Deliberato lo stato di ‘Emergenza Internazionale di Salute Pubblica’ da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il primo paziente con diagnosi di ebola nella città di Goma, nell’area orientale della Repubblica Democratica del Congo, è morto.

Il ministero della Sanità del Paese aveva qualche giorno fa confermato il caso di ebola a Goma, attualmente il più grande centro abitato colpito dall’endemia.

Il virus ha ucciso oltre 1.650 persone dall’agosto 2018 nell’est del vasto Paese. Sono stati curati 694 civili e altri 160.239 sono stati vaccinati. Il vaccino è sperimentale, ma è stimato essere efficace al 97,5% e, secondo l’OMS, può proteggere un individuo fino a 12 mesi. E oggi il virus potrebbe diffondersi più rapidamente nell’area densamente popolata al confine con il Rwanda.

L’uomo che ha contratto l’infezione era arrivato a Goma, dopo un viaggio in autobus da Butembo, una delle principali città toccate dal virus ebola nella provincia del Nord Kivu. Sono già in corso le vaccinazioni per tutti i passeggeri di quella tratta.

Nella città di Goma, un centro per il trattamento dell’ebola è operativo già dallo scorso febbraio. Gli sforzi per combattere l’epidemia sono stati notevolmente complicati dai molteplici attacchi contro gli operatori sanitari e i centri di cura, nonché dalla sfiducia diffusa tra i membri della popolazione locale nei confronti sia del governo centrale di Kinshasa sia delle strategie mediche messe in atto dai soccorritori. Un’epidemia sovrapponibile a quella attuale tra il 2013 e il 2016 uccise oltre 11.300 persone nell’Africa occidentale.

Zimbabwe – Il servizio statistico dello Zimbabwe ha affermato che l’inflazione annuale è salita al 175,7% a giugno dal 97,9% di maggio. Sono dunque 29 mesi che i prezzi dello Zimbabwe hanno ripreso a salire dopo anni di deflazione.

I prezzi del cibo, dell’abbigliamento, dei mobili e dell’assistenza sanitaria sono aumentati di oltre il 200% a giugno rispetto a un anno prima. L’inflazione nella nazione dell’Africa meridionale ha raggiunto il picco dei 500 miliardi nel 2008, spingendo il governo ad abbandonare lo Zimbabwe dollar. Il governo il mese scorso ha annunciato il ritorno di una valuta nazionale e ha tenuto a precisare che il dollaro USA e il rand sudafricano ampiamente utilizzati negli ultimi dieci anni, non saranno più accettati come moneta a corso legale.

Il nuovo tasso di cambio creerà il rischio di una maggiore spinta verso il mercato nero, deprimendo ulteriormente l’economia di entrate statali già insufficienti, in un momento in cui il Paese sta fronteggiando una grave carenza di grano, carburante ed elettricità.

Uganda – Il politico, leader dell’opposizione e pop-star dell’Uganda, Bobi Wine, ha dichiarato che sfiderà il decennale presidente Yoweri Museveni nelle prossime elezioni del 2021. Wine, il cui vero nome è Kyagulanyi Ssentamu, ha affermato di essere preoccupato per la sua sicurezza dopo essere sopravvissuto a quello che crede sia stato un attentato alla sua vita lo scorso agosto.

Come leader del movimento popolare ‘People Power’, Wine ha catturato il consenso dei molti ugandesi che sperano nell’uscita di Museveni, che ha mantenuto il potere nel Paese dal 1986 e sembra destinato a correre per un nuovo mandato. Wine è entrato nella scena politica ugandese per la prima volta nel 2017 quando, come candidato indipendente, ha vinto le elezioni, diventando legislatore in rappresentanza di un collegio elettorale vicino a Kampala.

Da allora ha partecipato con successo a molteplici campagne come candidato dell’opposizione, aumentando il suo profilo come leader nazionale.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Ebola arriva a Goma, in Congo è stato di emergenza” di Federica Iezzi


Auxillia Mnangagwa - Zimbabwe

Auxillia Mnangagwa – Zimbabwe

#AuxiliaMnangagwa

Roma, 13 luglio 2019, Nena News

Zimbabwe – Politico dello Zimbabwe, Auxillia Mnangagwa diventa First Lady nel novembre 2017, come moglie del presidente Emmerson Mnangagwa. Entrò a far parte dell’ufficio del Primo Ministro nel 1992 e della Central Intelligence Organization nel 1997.

È entrata nel dipartimento finanziario dello Zimbabwe African National Union – Patriotic Front (Zanu-PF) a Kwekwe. Dopo un tentativo infruttuoso di schierarsi con lo ZANU-PF nella sua nativa Mazowe Central, nel 2009 è entrata a far parte del Comitato Centrale del partito.

Fu eletta membro del Parlamento Zanu-PF per Chirumanzu-Zibagwe nel 2015, quando suo marito ricopriva la carica di vicepresidente nel governo di Robert Mugabe. A nome di Zanu-PF, ha fondato un certo numero di banche femminili a Silobela, Zhombe, Kwekwe e Chirumanzu-Zibagwe nella provincia delle Midlands dello Zimbabwe.

Auxilia Mnangagwa ha spodestano gli anni di sgomento della moglie dell’ex-presidente Robert Mugabe, dittatore rimasto al potere per quasi 40anni, Grace Mugabe, schernita come ‘Gucci Grace’, per il suo evidente e spasmodico interesse verso la moda. Oggi la First Lady dello Zimbabwe è ampiamente accettata, anche per il suo lavoro di beneficenza nei confronti della condizione femminile del Paese.

Ha contribuito a creare banche femminili in diverse aree delle Midlands del Paese, tra cui Zhombe, Zibagwe e Chirimanzu. E nel 2013, ha anche lanciato una banca di donne a Mvuma con l’assistenza del Small and Medium Enterprises and Cooperative Development ministry.

È coinvolta inoltre in campagne che mirano a porre fine ai matrimoni della prima infanzia. È evidente che Auxillia Mnangagwa, ha aggiunto valore all’offerta presidenziale di suo marito attraverso iniziative caritatevoli come la ‘Angel of Hope Foundation’. È una fondazione costruita con i forti valori africani tradizionali e cristiani di amore e unità. I suoi obiettivi più ampi si fondano su attività di advocacy e iniziative incentrate su: lotta a HIV/AIDS, abuso di minori, violenza domestica, miglioramento dell’accesso all’assistenza sanitaria, istruzione della fascia giovanile. Il ruolo della Fondazione è quello di creare un futuro migliore per i membri vulnerabili della società.

Auxilia Mnangagwa ha fatto la sua apparizione inaugurale al Primo Forum delle donne africane contro l’HIV/AIDS. In questa spinta ha già creato una squadra per sviluppare il suo piano d’azione. Lo scrittore francese Alphonse Karr scriveva “Più le cose cambiano, più rimangono le stesse”. E in Zimbabwe è questa la vera aria che si respira nelle strade.

Non ci sono nette differenze tra la prima e la seconda repubblica del Paese, rispettivamente guidate da Robert Mugabe e Emmerson Mnangagwa. Non esiste una netta rottura con il passato, anzi le due ere hanno una sorprendente somiglianza.

Come succedeva con Mugabe, il Paese continua ad essere bloccato sotto il ciarpame amministrativo, istituzionale e culturale di Mnangagwa. La cultura del protocollo politico che ha accompagnato i 37 anni al potere di Mugabe non è variato. Ci sono solo state alcuni modifiche in relazione alle riforme legali, politiche ed economiche, ma i cambiamenti non hanno costituito un chiaro distacco dall’era Mugabe. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Zimbabwe, la first lady Auxilia Mnangagwa” di Federica Iezzi


Famiglia Sassou-Nguesso

Antoinette Sassou Nguesso – Repubblica del Congo

#AntoinetteSassouNguesso

Roma, 6 luglio 2019, Nena News

Repubblica del Congo – Antoinette Sassou Nguesso, la moglie del presidente della Repubblica del Congo, Denis Sassou Nguesso, nasce a Brazzaville ed è attuale First Lady dal 1997 dopo il primo mandato presidenziale del marito dal 1979 al 1992.

Ex insegnante, continua a mantenere il legame con la scuola attraverso la presidenza onoraria del ‘Mouyondzienne’, gruppo di ex-allievi del Collège des filles de Mouyondzi, nel dipartimento di Bouenza.

La famiglia di Sassou Nguesso rimane oggetto di numerose indagini legali e finanziarie negli Stati Uniti e in Francia. Alla stessa Antoinette Sassou Nguesso è stato notificato un mandato di comparizione costringendola a comparire per una deposizione negli uffici di White & Case, studio legale con sede a Washington in rappresentanza della Commissions Import Export – Commisimpex nella lunga controversia tra la società e la Repubblica del Congo.

L’azione delle cosiddette prime donne nelle ex-colonie francesi d’Africa ha sempre avuto un’impronta sociale diventata quasi un marchio di fabbrica e utile a coprire dietro una facciata umanitaria i regimi di cui sono parte integrante. Sono visibili nel campo dell’istruzione, della salute, della disabilità, del benessere delle popolazioni vulnerabili del rispetto dei diritti umani, dell’uguaglianza di genere, in paesi dove pesante è ancora il retaggio coloniale e dove il potere è gestito da decenni dagli stessi clan familiari.

Antoinette Sassou Nguesso è presidentessa dell’organizzazione non governativa ‘Fondation Congo-Assistance’ (Fca) fin dalla sua nascita nel 1984. L’obiettivo dichiarato della Fondazione è quello di promuovere l’azione sociale nei settori della salute, lo sviluppo, l’istruzione e la formazione professionale.

Collaborando con partner internazionali nel settore pubblico e privato, la Fondazione afferma di lavorare per migliorare la vita della popolazione vulnerabile congolese. Più del 40% della popolazione del Congo ha meno di 14 anni e quasi la metà vive al di sotto della soglia di povertà.

La Fca distribuisce aiuti alle vittime di conflitti, forma le donne affinché assumano ruoli dirigenziali e sta cercando di porre fine alla dannosa pratica culturale delle mutilazioni genitali femminili.

Dal 2000, i principali progetti sanitari della Fca si sono concentrati sulla cura di malattie croniche, tra cui l’Hiv/Aids, il cancro e le malattie cardiache. Le donne del Congo ricevono gratuitamente per cinque anni il Viramune, un farmaco che impedisce la trasmissione verticale dell’Hiv da madre a figlio, grazie al supporto della Fondazione che fornisce il trattamento antiretrovirale alle famiglie meno agiate.

Ha collaborato con il Marocco per costruire scuole in zone remote del Congo e con la Cina per fornire generatori, utilizzati nei centri di accoglienza per i malati di Hiv e per i gruppi di donne vulnerabili.

La Fondazione ha firmato un accordo di partnership con la società tedesca OncoInvest per costruire una clinica oncologica che fornirà un trattamento oncologico mirato, per tutti i congolesi, indipendentemente dai mezzi finanziari. Il trattamento per i meno abbienti sarà coperto da un fondo gestito dalla Fondazione stessa.

Madrina del National Sickle Cell Centre situato presso l’ospedale didattico di Brazzaville, Antoinette Sassou Nguesso affianca i programmi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul miglioramento del sistema sanitario nazionale riguardo l’anemia a cellule falciformi.

Mentre il Paese è impegnato a migliorare il proprio sistema sanitario, gli indicatori sanitari indicano sfide significative. L’aspettativa di vita è di 59 anni e rimangono alti i tassi di mortalità materna e infantile (442 decessi ogni 100mila nati vivi e 33 decessi ogni mille nati vivi). Il 12% dei bambini sotto i cinque anni sono sottopeso. Esiste un’ampia disparità nell’accesso ai servizi sanitari tra le persone che vivono nelle aree rurali rispetto a quelle che vivono nelle aree urbane. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Antoinette Sassou Nguesso, tra fondazioni umanitarie e povertà” di Federica Iezzi


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Dominique Folloroux-Ouattara – Costa d’Avorio

#DominiqueFollorouxOuattara

Roma, 29 giugno 2019, Nena News

Costa d’Avorio – Dominique Folloroux-Ouattara è l’attuale First Lady della Costa d’Avorio, sposata con il presidente Alassane Ouattara. Nata in Algeria francese, si è trasferita in Costa d’Avorio nel 1975 con il suo primo marito, Jean Folloroux, professore al Lycée Technique di Abidjan. Ha incontrato Alassane Ouattara, allora vice governatore del BCEAO (Banque Centrale des États de l’Afrique de l’Ouest), a Dakar dopo il 1983. Alassane Ouattara fa ancora i conti con le accuse legate ai crimini commessi dalle forze ribelli che lo appoggiavano, durante la crisi post-elettorale del Paese nel 2010-2011, che hanno causato la morte di oltre 3.000 persone.

Potente donna d’affari, è stata CEO dell’Association of Image Consultants International Group. Ha fondato una società di gestione immobiliare la Malesherbes Gastron. È diventato CEO di French Beauty Services che gestisce il marchio del franchising Jacques Dessange statunitense.

Dopo l’elezione del marito alla presidenza della Repubblica, Dominique Ouattara ha cessato le sue attività come donna d’affari per concentrarsi esclusivamente sui suoi doveri da First Lady.

Nel novembre 2011 è stata nominata capo del National Oversight Committee of Actions Against Child Trafficking, Exploitation and Labour, come risultato del suo impegno nell’eliminare le peggiori forme di lavoro minorile in Costa d’Avorio. Collabora con partner nazionali e internazionali per l’eliminazione di questo flagello in Costa d’Avorio e nella sub-regione dell’Africa occidentale. L’ultimo progetto del Comitato ha previsto la costruzione di tre rifugi per bambini a Soubré, Ferkessédougou e Bouaké in Costa d’Avorio, per assistere i bambini esposti alla tratta e salvarli dalle mani dei trafficanti. Gli sforzi del Comitato hanno portato all’elaborazione di elenchi di lavori pericolosi vietati ai bambini e di lavori leggeri autorizzati per ragazzi tra i 13 ei 17 anni.

La First Lady ha diretto missioni umanitarie in Costa d’Avorio e nel 1998 ha creato la Fondazione ‘Children of Africa’, con l’obiettivo del supporto al benessere dei bambini.

Patrona della fondazione, attiva in Costa d’Avorio, Gabon, Madagascar, Burkina Faso e nei Paesi dell’Africa Centrale, è la principessa Ira von Fürstenberg.

Poche First Lady a fianco dei capi di stato africani riescono, come Dominique Ouattara, a guadagnarsi un posto da fuoriclasse per aiuti umanitari e imprenditoria senza la finestra politica. Attraverso queste due attività, la moglie di Alassane Ouattara ha costruito una rete di contatti molto variegata che comprende l’élite ivoriana e i capi di aziende di alto livello, ma anche personalità dello spettacolo e dei media.

Come prima sostenitrice delle ambizioni presidenziali del marito, oggi sta raccogliendo i frutti di molti anni di lotte. Il suo status di First Lady le ha permesso di accelerare la realizzazione dei suoi progetti di beneficenza, compresa la costruzione di un ospedale a Bingerville, nel sud-est della Costa d’Avorio.

Credendo fermamente che il potenziale delle donne possa avere un impatto sullo sviluppo economico di un paese, Dominique Ouattara ha lanciato il Fund to support the women of Côte D’Ivoire (FAFCI), per finanziare i microprogetti guidati dalle donne. Questo fondo mira a facilitare l’emancipazione finanziaria delle donne, incoraggiare l’imprenditorialità femminile e affrontare la disoccupazione. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Costa d’Avorio, l’impegno per i bambini di Dominique Folloroux-Ouattara” di Federica Iezzi


Mariéme-Faye-Sall

Mariéme-Faye-Sall – Senegal

#MariemeFayeSall

Roma, 22 giugno 2019, Nena News

Senegal – Nata nel Senegal del nord, cresciuta con le tradizioni Wolof, ha suscitato un consenso unanime per la sua umiltà e la grande capacità di ascoltare e comunicare con i poveri e con i giovani. Marieme Faye Sall, la Première Dame senegalese, crede nella condivisione equa e trasparente delle opportunità, per le popolazioni più diseredate e rese vulnerabili da condizioni avverse.

È la prima First Lady ‘indigena’ del Senegal, a precederla solo donne dal backgroud francese. Altro elemento non trascurabile della sua ascesa è la religione musulmana. Tutte e tre le precedenti First Lady del Senegal erano cristiane in una nazione al 90% musulmana.

Presidentessa della Serve Senegal Foundation, professa l’azione sociale a beneficio di chi ne ha più bisogno, in un flusso disinteressato di generosità e in una fede incrollabile per un Senegal di stabilità e innovazione. E il lavoro filantropico innovativo di Marieme Faye Sall inizia attraverso il supporto a pazienti in dialisi con problemi renali.

Il Senegal è un paese molto dinamico sulla scena internazionale. Ha ricevuto varie responsabilità all’interno dell’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, e più recentemente, del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Lo stesso presidente Macky Sall è impegnato a garantire la stabilità della sub-regione dell’Africa occidentale (in Mali, Burkina Faso, Guinea-Bissau).

Con il rivoluzionario Plan for an Emerging Senegal, il nuovo quadro politico del governo del presidente Sall ha l’obiettivo di portare il Paese sulla strada dello sviluppo entro il 2035. Tre sono i pilastri strategici: la trasformazione strutturale del quadro economico, la promozione del capitale umano, la garanzia di uno stato di diritto.

Durante la campagna presidenziale del 2012 Macky Sall vince contro il presidente uscente Abdoulaye Wade: Marieme Faye Sall ha agito come uno stretto consigliere di sostegno, rimanendo però fuori dalla pianificazione quotidiana del partito politico di supporto del marito.

I primi mesi a fianco del presidente ha affrontato la stampa senegalese pro-Wade. È stata subito paragonata alla potenza di Simone Gbagbo, First Lady della Costa d’Avorio e moglie di Laurent Gbagbo al potere fino al 2011 nel Paese, arrestata dalle forze pro-Ouattara.

Dal 2004 al 2007, quando Macky Sall era primo ministro, la First Lady aveva la reputazione di fare e disfare le carriere. Oggi rimane a una certa distanza dalla politica. Non ha mai partecipato a una riunione dell’Alliance pour la République (Apr), il partito creato da Sall nel 2008, né è stata coinvolta attivamente nell’ultima campagna elettorale.

In tutto il continente africano, numerose First Lady sono state riconosciute, applaudite e talvolta vilipese per i ruoli che interpretano a sostegno della politica dei loro mariti. Mentre molti possono applaudire Marieme Faye Sall come personaggio tradizionale, altri lo possono denigrare come un passo indietro per le donne africane. La maggior parte delle donne senegalesi si trova già a svolgere lavori non tradizionali per sostenere le proprie famiglie.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. La prima volta di Mariéme Faye Sall” di Federica Iezzi


Sylvia Bongo Odimba - Gabon

Sylvia Bongo Ondimba – Gabon

#SylviaBongoOndimba

Roma, 15 giugno 2019, Nena News

Gabon – Sylvia Bongo Ondimba, moglie di Ali Bongo Ondimba dal 1989, è diventata la First Lady del Gabon in seguito all’elezione del marito a presidente nell’ottobre 2009. Ali Bongo Ondimba è succeduto a Omar Bongo Ondimba continuando la dinastia dei Bongo iniziata nel novembre 1967, quando suo padre succedette al primo Presidente Léon M’ba.

Nata a Parigi, Sylvia Bongo Ondimba ha vissuto a Douala con il padre, un uomo d’affari francese che dirigeva il gruppo Omnium Gabonais d’Assurances et de Réassurances. Dopo una successiva e lunga permanenza in Tunisia, la famiglia della First Lady, decise di trasferirsi in Gabon. Qui Sylvia Bongo Odimba ricevette un’istruzione accademica alla Libreville Immaculate Conception Institution.

Nel gennaio 2011 ha creato la Fondazione Sylvia Bongo Ondimba ‘For the family’, per migliorare la condizione delle persone vulnerabili e svantaggiate. Dal 2015, la Fondazione è maggiormente coinvolta nel campo della salute e dell’istruzione.

Più che mai in passato, l’impegno della First Lady è nella lotta contro il cancro e all’HIV. Sono state create ventotto nuove unità di screening e diagnostica nel Paese. Brulicano le iniziative per i giovani con la nascita di due nuovi programmi, Safety First e Livre des Métiers

In base agli obiettivi fissati dal Millénaire pour le Développement, il tasso di prevalenza dell’HIV/AIDS nel Gabon dovrebbe essere inferiore all’1,2% nel 2015. Oggi questi obiettivi non sono attualmente raggiunti in nessuna delle province del Gabon. Nel 2012, il tasso di prevalenza dell’HIV/AIDS ha raggiunto il 4,1% nella popolazione generale, ovvero 41.000 persone. Alcune province come Woleu-Ntem e Moyen-Ogooué hanno tassi di prevalenza molto elevati, che sfiorano il 7,2%.

È con questo in mente che la Fondazione, nell’innovativo programma Safety First, ha deciso di impegnarsi in una campagna di sensibilizzazione contro l’HIV/AIDS, le infezioni sessualmente trasmesse e le gravidanze precoci.

La Première Dame è molto impegnata anche nel miglioramento relativo delle condizioni di vita delle persone disabili, delle donne e dei giovani più fragili. Ha permesso a decine di portatori di handicap di spostarsi più facilmente, di assistere meglio alle loro attività quotidiane e di promuovere sé stessi in termini sociali, economici e finanziari. E ha investito nell’organizzazione di posti medici avanzati, permettendo la protezione della salute di bambini e madri.

Proprio quest’anno la Fondazione ha istituito un premio dedicato alle associazioni leader che combattono la violenza contro le donne. La violenza contro le donne è una piaga che attraversa le generazioni. Il premio è un modo per aiutare coloro che, quotidianamente, combattono contro questa ignominia che non risparmia alcuna famiglia nel Gabon. Nena News

Nena News Agency ” FOCUS ON AFRICA. Gabon, l’impegno nel sociale di Sylvia Bongo Ondimba” di Federica Iezzi


Janet Museveni - Uganda

Janet Museveni – Uganda

#JanetMuseveni

Roma, 8 giugno 2019, Nena News

Uganda – Classe 1948, Janet Kataaha Museveni, oltre a vestire i panni della first lady dell’Uganda dal 1986, è a capo del Ministero dell’educazione e sport. Janet Museveni fuggì in esilio in Tanzania nel 1971, quando Idi Amin rovesciò con un colpo di stato militare il regime di Milton Obote, in cui suo marito Yoweri Museveni era ministro della Difesa.

Quando il regime di Amin cadde dal potere nell’aprile del 1979, tornò in Uganda con suo marito. Nel febbraio 1981 si trasferisce con i suoi figli prima a Nairobi, in Kenya, poi a Göteborg, in Svezia. Soggiorno durato fino al maggio 1986, quattro mesi dopo che l’Esercito di Resistenza Nazionale di Yoweri Museveni prese il potere a Kampala.

Lo stato Museveni e l’immenso potere presidenziale, che è la sua principale caratteristica, si concentrano sulla mobilitazione di conflitti militari per rafforzare la legittimità del regime e sulla sorveglianza degli spazi urbani per contenere i segnali della potenziale rivoluzione. Insieme queste dinamiche hanno cristallizzato il potere presidenziale in Uganda.

Una delle dirette conseguenze è stato il voto dei legislatori ugandesi nel 2017, riguardo la modifica della Costituzione del Paese, per permettere al leader di estendere il suo governo, potenzialmente garantendogli una presidenza a vita.

Organizzare e protestare è praticamente impossibile, poiché le aree urbane sono sotto stretta sorveglianza. Inoltre, le principali istituzioni statali, il parlamento, la commissione elettorale, la magistratura, i militari e la polizia, sono tutte rimaste fortemente legate al Movimento di Resistenza Nazionale, e dunque tutte le voci di dissenso vengono messe a tacere.

Janet Museveni entra in politica nel novembre 2005, nella contea di Ruhaama, Ntungamo District, rappresentandone il seggio al parlamento, nelle elezioni generali ugandesi del febbraio 2006. Ha vinto sul candidato per il Democratic Change Forum, Augustine Ruzindana. Ed è stata rieletta nel marzo 2011 per un ulteriore mandato di cinque anni.

Nel 2009, Janet Museveni è stata nominata ministro di Stato per gli affari di Karamoja e in seguito ministro della Pubblica Istruzione. Membro fondatore dell’Uganda Women’s Effort to Save Orphans (Uweso), Janet Museveni si prende cura, a fianco delle principali agenzie delle Nazioni Unite e di altre agenzie internazionali, degli orfani colpiti dalla guerra e dall’Hiv/Aids in tutti i distretti ugandesi.

Come membro dell’Organizzazione delle prime donne africane contro l’Hiv/Aids (Oafla), è in prima linea nella lotta alla malattia dal 1987, diventando parte della risposta aperta e aggressiva all’epidemia. È inoltre promotrice del National Strategy for the Advancement of Rural Women in Uganda (Nsarwu), organizzazione di supporto economico alle donne che vivono in realtà rurali, e dell’Uganda Youth Forum, associazione di sostegno ai giovani ugandesi. Quest’ultima fornisce una piattaforma per un dialogo aperto per i giovani dell’Uganda su questioni e sfide della crescita come la sessualità e le relazioni, l’adolescenza, l’amicizia e le scelte professionali.

Entrambe le fondazioni lavorano principalmente con donne delle periferie rurali, che tendono ad essere private di opportunità educative. Con un pacchetto di formazione intensivo e sensibilizzazione che fa parte di uno schema di microfinanza, la prospettiva delle donne ugandesi inizia ad espandersi. Più donne partecipano ai forum nazionali decisionali, in ruoli di responsabilità politiche, sociali ed economiche.

È leader dell’Iniziativa Safe Motherhood del Ministero della Salute e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la riduzione della mortalità e morbilità materna. Ed è co-presidente del Cure Children’s Hospital nella città di Mbale, in Uganda orientale, ospedale specializzato nella cura dei bambini con paralisi. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Janet Museveni, il volto dell’Uganda illiberale che piace a Occidente” di Federica Iezzi


Jeannette Kagame - Rwanda

Jeannette Kagame – Rwanda

#JeannetteKagame

Roma, 1 giugno 2019, Nena News

Rwanda – Fuggita per un breve periodo dal suo Ruanda durante il genocidio del 1994, la First Lady personifica una devozione attiva e appassionata verso la condizione delle popolazioni più vulnerabili in Rwanda, in particolare quelle delle vedove, degli orfani del genocidio e delle famiglie in difficoltà. Nessun’altra First Lady in Africa orientale ha dovuto affrontare la sfida aggiuntiva del profilo internazionale di suo marito, tanto quanto Jeannette Kagame. Paul Kagame è presidente di un piccolo paese africano, per molti versi un’icona globale.

Le iniziative di Jannette Kagame riflettono quindi un pensiero forte, progressista, lungimirante e orientato al futuro, mentre eludono le battaglie internazionali e regionali che suo marito sembra invece gradire.

È diventata membro fondatore dell’Organization of African First Ladies against HIV/AIDS (OAFLA) nel 2002 e ne è stata il presidente dal 2004 al 2006. Nel 2001 ha fondato il Protection and Care of Families against HIV/AIDS, poi Imbuto Foundation, iniziativa incentrata principalmente sulla fornitura di un approccio olistico alla prevenzione e all’assistenza verso i malati di AIDS. La fondazione supervisiona diverse iniziative in materia d’istruzione, empowerment economico, HIV/AIDS, malaria. Nel 2007 è stata nominata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come Alto Rappresentante dell’Africa AIDS Vaccine Program (AAVP), per garantire la partecipazione attiva degli stati africani nelle aree di ricerca e sviluppo su HIV e AIDS.

Nel 2008, è stata nominata promotrice della White Ribbon Alliance – Rwanda Chapter, iniziativa dedicata a ridurre la mortalità materna e infantile. Nel 2010 è stata nominata rappresentante speciale per la nutrizione infantile, dal Programma Alimentare Mondiale. Ha anche aderito alle campagne UNAIDS e LANCET come commissario di alto livello. È membro di commissioni di organizzazioni internazionali, tra cui Friends of the Global Fund Africa, Global HIV Vaccine Enterprise and Global Coalition of Women against HIV/AIDS. Nel 2014 è diventata membro internazionale onorario di Zonta International per il suo contributo nel cambiare gli atteggiamenti della società sulla figura femminile, migliorandone il benessere.

Nella storia pre-coloniale del Ruanda, il ruolo della donna nella comunità sia negli affari privati ​​che in quelli pubblici aveva grande peso. Questa considerazione è stata tradotta anche nella cura e nella protezione offerta alla donna, in tutte le diverse fasi della vita. Gli anni della lotta di liberazione e le conseguenze del genocidio che ha devastato il Paese hanno predisposto le donne ad assumere un ruolo significativo nella ricostruzione della nazione. Questa filosofia ha aiutato il governo ruandese a raggiungere e superare il requisito costituzionale del minimo del 30% delle donne in posizioni di leadership pubbliche, e a raggiungere il più alto tasso mondiale di rappresentanza femminile al parlamento, con il 64%, e al consiglio dei ministri con il 40%.

Jeannette Kagame è anche la fondatrice della Green Hills Academy, una delle migliori scuole ruandesi, fondata nel 1997 per contribuire al rafforzamento della fascia giovanile attraverso l’istruzione. Oggi la Green Hills Academy conta più di 1.500 studenti provenienti da diversi Paesi ed è l’unica scuola in Rwanda ad offrire il Bachelor’s degree e l’accreditamento Label France Education. Importante sostegno rivolto agli studenti, per la creazione di una competitività a livello internazionale. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Jeanette Kagame, la first lady del Rwanda” di Federica Iezzi


gfd

Nairobi (Kenya) – Margaret Gakuo Kenyatta

#MargaretGakuoKenyatta

Roma, 25 maggio 2019, Nena News

Kenya – Dicono che dietro ogni uomo di successo c’è una donna ambiziosa. Esempio calzante è quello del presidente Kenyatta e di sua moglie Margaret Gakuo Kenyatta. Figlia del primo amministratore delegato africano delle Ferrovie del Kenya, Margaret Gakuo Kenyatta, la terza First Lady di Nairobi, ha scolpito la sua immortalità sul retro della campagna ‘Beyond Zero’, iniziativa di sanità di base su scala nazionale, che ha lanciato cliniche mobili in tutto il Paese, in particolare nelle aree che hanno difficoltà ad accedere ai servizi medici.

La campagna mira a promuovere la salute materna, neonatale e infantile in Kenya, controllando allo stesso tempo la prevalenza dell’HIV. Il lavoro in tutto il Paese è basato sulla comprensione che l’accesso a un’assistenza sanitaria decente a prezzi accessibili è diritto costituzionale di ogni cittadino in Kenya.

La fase successiva della campagna, mirerà ad aumentare l’impatto mediante la costruzione di un nuovo ospedale nazionale, l’investimento nel rinnovamento di centri sanitari in tutto il Paese, la creazione di centri specializzati di neonatologia, laboratori e sale operatorie. Anche la ricerca e la formazione costituiranno una componente importante dei servizi offerti.

Sebbene la letteratura sulla leadership politica contemporanea in Africa sia relativamente ampia, la produzione letteraria sul ruolo delle first lady africane politicamente influenti è scarsa. Margaret Gakuo Kenyatta ha concentrato le sue forze su questioni di sviluppo, come la salute materna, l’istruzione, i diritti femminili.

Ha ripetutamente espresso le sue opinioni su conservazione e sostenibilità. Ha chiesto un divieto globale per il commercio interno di animali selvatici. È forte sostenitrice dell’armonizzazione dei bisogni umani e animali e dei mezzi di sostentamento.

Dal 2013, la First Lady è stata coinvolta in varie campagne per prevenire il bracconaggio di rinoceronti e elefanti, nonché il commercio illecito di prodotti della fauna selvatica in Kenya. È di fatto la guida della campagna ‘Hands Off Our Elephants’.

Il patrocinio della first lady è stato determinante nel coinvolgere varie istituzioni governative, come Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Kenya Wildlife Services, Kenya Airways, Nation Media Group, Kenya Tourism Board, Kenya Tourism Federation e Kenya Vision 2030. Nel 2015, Margaret Gakuo Kenyatta ha approvato la guida di WildlifeDirect sulla nuova legislazione sulla fauna selvatica del Paese.

Nel 2016, ha delineato il ruolo delle comunità locali nella protezione della fauna selvatica, descrivendole come le prime linee di difesa nella conservazione, citando come esempi il popolo Masai e le donne Imbirikani. Nel tentativo di migliorare la sostenibilità della fauna ha lanciato il Global Wildlife Program. Ha pianificato il lavoro di protezione della fauna selvatica come collaborativo, consultivo, incentrato sulla comunità e consapevole dei costumi e delle tradizioni locali. Margaret Gakuo Kenyatta è parte integrante delle discussioni nel consiglio dei ministri, di campagne ambientali nazionali, delle conferenze delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale.

Cara a molti kenyani, umile e pacata, ha accompagnato il presidente a L’Aia, nel lungo processo contro le accuse per crimini contro l’umanità, dopo le violenze post-elettorali del 2007/2008. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Margaret Gakuo Kenyatta, la first lady del Kenya” di Federica Iezzi


Chantal & Paul Biya

Yaoundé (Camerun) – Chantal & Paul Biya

#ChantalBiya

Roma, 18 maggio 2019, Nena News

Camerun – All’ombra di suo marito Paul Biya, la Première Dame di Yaoundé Chantal Biya, ha sviluppato metodicamente le sue reti d’influenza. Non ha nessuna funzione ufficiale e il suo nome non compare nella dettagliata tabella organizzativa della presidenza, ma nei corridoi del palazzo presidenziale di Etoudi, è ormai noto che la seconda moglie del capo di stato può essere un alleato forte.

Oggi Chantal Biya ha poco a che fare con la donna di 24 anni presentata in Camerun in una notte di festa nazionale, nel 1994, dopo un matrimonio a sorpresa, mentre il regime di Paul Biya usciva dalla polemica nata dallo stesso rinnovo del presidente.

Nata a Dimako, un villaggio del Camerun centro-orientale, è entrata a Etoudi come si entra in una fiaba. All’inizio, le sue funzioni erano essenzialmente formali, limitate in pubblico al ruolo di accompagnatore del capo di Stato. Ma la giovane donna imparò i codici della politica e fu in grado di trovare un posto nonostante le insidie. È la rivelazione di un vero polo di potere. La sua influenza sul marito di 86 anni dà origine a ogni tipo di speculazione.

Alla fine del 2016, fu addirittura suggerito che il suo ruolo dovesse essere regolarizzato dalla legge. Ma la proposta suscitò immediate critiche nei media dell’opposizione, preoccupati che la sua autorità sarebbe stata rafforzata. La sua immediata partecipazione agli affari pubblici la trasformò in un oggetto di attenzione popolare e di interesse mediatico sostenuto, che servì a rafforzare il culto della coppia presidenziale.

La Première Dame segna una società destabilizzata dalle dinamiche di sopravvivenza e una transizione sociale quasi anomala da un punto di vista relazionale e politico. La relativa simpatia popolare di cui gode è simboleggiata da un soprannome che unisce tenerezza, umorismo, ironia e scherno nei confronti del potere ‘Chantou’.

Chantal Biya umanizza in un certo senso un enigmatico capo di stato il cui assenteismo, i silenzi e la distanza nei confronti dell’arena politica nazionale e internazionale, rimangono parte integrante dello spettro politico camerunense.

Dopo il trauma del colpo di stato abortito nell’aprile 1984, la pressione popolare e internazionale ha agito per la democratizzazione del regime Biya, che poi ha attraversato una crisi politica acuta dal 1990 al 1993. È proprio in questa atmosfera tumultuosa sociale e politica che Paul Biya ha preso il potere ed è in questo contesto che Chantal Biya ha sequestrato progressivamente spazio mediatico.

Attraverso la guida di tre organizzazioni non governative (Fondation Chantal-Biya, Cercle des amis du Cameroun, Synergies africaines) l’azione della First Lady, si rivolge ai principali settori sociali particolarmente colpiti dalla crisi camerunense: salute e istruzione.

Particolarmente significativa rimane la posizione della signora Biya nell’associazione Synergies africaines, composta dalle mogli dei capi di stato, il cui lavoro si concentra sulla lotta contro l’AIDS. Chantal Biya è diventata la figura emblematica della lotta contro la pandemia dell’AIDS dal 2001.

A ruota, la Fondation Chantal-Biya si è posizionata nel circuito internazionale UNAIDS, stringendo importanti collaborazioni, ad esempio con la Glaxo Smith Kline Foundation, per dar vita ad un programma verticale contro l’infezione di bambini le cui madri sono sieropositive.

Invece, attraverso il Cercle des amis du Cameroun la First Lady ha sviluppato programmi per migliori studenti, occupandosi delle forniture scolastiche, concesse con l’aiuto di una casa editrice francese. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Chantal Biya, la first lady del Camerun” di Federica Iezzi


Namibia BBC

Roma, 11 maggio 2019, Nena News

Togo – Il parlamento del Togo ha approvato una modifica costituzionale che consentirebbe all’attuale presidente Faise Gnassingbe di rimanere in carica fino al 2030, nonostante le proteste diffuse. Approvata da 90 legislatori, supera l’approvazione dei quattro quinti richiesta dal parlamento.

L’emendamento limitava la carica presidenziale a due mandati quinquennali. Ma visto che l’applicazione non è retroattiva, Gnassingbe può candidarsi alle prossime due elezioni, nel 2020 e nel 2025, nonostante i suoi trascorsi tre mandati.
Un’altra modifica approvata dall’Assemblea Nazionale ha garantito l’immunità per tutta la vita a tutti gli ex presidenti, dunque per i nuovi termini costituzionali non possono essere perseguiti, arrestati, detenuti o processati per atti commessi durante il loro mandato presidenziale.

Il Paese ha una storia recente di scontri mortali, scoppiati nel 2017 sulle proposte di modifica costituzionali, dopo che le forze di sicurezza hanno represso i manifestanti chiedendo le dimissioni di Gnassingbe, facendo eco a un movimento di massa contro il suo primo incarico nel 2005, durante il quale almeno 500 persone sono state uccise.

Sud Sudan – Il formale presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ha annunciato che la formazione di un governo di unità è al momento ritardata di almeno un anno, secondo gli ultimi accordi di pace, approvati dall’Igad (Intergovernmental Authority on Development).

Il rinvio è arrivato su richiesta dell’ex leader dei ribelli Riek Machar, visto che il governo Kiir non è stato in grado di disarmare e integrare le varie forze del Paese da quando l’accordo è stato firmato. Nell’ambito di quest’ultimo accordo, datato settembre 2018, le parti in conflitto si sono impegnate ad attuare una serie di misure di sicurezza, tra cui il cosiddetto processo di accantonamento, in base al quale le forze armate di entrambe le parti devono essere riunite e successivamente integrate in un’unica forza.

Circa 400mila persone hanno perso la vita durante la quinquennale guerra civile del Sud Sudan, scoppiata nel 2013 tra le forze fedeli a Machar, allora vice presidente del Paese, e Kiir. L’accordo siglato a settembre ha seguito una serie di accordi di pace falliti. Sono stati compiuti pochi progressi sui confini statali o sull’integrazione di forze governative e ribelli.

Nigeria – Una giuria di cinque giudici presso la corte d’appello della Nigeria ha aperto un’udienza per le contestazioni legali presentate dalla principale opposizione del Paese contro l’esito delle elezioni presidenziali dello scorso febbraio.
Il People’s Democratic Party (Pdp) e il suo candidato, l’ex vicepresidente Atiku Abubakar, stanno sfidando la rielezione del presidente Muhammadu Buhari dell’All Progressives’ Congress (Apc), che ha trionfato con oltre quattro milioni di voti.

Osservatori locali e internazionali hanno affermato che le elezioni sono state offuscate dalla bassa affluenza e da numerose irregolarità, tra cui violenze e acquisti di voti. Anche l’Independent National Electoral Commission (Inec) ha respinto i risultati dei sondaggi dell’elezione.

Nei prossimi mesi dunque si prevede una lunga battaglia legale, legata alla burocrazia del sistema giudiziario nigeriano. Nessuna elezione presidenziale è mai stata ribaltata nella storia della Nigeria, inclusa quella del 2007, segnata da violenze diffuse e intimidazioni degli elettori.

Namibia – Diversi governatori regionali della Namibia hanno descritto l’attuale siccità come la peggiore degli ultimi tempi, con le zone di coltivazione di Zambesi, Kavango Est, Kavango West, Omusati, Oshana, Ohangwena e Oshikoto tra le più colpite.

Si parla di una siccità peggiore di quella del 2013 e del 2016. L’ex presidente Hifikepunye Pohamba dichiarò la siccità del 2013 un’emergenza, mentre Hage Geingob dichiarò la siccità del 2016 un disastro nazionale.

Il governatore della regione di Erongo, Cleophas Mutjavikua, ha descritto la situazione come una delle peggiori in quanto i pastori non hanno nessun posto dove far pascolare le mandrie. Prima si cercavano nuovi pascoli in posti come Otjiwarongo, Otjinene e Okamatapati, diventati ormai sovraffollati. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. In Namibia la siccità peggiore, in Togo un presidente inamovibile” di Federica Iezzi


#feesmustfall South Africa Al Jazeera

Roma, 4 maggio 2019, Nena News

Etiopia – Solo poco più di un anno fa, l’Etiopia era conosciuta come uno dei peggiori Paesi per quanto riguarda la libertà di stampa, con l’egemonia di controllo dell’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front’s (Eprdf), partito al governo dal 2015.

Il primo ministro Abiy Ahmed, che ha assunto la presidenza dell’Eprdf e la premiership nell’aprile del 2018, ha invertito la rotta sbloccando centinaia di siti web dissidenti e riammettendo di fatto nel Paese giornalisti in esilio.

Il nuovo governo etiope sta preparando una legislazione che imporrebbe fino a tre anni di carcere per coloro che diffondono discorsi di incitamento all’odio e notizie false.

In prospettiva delle elezioni nazionali nel 2020, l’Etiopia è alla ricerca di una rinnovata libertà di stampa. L’intera popolazione deve prendere decisioni informate, per evitare il ripetersi delle violenze delle elezioni nazionali post-2005 quando alcuni media sono stati accusati di contribuire agli scontri.

Benin – Le forze di sicurezza nella più grande città del Benin, Cotonou, avrebbero usato violenza per disperdere la folla che protestava contro l’esclusione dei partiti di opposizione dalle imminenti elezioni parlamentari. Solo i due partiti, vicini all’attuale presidente Patrice Talon, hanno potuto schierare i propri candidati e spartirsi gli 83 seggi al parlamento. L’opposizione è stata totalmente esclusa dalla tornata elettorale.

Centinaia di persone continuano a scendere in piazza, invitando Talon a dimettersi. Le proteste sono iniziate ore dopo che i primi risultati hanno mostrato una bassa affluenza alle urne, che ha raggiunto appena il 22,9%.

I sostenitori dell’ex presidente Thomas Boni Yayi, che ha guidato le proteste contro i risultati del ballottaggio, hanno condotto i disordini in seguito alla decisione della commissione elettorale di impedire ai partiti dell’opposizione di partecipare alle elezioni perché non in grado di soddisfare i rigidi criteri previsti dalla nuova legge elettorale.

Secondo Amnesty International un’ondata di arresti arbitrari di attivisti politici e giornalisti e la repressione delle proteste pacifiche hanno raggiunto un livello allarmante.

Sudafrica – Continua il movimento studentesco #FeesMustFall, esploso sul panorama politico del Sudafrica nel 2015 come protesta contro il costo dell’istruzione universitaria. Nell’ottobre 2015, irritati dagli annunci di un aumento del 10,5% delle tasse universitarie, gli studenti hanno protestato occupando la Johannesburg’s Wits University.

Le università sudafricane avevano inoltre scelto di assumere personale di supporto tramite appaltatori aziendali piuttosto che prediligere impieghi diretti: questo ha significato minori salari e la perdita di benefici come l’assistenza medica. Motivi questi dell’implemento delle proteste.

Uganda – Il capo dell’opposizione e pop-star di successo ugandese Kyagulanyi Ssentamu, in arte Bobi Wine, è stato liberato su cauzione dopo aver trascorso tre notti in un carcere di massima sicurezza.

Accusato di disobbedire all’autorità statutaria, rimane in balia di un lungo processo. Wine è stato anche accusato di tradimento per aver guidato i giovani ugandesi verso una sfida alla leadership del presidente Yoweri Museveni, e ha lasciato intendere che potrebbe candidarsi alla presidenza nel 2021.

Il cantante, entrato in parlamento nel 2017 e riconosciuto da subito come critico principale di Museveni al potere dal 1986, ha rapito i giovani ugandesi con le sue canzoni sulla giustizia sociale. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Studenti e opposizioni nelle piazze di Sudafrica e Benin” di Federica Iezzi


Malawi Al-Jazeera

Roma, 27 aprile 2019, Nena News

Malawi – Il Malawi è il capofila di un programma pilota di vaccinazione contro la malaria indirizzato ai bambini, nel tentativo di prevenire la malattia che uccide in Africa ogni anno centinaia di migliaia di persone.

Il vaccino RTS,S è attualmente il primo a fornire una protezione parziale contro la malaria.

Dopo oltre tre decenni di sviluppo e quasi 1 miliardo di dollari in investimenti, il vaccino all’avanguardia è stato lanciato nella capitale malawiana Lilongwe, che verrà seguita a ruota da Kenya e Ghana nelle prossime settimane.

I destinatari saranno bambini tra i 5 mesi e i 2 anni e, secondo le aspettative dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il vaccino raggiungerà circa 360.000 bambini all’anno fino alla fine del 2022 in tutti e tre i Paesi.

Il Malawi, il Kenya e il Ghana sono stati selezionati per l’introduzione del progetto pilota a causa dell’elevato numero di casi di malaria registrati.

In una sperimentazione clinica, i bambini che hanno ricevuto dosi del vaccino RTS,S hanno avuto una minore probabilità di sviluppare l’infezione.

Mali – Il presidente maliano, Ibrahim Boubacar Keita, ha nominato come nuovo primo ministro, il quarantunenne ex ministro delle finanze, Boubou Cisse. La nomina è avvenuta pochi giorni dopo la dimissione dei rappresentanti del governo, durante azioni reiterate di violenza che hanno investito il Paese dell’Africa occidentale.

Cisse non appartiene a nessun partito politico ed è stato ministro delle finanze del Paese per tre anni sotto il precedente governo. La sua nomina è avvenuta dopo consultazioni con vari attori della società civile, leader dell’opposizione e membri del partito al potere

L’ex primo ministro del Mali, Soumeylou Boubeye Maiga, e il suo governo si sono dimessi la scorsa settimana, dopo lo scioccante massacro di quasi 160 pastori della comunità Fulani.

Le dimissioni si sono verificate tra le pesanti critiche secondo cui Maiga non sarebbe riuscito a gestire il peggioramento della situazione legata alla sicurezza del Paese.

Sia il Mali che il vicino Burkina Faso sono stati colpiti da un picco nelle ostilità, accresciuto dai gruppi armati fondamentalisti islamici, che cercano di estendere la loro influenza sul Sahel, regione arida tra il deserto del Sahara settentrionale e le savane meridionali.

Il Mali è in stato di tumulto da quando l’etnia Tuareg ha assunto il controllo della metà del Paese nel 2012, spingendo i francesi ad intervenire.

Angola – Le elezioni amministrative in Angola sono previste per la prima volta nel 2021, un passo importante verso la democrazia. Il decentramento appare una soluzione plausibile che potrebbe rispondere ad alcuni gravi problemi locali.

Illuminazione pubblica, servizi igienici di base, energia, acqua potabile e gestione dei rifiuti: i temi principali.

In un Paese in transizione, la responsabilità e una migliore gestione dei fondi pubblici è ciò che molti cittadini si aspettano dal processo di decentramento.

La struttura del potere locale deve attraversare una serie di fasi. La riformulazione del potere si tradurrà in una gestione più diretta. Il modello portoghese è uno di quelli considerati tra i migliori adattati alla realtà angolana. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Malawi vaccino contro la malaria, Angola, presto elezioni amministrative” di Federica Iezzi


Ghana. Winrock International

Roma, 20 aprile 2019, Nena News

Ghana – Secondo la Banca Mondiale, la Banca africana di sviluppo, il Fondo Monetario Internazionale e il Brookings Institution, quest’anno il Ghana sarà deputato ad avere una delle economie a crescita più rapida del mondo. Lo scorso ottobre, il Fondo Monetario Internazionale ha ridotto le sue previsioni di crescita globale al 3,7% per il 2018 e il 2019.

Ciò significa che, dopo un buon periodo di solida crescita, il mondo sta affrontando un periodo in cui si stanno materializzando rischi significativi. Ad esempio, molte economie in via di sviluppo stanno affrontando pressioni da un dollaro statunitense più forte, inasprimento delle condizioni di mercato e aumentate tensioni commerciali.

Negli anni ’80, la nazione dell’Africa occidentale ha attraversato una pesante crisi, paralizzata dalla fame dopo una serie di colpi di stato militari. Dalle elezioni pacifiche del 1992 le prospettive economiche sono cresciute anche alla luce di importanti giacimenti petroliferi offshore.

E il petrolio non è l’unica risorsa che aiuta a guidare l’economia del Ghana. Il cacao è l’altra taglia naturale del Paese, che sostiene il settore agricolo, il quale alla fine dello scorso anno ha registrato il miglior trimestre di crescita dal 2010. La sua prevista crescita tra l’8,3 e l’8,9%, potrebbe superare l’India, con il suo settore tecnologico in forte espansione, e l’Etiopia, che nell’ultimo decennio è stata una delle economie africane in più rapida crescita grazie all’espansione della produzione agricola e delle esportazioni di caffè.

Al contrario la crescita in settori come la finanza e l’assistenza sanitaria è diminuita, in parte perché gli investimenti pubblici sono stati limitati negli ultimi anni, al fine di correggere anni di spese eccessive. Dopo un iniziale boom petrolifero nel 2011, crescenti pagamenti di interessi sul debito pubblico hanno portato il Paese a un profondo deficit di bilancio quando i prezzi del petrolio sono crollati.

In ogni caso, secondo gli analisti, oggi il Ghana sembra essere tornato su una base di bilancio stabile. Mentre l’obiettivo a lungo termine è di diversificare l’economia, la ragione principale dietro l’attuale ottimismo in Ghana è ancora il petrolio.

Negli ultimi 18 mesi, altri due importanti giacimenti petroliferi al largo della costa ghanese hanno iniziato la produzione. Secondo le statistiche della banca centrale, nel 2017 la produzione è balzata a circa 60 milioni di barili, con un conseguente aumento delle esportazioni di petrolio del 124% rispetto all’anno precedente. Inoltre a settembre, il Ghana ha vinto una disputa sul confine offshore con la vicina Costa d’Avorio, che dovrebbe aprire la strada a ulteriori esplorazioni petrolifere. Lo scorso gennaio ExxonMobil, una delle principali compagnie petrolifere statunitensi, ha firmato un accordo esplorativo con il governo di Nana Akufo-Addo.

Esiste un risvolto negativo: se la valuta del Ghana si rafforza come risultato delle esportazioni di petrolio, potrebbe mettere i produttori nazionali in svantaggio rispetto alle importazioni e portare a un rallentamento degli investimenti produttivi. Chiaramente il boom economico dovrà tramutarsi in posti di lavoro di alta qualità e crescita sostenibile. Per le strade della capitale Accra, dove la popolazione è aumentata di quasi un milione nell’ultimo decennio, continuano a riversarsi persone in cerca di lavoro.

In tutta la nazione, molti cittadini comuni si sentono esclusi dall’espansione economica. Il tasso di disoccupazione, sebbene inferiore alla media del 7,4% dell’Africa sub-sahariana, è aumentato dal 4% nel 2011 al 5,8% l’anno scorso, secondo la Banca Mondiale. Tra i giovani, il tasso di disoccupazione è pari all’11,5%. Di contro negli ultimi due decenni, i livelli di estrema povertà sono diminuiti di oltre due terzi, l’aspettativa di vita è aumentata del 10% e il reddito pro capite reale è cresciuto di oltre l’80%. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Ghana, il Paese in crescita” di Federica Iezzi


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Kigali, Rwanda – Gisozi Genocide Memorial Center

#genocidiorwanda #25anni

Roma, 13 aprile 2019, Nena News – Venticinque anni fa 800mila persone, in maggioranza tutsi, vennero massacrate nell’arco di tre mesi in Ruanda. I responsabili materiali furono gli uomini della Forza armata ruandese e il governo di Kigali. Ma, in modo indiretto, furono anche altri gli attori del massacro.

RADIO TELEVISION LIBRE DES MILLE COLLINES. Si può esplorare il genocidio in Ruanda attraverso il prisma dei media, attraverso il ruolo di giornali e radio, protagonisti nell’incitamento all’odio razziale. Un turbine sulle fiamme della violenza. Prodotto negli anni ’30 sotto il dominio belga, il periodico della chiesa cattolica, Kinyamateka, ha indossato un ruolo vitale nella creazione dell’ideologia razzista.

Grégoire Kayibanda, uno dei primi giornalisti del Kinyamateka, che poi sarebbe diventato il primo presidente del Paese dopo l’indipendenza, era solito incoraggiare gli hutu a espellere i tutsi o a combatterli brutalmente. Accanto al mensile, il settimanale Kangura ha partecipato alla diffusione della propaganda di odio contro l’etnia tutsi.

E nel giugno 1993 entra in gioco Radio Télévision Libre des Mille Collines, che continuava ad incoraggiare i civili ad armarsi e ad attaccare i tutsi. Lungi dall’essere una forza unificante, divise i ruandesi e martellò il pubblico con canzoni dai testi incendiari. La radio divenne una singolare arma di propaganda e il suo obiettivo è stato quello di demonizzare i tutsi, i cosiddetti hutu moderati e tutti coloro che collaboravano con i tutsi, specialmente quelli facenti parte del governo dell’epoca.

La radio era stata a lungo usata come portavoce del governo e gli stessi cittadini erano abituati a vivere il governo del Paese attraverso questa popolare forma di comunicazione. Appurata l’opportunità e il potere della radio, il governo ha usato deliberatamente e sottilmente i media per propagare l’odio genocida.

CHIESA CATTOLICA. Durante il genocidio, seppur migliaia di persone si rifugiarono nelle centinaia di chiese del Paese, furono ugualmente massacrate. Il Ruanda è uno dei Paesi africani più religiosi. Ma questa bella nazione, apparentemente devota, detiene anche una delle cose più oscure e malvagie della storia dell’intero continente.

Molte delle vittime sono morte per mano di sacerdoti, ecclesiastici e religiose, secondo alcuni resoconti dei sopravvissuti, e il governo ruandese ha dichiarato che molti sono morti nelle chiese dove i civili perseguitati avevano disperatamente cercato rifugio.

Nei primi giorni caotici del genocidio, più di 2mila persone avevano cercato rifugio nella più grande chiesa cattolica del Paese, l’église de la Sainte-Famille della capitale Kigali. Molti furono consegnati agli assassini da uno dei parroci, arruolati ufficialmente nelle milizie hutu.

IL RUOLO DELLA FRANCIA. Mentre il Ruanda segna 25 anni dal genocidio, il governo francese sta rinnovando gli sforzi per far luce sul proprio ruolo nel Paese, a lungo fonte di tensione tra Parigi e Kigali. Il Ruanda ha ripetutamente accusato la Francia di aver giocato un preciso ruolo nel genocidio sostenendo il governo hutu, accuse che hanno spesso offuscato le relazioni bilaterali.

Il 22 giugno del 1994 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato le truppe a guida francese a lanciare una missione umanitaria nota come Operation Turquoise che salvò migliaia di civili tutsi. Ma la Francia è stata fortemente criticata per aver permesso a molti dei soldati e funzionari responsabili del genocidio di fuggire attraverso la zona umanitaria che controllava in Repubblica Democratica del Congo.

La Francia aveva una forte presenza nel Paese già all’inizio degli anni ’90 sotto la presidenza di François Mitterrand. Durante la guerra civile nel 1990-1993, l’esercito francese addestrava già soldati ruandesi, ignorando i primi segnali di pericolo che aprirono le porte al genocidio.

TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE PER IL RWANDA. Nei mesi successivi al genocidio in Ruanda del 1994, il Consiglio di sicurezza dell’Onu istituì il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (ICTR). Non fu l’unico organismo istituito per giudicare i responsabili degli almeno 800mila morti in cento giorni di omicidi, ma divenne il primo tribunale internazionale a emettere un giudizio sul genocidio.

Complessivamente, in 5.800 giorni di procedimenti, sono stati incriminati 93 individui: politici, uomini d’affari, alti ufficiali militari e governativi, capi di media e leader religiosi. Due terzi di loro sono stati condannati e più di 3mila testimoni sono comparsi in tribunale per fornire i resoconti personali, che hanno delineato il quadro di crimini contro l’umanità.

L’ICTR è stato anche il primo tribunale internazionale a riconoscere lo stupro come mezzo per perpetrare il genocidio. Parallelamente al lavoro dell’ICTR, il sistema giudiziario ruandese ha tentato di pianificare equi processi a un numero impressionante di soggetti sospetti di genocidio, sia nei tribunali nazionali convenzionali che nei tribunali locali di gacaca, condotti dalla comunità. Ma le istanze di interferenze e le pressioni politiche hanno portato a una serie di processi iniqui. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Rwanda, tutti i responsabili del genocidio” di Federica Iezzi

Al Jazeera “Rwanda: from hatred to reconciliation”


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Roma, 6 aprile 2019, Nena News

Camerun – Secondo il nuovo rapporto di Human Rights Watch, le forze governative nelle regioni anglofone del Camerun hanno ucciso almeno 170 civili negli ultimi sei mesi. Anche se a causa delle continue violenze e delle difficoltà di accesso a zone remote, il numero di decessi tra i civili potrebbe probabilmente essere superiore. I disordini in corso hanno determinato lo spostamento di più di mezzo milione di persone.

Il conflitto armato è scoppiato nel 2017 nelle regioni anglofone nord-occidentali e sud-occidentali del Paese dopo che il governo ha represso violentemente le proteste pacifiche iniziate l’anno prima contro l’emarginazione percepita della popolazione di lingua inglese.

Nel rapporto di Human Rights Watch si descrive l’uso della forza indiscriminata da parte delle unità speciali dell’esercito. Distrutte centinaia di case e edifici pubblici nelle regioni nord-occidentali e sud-occidentali.

Naturalmente il governo Biya ha negato che le forze di sicurezza dello Stato abbiano effettuato abusi ai danni dei civili.

Almeno 30 casi sono pendenti nei tribunali militari di Bamenda e Buea per crimini quali tortura, distruzione di proprietà, violazione di ordini e furti.

Comore – Prime elezioni presidenziali nelle Isole Comore. In precedenza, la presidenza veniva ruotata attorno alle tre isole dell’Oceano Indiano, Grande Comore, Anjouan e Moheli, ogni cinque anni. L’accordo era stato messo in atto per promuovere la stabilità in un Paese che ha avuto più di 20 tentativi di golpe dalla sua indipendenza nel 1975.

L’anno scorso ci furono violente proteste quando il referendum pose fine al sistema di potere rotatorio tra le tre isole principali dell’arcipelago.

Grazie all’esito del referendum, il presidente Azali Assoumani ha potuto presentare la propria candidatura per la rielezione. Ha corso contro 12 avversari, aggiudicandosi la vittoria con più del 60% dei consensi.

La Corte Suprema ha escluso alcuni dei rivali di Azali, tra cui l’ex presidente Ahmed Abdallah Sambi, accusato di corruzione.

L’opposizione ha segnalato irregolarità nel voto della scorsa settimana.

Mozambico – Il numero di casi di colera in Mozambico a seguito del passaggio del ciclone Idai, continua ad aumentare nelle comunità colpite dalle inondazioni.

Almeno 1.500 persone sono state contagiate, nonostante le agenzie umanitarie stanno tentando di contenere l’epidemia. Il ministero della salute ha iniziato una campagna di educazione sanitaria e di igiene nelle aree maggiormente colpite dal ciclone.

Molti centri sanitari nelle comunità coinvolte, sono stati spazzati via dalle acque di piena, mentre i centri di salute gestiti dalle agenzie di soccorso sono a malapena sufficienti per sostenere migliaia di sfollati.

In atto la campagna di vaccinazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, rivolta a circa 900.000 persone.

Il ciclone Idai ha investito il Mozambico lo scorso 14 marzo, causando inondazioni catastrofiche che hanno ucciso più di 500 persone nel Paese. Almeno 259 persone sono state uccise nello Zimbabwe e 56 nel Malawi.

Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, attualmente circa 1,8 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria urgente. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. In Camerun almeno 170 civili uccisi, in Mozambico aumentano i casi di colera” di Federica Iezzi


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#specialecicloneidai

Roma, 30 marzo 2019, Nena News

Mozambico Confermati i primi cinque casi di colera intorno alla città portuale mozambicana di Beira, gravemente danneggiata, dopo che il potente ciclone Idai ha ucciso più di 700 persone in Africa sudorientale. Gli operatori sanitari stanno anche affrontando 2.700 casi di diarrea acquosa acuta, che potrebbero sfociare in colera. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta inviando 900.000 dosi di vaccino per il colera, per via orale, nelle aree colpite. Il colera è endemico in Mozambico, con infezioni regolari negli ultimi cinque anni. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità circa 2000 persone sono state contagiate nell’ultima epidemia, risalente allo scorso febbraio.

Intanto le Nazioni Unite hanno lanciato un appello urgente di aiuti per circa 1,8 milioni di persone colpite dal ciclone. Il timore è che interi villaggi siano stati spazzati via in luoghi che al momento rimangono irraggiungibili. Colpiti 3.000 chilometri quadrati in Mozambico, Zimbabwe e Malawi.

Personale del World Food Programme cerca di portare cibo e acqua potabile nei villaggi di difficile accesso. Le previsioni sono quelle di servire almeno 1,7 milioni di persone nei prossimi mesi, con un badget di 140 milioni di dollari. L’agenzia delle Nazioni Unite stima che 500.000 ettari di colture sono stati spazzati via dalle inondazioni e con essi il raccolto principale di aprile-maggio.

Importanti fonti di reddito agricole, di pesca e di allevamento sono state gravemente colpite. Il popolo di Beira continua a fare i conti con gli effetti mortali della tempesta, che ha distrutto l’area intorno alla città costiera, lasciando almeno 33.000 case gravemente danneggiate.

Il 90% di strade, sistema di approvvigionamento idrico e impianti elettrici sono stati bersagliati. Il sistema elettrico come quello idrico è fuori servizio, quindi ci sono grandi aree in cui le persone trovano davvero difficile reperire fonti di acqua pulita. L’azienda elettrica, Electricidade de Moçambique, ha dichiarato che le province di Manica, Sofala e alcune parti di Inhambane, continuano a rimanere senza energia. Gli edifici sono stati sommersi e gravemente lesionati. Le infrastrutture sanitarie sono preoccupantemente lese. Bonifacio Cebola, portavoce dell’ospedale pubblico di Beira, ha dichiarato su Radio Moçambique, che le sale operatorie del secondo ospedale più grande del Paese non sono state risparmiate, per cui gli interventi chirurgici sono stati sospesi.

Nel frattempo si sono intensificati gli sforzi di soccorso, visto che il numero di persone coinvolte continua a salire raggiungendo nel solo Mozambico la cifra di 794.000.

Il lavoro di recuperare i corpi in questa vasta area è appena iniziato e il processo è afflitto da ostacoli apparentemente insormontabili. A Beira, la maggior parte degli sfollati ha trovato riparo in diversi edifici della città, occupando circa 2.800 stanze in un’area metropolitana di almeno 500.000 persone. Secondo l’UNICEF 260.000 sono attualmente i bambini coinvolti nel disastro.

Secondo quanto dichiarato dal primo ministro del Mozambico, Carlos Agostinho do Rosàrio, 293 persone nel Paese sono decedute solo negli ultimi tre giorni. 1511 sono state le ospedalizzazioni o trattamenti da parte di squadre mediche mobili.

Il portavoce di governo Geraldo Saranga ha comunicato gli sforzi per introdurre il diritto di status di rifugiato per le vittime dei tre Paesi dell’Africa sudorientale. Anche in Malawi e Zimbabwe la situazione rimane critica con almeno 35.000 famiglie sfollate e accolte in campi provvisori. Si prevedono ancora precipitazioni significative e inondazioni diffuse sulle province mozambicane di Sofala e Manica, nelle zone orientali dello Zimbabwe e nel sud del Malawi. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Ciclone Idai, è dramma in Mozambico, Zimbabwe e Malawi” di Federica Iezzi


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#specialecicloneidai

Roma, 23 marzo 2019, Nena News

Mozambico – Il bilancio delle vittime del potente ciclone che ha scatenato devastanti inondazioni in tre paesi dell’Africa sudorientale, Mozambico, Zimbabwe e Malawi, è salito a più di 500 persone, secondo i funzionari amministrativi. Attualmente almeno 15mila persone in Mozambico aspettano ancora le operazioni di soccorso.

Il ciclone Idai ha colpito la città di Beira, sulla costa mozambicana dell’Oceano Indiano, che ospita circa mezzo milione di persone, prima di trasferirsi nell’entroterra dello Zimbabwe e del Malawi. Nelle aree vicine ai fiumi mozambicani di Buzi e Pungwe, le acque in piena sono profonde metri e hanno sommerso completamente case, pali telefonici e alberi. Sono state emesse segnalazioni relative all’ulteriore rischio di inondazioni nei bacini idrografici allargati di Buzi, Pungwe e Save nelle prossime 72 ore, che potrebbero portare a ulteriori distruzioni e potenziali perdite di vite umane.

Si prevede che le forti piogge continuino a colpire pesantemente le province centrali del Mozambico di Sofala e Manica. La stessa Beira potrebbe affrontare una seria carenza di carburante nei prossimi giorni e la sua rete elettrica non sarà operativa entro la fine del mese.

Il tornado ha distrutto edifici, innescato la furia delle inondazioni che hanno demolito strade e sommerso interi villaggi in tutta la regione. La portata delle inondazioni è enorme, copre 2.165 chilometri quadrati, secondo le Nazioni Unite. Secondo le stime della stessa ONU, almeno 400mila persone potrebbero richiedere uno spostamento dal Mozambico.

Le cattive condizioni meteorologiche e le infrastrutture distrutte hanno ostacolato gli sforzi delle agenzie militari e umanitarie per raggiungere migliaia di persone bloccate. Un’enorme frana ha bloccato l’accesso alla città di Chimanimani, a circa 400 km a sud-est della capitale Harare, e l’accesso alle aree più colpite è stato fortemente limitato.

Secondo la Federazione internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, questa è la peggiore crisi umanitaria nella storia recente del Mozambico. I tornadi non sono rari in questa zona, ma Idai è considerato il peggiore dopo il devastante ciclone Eline nel 2000.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno donato 4,9 milioni di dollari in aiuti di emergenza, mentre alcuni paesi africani limitrofi, tra cui Botswana, Sudafrica, Namibia e Tanzania, hanno fornito assistenza umanitaria. Il segretario per lo sviluppo internazionale del Regno Unito, Penny Mordaunt, ha annunciato che la Gran Bretagna fornirà fino a 6 milioni di sterline in aiuti umanitari per Mozambico e Malawi.

In Zimbabwe il bilancio delle vittime è salito a 139. Il World Food Program ha stimato che 200mila cittadini zimbabwiani avrebbero attualmente bisogno di aiuti alimentari urgenti per i prossimi tre mesi e che fino a 1,7 milioni di persone nel Paese sono attualmente nel percorso di Idai. In Malawi invece i morti sono saliti a 56 e 82.000 persone sono state già sfollate. Nena News

FOCUS ON AFRICA “Il ciclone Idai devasta il Mozambico” di Federica Iezzi


Ethiopian airlines

Roma, 16 marzo 2019, Nena News 

Uganda – Secondo l’ultimo report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, una grave forma di peste polmonare da Yersinia pestis è scoppiata al confine tra Repubblica Democratica del Congo e Uganda.

Vigilanza e azione tempestiva dello staff sanitario sono state determinanti per l’infezione.

Il ministero della salute dell’Uganda ha riportato due casi probabili di malattia nel distretto di Zombo lo scorso 5 marzo. Circa 55 persone, tra cui 11 operatori sanitari, sono stati identificati come contatti ad alto rischio e attualmente continuano un monitoraggio clinico.

Altre tre persone sono intanto decedute per sintomi simili nella Repubblica Democratica del Congo.

La peste polmonare è endemica in Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Perù.

Etiopia – Mentre gli investigatori passano in rassegna i resti del Boeing 737 Max della compagnia aerea etiope Ethiopian Airlines, caduto domenica mattina a Bishoftu nella regione di Debre Zeit, nei pressi della capitale Addis Abeba, la scatola nera del mezzo arriverà in Europa per ulteriori analisi.

Le vittime del volo ET 302, in rotta verso Nairobi, includevano 35 nazionalità, molte delle quali coinvolte in attività umanitarie e diretti a una conferenza ambientale delle Nazioni Unite svoltasi nella capitale kenyana.

Intanto l’Ethiopian Airlines, per via precauzionale, ha bloccato tutti gli aerei Boeing 737 Max. Non si conoscono ancora le cause della sciagura.

Repubblica Democratica del Congo – Il neo presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, ha prosciolto circa 700 prigionieri politici, incarcerati dal precedente governo Kabila.

Tra questi Firmin Yangambi, condannato nel 2009 a 20 anni di carcere con l’accusa di essere una minaccia per la sicurezza nazionale. E Franck Diongo, importante figura di opposizione.

Amnesty International ha elogiato la mossa di Tshisekedi, definendola ‘primo passo cruciale verso il ripristino dei diritti umani nel Paese’.

Tshisekedi è stato dichiarato il vincitore delle elezioni dello scorso 30 dicembre, portando la Repubblica Democratica del Congo al suo primo trasferimento pacifico di potere dopo l’indipendenza dal Belgio, quasi 60 anni fa. Ha battuto il selezionatissimo candidato di Kabila, Emmanuel Ramazani Shadary, e il rivale candidato dell’opposizione Martin Fayulu.

Tshisekedi e Kabila hanno rilasciato una dichiarazione congiunta la scorsa settimana confermando la loro volontà comune di governare insieme come parte di un governo di coalizione a causa del Common Front for Congo, partito legato a Kabila, che attualmente detiene 342 dei 485 seggi nel parlamento.

Tshisekedi, leader dell’opposizione, promise nella sua campagna elettorale di rinvigorire la giustizia e combattere la corruzione nel Paese.

Guinea Bissau – Il partito al governo in Guinea Bissau ha vinto le elezioni legislative di domenica scorsa, senza una maggioranza assoluta.

Ciò significa che l’African Party for the Independence of Guinea and Cape Verde, non sarà in grado di formare un governo senza un accordo.

Secondo i risultati provvisori della National Elections Commission of Guinea Bissau, il partito al governo ha vinto 42 dei 102 seggi. La vittoria dovrà essere convalidata dalla Corte Suprema.

Altri due gruppi, il Madem G-15, formato da dissidenti della maggioranza dominante, e il Party for Social Renewal, reputato vicino alla gerarchia militare, hanno raggiunto un accordo per formare un blocco di opposizione all’Assemblea Nazionale.

Attualmente tutti gli occhi sono puntati sul leader del Democratic Party of Guinea-Bissau, Nuno Gomes Nabiam. Il candidato potrebbe svolgere un ruolo chiave con i suoi cinque legislatori che potrebbero dar vita ad una maggioranza assoluta. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Peste in Uganda, impasse politica in Guinea Bissau” di Federica Iezzi


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#specialeottomarzo #becauseIamawoman #bethevoice

Roma, 8 marzo 2019, Nena News

Ghana – La memoria storica di Agbogbloshie sono le donne. Fanno risalire la formazione dell’ampio slum della capitale ghanese, Accra, al momento in cui la popolazione a più basso reddito, del Paese multiculturale e multietnico dell’Africa Occidentale, trasformò negozi in case di fortuna.

Da quel momento Agbogbloshie diventò una delle più grandi discariche di prodotti digitali al mondo, dove ogni anno vengono confinati, legalmente e illegalmente, milioni di rifiuti elettronici, provenienti dai Paesi Occidentali. Tonnellate di rifiuti si sono via via accumulati su quest’area, un tempo verde, per trasformarla in un cimitero globale per apparecchiature elettroniche.

Ogni giorno, le lavoratrici dello slum liberano l’area da un intenso calore che si irradia da computer, iPod, radio e televisioni in fiamme. E quelle stesse donne, ogni sera, si ritrovano nelle capanne della baraccopoli il fumo nero degli scarti. Ognuna di loro sa bene che gli incendi sono indispensabili perché bruciano e consumano il materiale plastico da cavi, spine e schede madri, lasciando vivo solo il metallo, che poi raccolgono e vendono.

Inutile dire che l’esposizione alle tossine dello slum rimane pericolosa in particolare per i bambini, a livello del sistema nervoso centrale e di quello riproduttivo. Sono circa 50.000 gli abitanti dell’area. Molti di loro si ritrovano intrappolati nel circolo vizioso della povertà, dove nonne e nipoti, senza tempo e senza spazio, lavorano fianco a fianco.

Le bambine hanno precisi compiti a Agbogbloshie: bruciano la plastica degli schermi dei computer, lasciandosi dietro frammenti di rame e ferro che raccolgono per vendere. Altre, con magneti legati all’estremità di un pezzo di corda, raccolgono ogni piccola scheggia di metallo rimasta nella terra. Le ragazzine più grandi invece si fanno strada tra vecchi dischi rigidi, cavi districati, vecchie unità di condizionamento e ferri da stiro. I preziosi frutti del loro lavoro quotidiano sono pile di rame e alluminio, metalli che poi vengono acquistati a pochi soldi dai commercianti. Ognuna di loro guadagna 1 dollaro e 30 al giorno.

Le donne più anziane vagano per il sito tentacolare, vendendo arance sbucciate, bustine di acqua e cibo cotto. Molte hanno bambini piccoli avvolti in un panno legato strettamente alla schiena. Nello slum nessuna struttura è permanente e non ci sono sistemi di acqua o fognature nella zona.

Le Nazioni Unite stimano che a Agbogbloshie vengono abbandonati fino a 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici ogni anno. E secondo i dati dell’E-Waste Problem, iniziativa nata nel 2007 per affrontare la crescente crisi mondiale dei rifiuti elettronici, il volume globale di tali rifiuti è destinato a crescere del 33% nei prossimi quattro anni.

Il sito di Agbogbloshie e con sé le sue donne sono in prima linea, con un esponenziale aumento del rischio di contaminazione del suolo con piombo, mercurio, cadmio e arsenico. Seppur la Convenzione di Basilea del 1989 vieta lo scarico di rifiuti elettronici nei Paesi a basso e medio reddito, ogni mese a Agbogbloshie arrivano, spesso illegalmente, container carichi di materiale elettronico, da Paesi di tutto il mondo. Vecchi videoregistratori, macchine da cucire, computer degli anni ’80.

L’agglomerato urbano di Agbogbloshie appare come un bieco centro commerciale all’aperto dove ognuna di queste povere donne cerca di aiutare le proprie famiglie ad avere una vita migliore, lavorando fino a 12 ore al giorno, senza garanzie ne protezione. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Ghana: le donne di Agbogbloshie” di Federica Iezzi


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Roma, 2 marzo 2019, Nena News 

Nigeria – La commissione elettorale nigeriana ha dichiarato Muhammadu Buhari il vincitore delle recenti elezioni presidenziali del Paese.

Il presidente 76enne ha vinto un secondo mandato quadriennale alla guida della più grande economia dell’Africa. Subito dopo i risultati delle elezioni, il leader dell’opposizione Atiku Abubakar ha promesso una sfida legale.

Buhari, del partito al governo All Progressives Congress Party, ha guadagnato il 56% dei voti, in numeri circa 15 milioni di voti. Il suo principale avversario, l’ex vice presidente Abubakar del People’s Democratic Party ha ricevuto invece il 41% dei voti.

Il People’s Democratic Party ha denunciato prepotenze elettorali, inclusi i brogli, a patire dai sondaggi, che sono stati ritardati di una settimana.

Le votazioni sono state caratterizzate da ritardi di ore e violenze che hanno tenuto alcuni civili lontani dalle urne. Più di 260 persone sono state uccise dall’inizio della campagna elettorale in ottobre.

Le accuse hanno accresciuto le tensioni in un Paese in cui sei decenni di indipendenza sono stati segnati da lunghi periodi di governo militare, colpi di stato e guerre secessioniste.

Gli osservatori della Economic Community of West African States, l’Unione Africana e le Nazioni Unite hanno chiesto a tutte le parti di attendere i risultati ufficiali, prima di presentare reclami.

Buhari si è insediato nel 2015 e ha cercato un secondo mandato con la promessa di combattere la corruzione e di rinnovare la rete ferroviaria nigeriana.

La campagna elettorale di Atiku, 72 anni, mirava a raddoppiare le dimensioni dell’economia entro il 2025, a privatizzare la compagnia petrolifera statale e ad espandere il ruolo del settore privato.

Senegal – Il presidente Macky Sall, dell’Alleanza per la Repubblica, ha vinto al primo turno le elezioni presidenziali in Senegal con il 57% dei voti espressi guadagnati.

Sall ha ampiamente vinto le elezioni in 13 regioni su 14 del Paese. Dopo la dichiarazione di vittoria, la commissione elettorale del Paese, ha invitato i candidati e i gruppi della società civile a astenersi dal dichiarare prematuramente i risultati e mantenere l’atmosfera quiete.

Più di 6,5 milioni di persone si sono registrate per partecipare al voto.

Hanno partecipato alle elezioni, quattro altri candidati, la prima da quando un referendum del 2016 ha interrotto il mandato presidenziale da sette a cinque anni. I due principali avversari di Sall alle urne, sono stati Idrissa Seck, del partito di opposizione REWMI, e Ousmane Sonko, del partito Patriotes du Sénégal pour le Travail, l’Ethique et la Fraternité (PASTEF).

Il Senegal ha una delle economie in più rapida crescita nel continente ed è considerata una delle democrazie più stabili dell’intera Africa.

Dall’indipendenza dalla Francia del 1960, il Paese dell’Africa occidentale ha avuto tre trasferimenti pacifici di potere.

Sudan – Il capo del governo sudanese Omar al-Bashir ha lasciato la sua posizione di presidente del National Congress Party, dopo oltre due mesi di proteste contro la sua quasi trentennale amministrazione. Bashir ha delegato i suoi poteri all’interno del partito di governo al vice-presidente, Ahmed Harun, almeno fino alla prossima conferenza generale.

Come Bashir, anche Harun è indagato dalla Corte Penale Internazionale per presunti crimini di guerra commessi nella regione del Darfur in Sudan.

Il dominio di Bashir è stato segnato da guerre civili e manifestazioni di strada nell’intero territorio sudanese. L’ultima ondata di proteste, a livello nazionale, è scoppiata a metà dicembre, inizialmente innescata dall’aumento dei prezzi dei beni di consumo, ma si è rapidamente rivolta contro il governo di Bashir, iniziato dopo la sua presa di potere con il colpo di stato del 1989. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Buhari eletto presidente in Nigeria, Sall in Senegal” di Federica Iezzi


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Roma, 23 febbraio 2019, Nena News 

Nigeria – Il capo dell’opposizione nigeriana, Atiku Abubakar, afferma che i sondaggi ritardati sono cruciali per il futuro dei nigeriani. I sondaggi dello scorso 16 febbraio sono stati rimandati a causa dell’incapacità di trasportare i materiali elettorali in tutto il Paese. L’INEC (Independent National Electoral Commission) ha assicurato che la data del 23 febbraio sarà rispettata e che è tutto pronto per le imminenti elezioni. In corsa 70 candidati, ma Buhari e Atiku sono considerati i principali avversari.

Tanzania – La fortemente discussa ‘Ivory queen’, donna d’affari cinese, è stata infine condannata a 15 anni di carcere dal magistrato della corte tanzaniana di Kisutu, Huruma Shaidi, per aver contrabbandato zanne di avorio di oltre 350 elefanti africani. Yang Feng Glan, 69 anni, era stata accusata già nell’ottobre 2015, insieme a due uomini tanzaniani, del traffico illecito di almeno 860 pezzi di avorio, del valore di circa 13 miliardi di scellini. Tutti e tre avevano negato le accuse. Shaidi ha anche ordinato loro di pagare il doppio del valore di mercato delle zanne di elefante. Nei documenti giudiziari, i pubblici ministeri hanno affermato che Yang “ha organizzato, gestito e finanziato intenzionalmente un racket criminale raccogliendo, trasportando, esportando e vendendo avorio” per un totale di 1.889 tonnellate. I conservazionisti hanno accolto con favore la condanna di Yang, prova della serietà del governo nella lotta contro il bracconaggio, anche se alcuni hanno criticato la sentenza. Yang è stata scortata sotto stretta sorveglianza alla prigione di Ukonga a Dar es Salaam, dove è prevista il suo periodo di detenzione. La donna viveva in Tanzania dagli anni ’70, quando ricopriva l’incarico di segretario generale del Consiglio d’affari Cina-Africa della Tanzania.

Madrelingua Swahili, è ora proprietaria di un famoso ristorante cinese a Dar es Salaam. Solo nell’ultimo decennio, l’Africa ha perso circa 110.000 elefanti. In Tanzania, la popolazione di elefanti è scesa a poco più di 43.000, secondo un censimento del 2015. La richiesta di avorio da paesi asiatici come Cina, Vietnam e Tailandia, dove è stata trasformata in gioielli e ornamenti, ha portato a un’impennata del bracconaggio in tutta l’Africa.

Sud Africa – Il ministro delle finanze del Sudafrica, Tito Mboweni, continua a rassicurare gli investitori nella turbolenta società elettrica pubblica del Paese.Il governo rimane sotto pressione nella salvezza dell’azienda elettrica statale Eskom, con debiti da di circa 30 miliardi e al centro dei crescenti problemi economici del Paese.

Gli analisti già prevedono tensioni che potrebbero emergere nel caso in cui la ristrutturazione del colosso elettrico conduca a perdite di posti di lavoro. Nelle scorse settimane, l’azienda ha collezionato blackout continui, non riuscendo a soddisfare la domanda del Paese.

La portata delle interruzioni di corrente ha scosso la nazione più industrializzata del continente, facendo precipitare le attività delle imprese e dei servizi pubblici. Intanto aumenta il rischio della dimissione di Eskom, per gli enormi debiti. In questo caso, i creditori avrebbero il diritto di richiamare altri prestiti in diverse parti dello stato, compresa la travagliata compagnia nazionale South African Airways.

La frode, la corruzione e l’incompetenza hanno attanagliato le imprese del settore pubblico e hanno compromesso la loro credibilità. Il crescente aumento dei debiti ha spaventato gli investitori.

Il debito netto del Paese è attualmente pari a circa 160 miliardi, pari al 48,6% del prodotto interno lordo (PIL), secondo il ministero dell’economia.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Si vota in Nigeria; Tanzania, condannata la #IvoryQueen” di Federica Iezzi


Libya - AlJazeera

Roma, 16 febbraio 2019, Nena News 

Libia – L’Unione Africana ha proposto una conferenza globale il prossimo luglio per cercare di risolvere il conflitto in Libia con l’obiettivo di tenere nuove elezioni in ottobre.

Il Paese nordafricano è stato dilaniato da lotte per il potere e minato dall’insicurezza cronica dopo l’estromissione sostenuta dalla NATO di Muammar Gheddafi nel 2011.

Il Paese ha almeno due amministrazioni rivali. Uno riconosciuto dall’ONU con sede nella capitale Tripoli. Mentre l’altro con quartier generale nella città orientale di Tobruk. Inoltre, ci sono dozzine di gruppi armati che si contendono potere e ricchezza.

Nigeria – La sospensione di uno dei giudici anziani nigeriani, Walter Onnoghen, da parte del presidente Muhammadu Buhari ha infranto gli standard internazionali sui diritti umani sull’indipendenza della magistratura e la separazione dei poteri, secondo quanto affermato dalle Nazioni Unite.

Gli standard internazionali sui diritti umani prevedono che i giudici possano essere licenziati solo per gravi motivi di cattiva condotta o incompetenza. Dunque qualsiasi decisione di sospendere o rimuovere un giudice dal proprio ufficio dovrebbe essere giusta e dovrebbe essere presa da un’autorità indipendente come un consiglio giudiziario o un tribunale.

Il sistema giudiziario della Nigeria ha contribuito a risolvere le dispute elettorali nelle passate elezioni, alcune delle quali sono state segnate da violenze e brogli elettorali.

Il Nigerian Bar Association e le associazioni locali della società civile hanno organizzato proteste ad Abuja e nel sud-est dello stato di Enugu per respingere la sospensione di Onnoghen, definendola un tentativo di colpo di stato contro la magistratura nigeriana.

I critici dicono che la sospensione è una strategia di Buhari per indebolire il potere giudiziario della Nigeria e aprire la strada per la sua elezione a un secondo mandato nelle elezioni in corso.

Camerun – Il leader dell’opposizione camerunense, Maurice Kamto, è stato accusato di ribellione, insurrezione e ostilità contro la madrepatria.

Kamto ha perso le ultime elezioni presidenziali di ottobre ed è stato arrestato alla fine del mese scorso, dopo aver organizzato manifestazioni contro l’attuale presidente Paul Biya.

I giudici inquirenti hanno incriminato Maurice Kamto e lo hanno consegnato al tribunale militare. Tra le accuse: ostilità contro la madrepatria, incitamento all’insurrezione, offesa contro il presidente della repubblica, distruzione di edifici e beni pubblici.

Ventidue membri del partito da lui guidato, Cameroon Renaissance Movement, sono sotto processo per le stesse accuse.

I gruppi per i diritti umani hanno accusato Biya di aver messo a tacere le voci dell’opposizione durante i suoi 36 anni di governo, accuse che sistematicamente vengono negate.

Le proteste sono scoppiate nella tormentata regione anglofona occidentale più di due anni fa, e dopo essere state represse si sono trasformate in costanti malcontenti. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. In Camerun accusato il leader dell’opposizione, in Nigeria il presidente sospende un giudice” di Federica Iezzi


Maternal Health in Sierra Leone

Roma, 9 febbraio 2019, Nena News

Repubblica Centrafricana – Il governo di Faustin Archange Touadera ha siglato un accordo di pace con 14 gruppi armati, che controllano la maggior parte del Paese, dopo due settimane di colloqui nella capitale sudanese, Khartoum. L’accordo di pace è stato annunciato dall’Unione Africana, ma i termini non sono stati immediatamente pubblicati.

I colloqui a Khartoum miravano a raggiungere un accordo e istituire un comitato di controllo per cercare di stabilire la pace in un Paese devastato dalla guerra dal 2012. Questo è l’ottavo accordo da quando sono iniziate le ostilità.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha concordato un possibile alleggerimento dell’embargo sulle armi nella Repubblica Centrafricana per consentire forniture di armi alle forze governative che combattono le milizie. L’embargo sulle armi è stato imposto nel 2013 dalle stesse Nazioni Unite, quando il governo di François Bozizé, è stato rovesciato dai ribelli Seleka, principalmente musulmani.

La Francia è intervenuta militarmente sotto mandato Onu, spingendo i Seleka al potere, e per contribuire a ripristinare la stabilità è stata istituita una missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite (Minusca). Migliaia di persone sono state uccise durante le violenze e un quarto dei 4,5 milioni di abitanti del Paese ha abbandonato le proprie case a causa dei disordini.

Costa d’Avorio – Il Tribunale Penale Internazionale ha ordinato il rilascio condizionale dell’ex presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, dopo che è stato assolto dalle accuse di crimini contro l’umanità il mese scorso. L’ex presidente è stato processato per omicidio, stupro, persecuzione e altri atti disumani commessi dalle forze pro-Gbagbo all’indomani dei contestati sondaggi del 2010.

Gbagbo è in custodia del Tribunale Penale Internazionale dal 2011. La Costa d’Avorio è uno stato membro del Tribunale Penale Internazionale, ma lo stesso organo potrebbe essere riluttante a mandare Gbagbo in patria. Gbagbo era stato trattenuto in detenzione in attesa di obiezioni da parte dei pubblici ministeri, che avevano in programma di presentare appello per l’assoluzione.

Più di 3mila persone sono morte negli scontri tra Gbagbo e la sua rivale sostenuta a livello internazionale, Alassane Ouattara, che è l’attuale presidente della Costa d’Avorio.

Repubblica Democratica del Congo – L’epidemia del virus Ebola nella Repubblica Democratica del Congo è la seconda più grande nella storia dopo l’epidemia dell’Africa occidentale del 2014. Una tempesta di fattori complementari complica la diffusione dell’infezione: conflitto armato, instabilità politica e sfollamento di massa.

Di fronte a una complessa crisi umanitaria in evoluzione e alle recenti elezioni politiche, secondo quanto annunciato dalla rivista scientifica The Lancet, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dovrebbe convocare il comitato di emergenza e prendere in considerazione la dichiarazione di un’emergenza sanitaria pubblica di preoccupazione internazionale (Pheic).

I casi di Ebola sono più che triplicati dall’inizio dei contagi, con un’impronta geografica ampliata in 18 zone del Paese. E il rischio di diffusione trans-frontiera della malattia in Uganda, Rwanda e Sud Sudan è elevato. Negli ultimi 6 mesi, almeno 300mila rifugiati della Repubblica Democratica del Congo hanno attraversato l’Uganda, aggiungendosi a una popolazione di rifugiati di circa un milione. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Un pò di pace nella Repubblica Centrafricana” di Federica Iezzi


Ablade Glover - The People II

Ablade Glover – The People II

Roma, 02 febbraio 2019, Nena News

Nigeria – Secondo l’UNHCR, più di 30.000 persone sono fuggite dalla città nigeriana di Rann nello scorso fine settimana, tra i timori di nuovi attacchi da parte del gruppo armato Boko Haram. Rann, vicino al confine con il Camerun, nello stato settentrionale del Borno, ha già visto un esodo di circa 9.000 persone dall’inizio del mese.

Un recente aumento delle violenze nella Nigeria nordorientale ha spinto più di 80.000 civili a cercare rifugio in campi già affollati o in città nello stato del Borno, dove si continua a sopravvivere in condizioni proibitive.

Le ostilità hanno messo a dura prova le operazioni umanitarie e gli operatori umanitari sono stati costretti a ritirarsi da alcune località. Almeno 260 operatori umanitari sono stati ritirati da tre località dello stato di Borno dall’inizio di dicembre.

Liberia – È passato esattamente un anno da quando il presidente liberiano George Weah ha scatenato una catena di polemiche dichiarando un fermo sostegno per l’attuazione della doppia cittadinanza e l’abrogazione di una “clausola” costituzionale, secondo la quale si proibisce ai non neri di ottenere la cittadinanza per nascita, discendenza o naturalizzazione.

Nonostante questi sforzi, le leggi rimangono tuttora invariate perché le obiezioni agli emendamenti sono di natura profondamente socioeconomica, non sopprimibili da proclami presidenziali.

I liberiani vivono la cittadinanza in modo diverso in base alla loro classe sociale, genere ed etnia, e questo influenza in larga misura il rifiuto o l’accettazione della doppia cittadinanza. Ciò è stato ulteriormente confermato dai dati dell’indagine di Afrobarometer del 2018, in cui due terzi dei liberiani hanno dichiarato di opporsi alla doppia cittadinanza come prescrizione politica, supporto che limita la cittadinanza a persone di discendenza nera.

Lo spostamento e l’espropriazione definiscono il passato e il presente della Liberia. Le lotte per la cittadinanza e l’appartenenza sono di fatto più evidenti nei Paesi africani che hanno vissuto migrazioni forzate.

Ghana – Ablade Glover, 84 anni, fondatore della Artists Alliance Gallery, nella capitale del Ghana, è conosciuto ben oltre i confini del suo Paese per i suoi lavori. Venticinque anni fa ha creato una galleria d’arte sul mare e l’ha aperta al pubblico per promuovere l’arte contemporanea, in particolare dal Ghana.

Glover ricorda che all’epoca gli artisti locali non avevano alcun sostegno. Ma una svolta importante si è verificata negli ultimi anni, con un crescente riconoscimento internazionale dell’arte africana contemporanea. Una delle opere di Ablade Glover è visibile nella galleria privata di Seth Dei, uomo d’affari di 73 anni forte sostenitore di artisti locali, in un tranquillo sobborgo verdeggiante di Accra.

Glover ha accompagnato le carriere di artisti ora riconosciuti all’estero, come Wiz Kudowor, Larry Otoo e Kofi Setordji. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Nigeria, 30mila in fuga da Boko Haram; Ghana, l’arte di Ablade Glover” di Federica Iezzi


SSUDAN-CONFLICT

Roma, 26 gennaio 2019, Nena News

#conflicttowatch

Sud Sudan – Dallo scoppio della guerra civile in Sud Sudan cinque anni fa, almeno 400.000 persone sono morte, si contano 1,6 milioni di sfollati interni e circa 2,5 milioni di rifugiati fuggiti nei Paesi vicini, tra cui il Sudan. La guerra civile che corre oggi lungo le linee etniche è scoppiata nel dicembre 2013, in seguito alle accuse del presidente Salva Kiir secondo cui l’ex vicepresidente Riek Machar stava progettando un colpo di stato. Ma la radice di questa guerra non è un conflitto etnico. La ragione per cui le cose sono passate da una crisi politica a una guerra non è dovuta alle divisioni etniche in quanto tali, ma alla mancanza di un esercito professionalizzato e istituzionalizzato.

Lo scorso settembre, l’attuale presidente Salva Kiir e il suo principale rivale, l’ex vicepresidente, capo dei ribelli Riek Machar, firmarono un accordo per un cessate il fuoco permanente, per la formazione di un governo di transizione e per la stesura di una nuova costituzione, almeno fino alle prossime elezioni previste nel 2022. Secondo i termini del nuovo accordo di pace, il Sud Sudan avrà cinque vice presidenti ed espanderà il suo parlamento a 550 membri per includere rappresentanti di tutte le fazioni. I critici sostengono che il piano rafforzerà solo il tribalismo e le divisioni etniche, ancora una volta senza affrontare le cause profonde del conflitto.

L’accordo seppur pieno di lacune, soddisfa gli interessi dei due antagonisti e quelli dei presidenti Omar al-Bashir del Sudan e Yoweri Museveni dell’Uganda, i due leader africani con più influenza in Sud Sudan. Le probabilità di una nuova instabilità nel Paese sono preoccupanti, se si pensa ad un accordo simile, raggiunto e poi crollato nel 2015, che provocò un’impennata dei combattimenti. Gli accordi più allarmanti e contestati sono quelli riguardanti la sicurezza con un’eventuale unificazione di un esercito nazionale. Gli Stati Uniti, che fino a poco tempo fa hanno guidato la diplomazia occidentale nel Sud Sudan, hanno fatto un passo indietro. Altri stanno aspettando di vedere i passi tangibili di Kiir e Machar prima di assegnare finanziamenti. Se questo ennesimo accordo fallisse, non è chiaro cosa lo sostituirà, e il Paese potrebbe collassare di nuovo in grossi combattimenti.

La combinazione derivante dall’indulgenza internazionale all’indipendenza del Sud Sudan e da un eccesso di denaro ha fatto sì che le élite politiche del Paese commettessero alcuni errori catastrofici, tra cui la chiusura della produzione nazionale di petrolio solo sei mesi dopo l’ottenimento dell’indipendenza a causa di una disputa con il Sudan. La politica del presidente Salva Kiir, ha usato fondi statali per acquistare preferenze, attraverso la concessione di licenze alla corruzione. La competizione politica all’interno del partito di governo si è intensificata, non solo tra il presidente Kiir e il vicepresidente Machar, ma anche tra altri membri dell’aggrovigliato quadro politico.

Attraverso i suoi stessi abusi e corruzione il Sud Sudan è passato dall’essere una nazione povera ma speranzosa ad uno stato fallito, guidato da un’élite militare corrotta e opprimente. L’ottimismo si è sgretolato nel 2013 dopo che scontri politici tra Kiir e Machar si sono riversati in anni di lotte politiche, guai economici e ben pochi progressi nello sviluppo, nonostante miliardi di dollari in aiuti stranieri, in parte contagiati dalla corruzione del governo. Transparency International, organizzazione che monitora la corruzione, ha classificato il Sud Sudan al 179° posto su 180 Paesi, nel suo indice di corruzione.

Le dichiarazioni delle agenzie umanitarie non sono meno preoccupanti. Il Paese si trova di fronte a una grave carenza di cibo e a una potenziale carestia se gli aiuti umanitari continuano a rimanere bloccati e se agli agricoltori sfollati viene impedito di tornare nelle proprie case. Quasi il 63% della popolazione del Paese affronta l’insicurezza alimentare in condizioni che sfiorano la fame. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, su una scala da uno a cinque: 47.000 persone affrontano il più alto livello di fame nel Sud Sudan (IPC fase 5), altri 1,7 milioni sono a un livello di ‘emergenza’ (IPC4) e 6 milioni vivono in uno stato di cronica carenza di cibo (IPC3). La situazione è particolarmente preoccupante negli Stati di Unity, Lakes, Jonglei, Upper Nile and Western Bahr el Ghazal. Le condizioni sono disperate nelle contee di Leer e Mayendit nello stato di Unity,

Il conflitto è anche segnato da atrocità da parte sia della sicurezza governativa sia delle forze di opposizione, incluse esecuzioni, torture, stupri di gruppo e schiavitù sessuale, secondo lo State Department’s 2017 human rights report on South Sudan e secondo studi di gruppi internazionali per i diritti umani. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Sud Sudan, tra guerra civile e corruzione” di Federica Iezzi


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Roma, 19 gennaio 2019, Nena News

#conflicttowatch

Camerun – La crisi nelle aree anglofone del Camerun, il South West e il North West Regions, iniziata nel 2016 dopo decenni di emarginazione, è sul punto di destabilizzare il Camerun, un Paese un tempo considerato un’isola di relativa calma in una regione travagliata. L’inizio della crisi coincide con le proteste di insegnanti e avvocati anglofoni contro l’uso strisciante del francese nei sistemi di istruzione e nei sistemi legali.

Queste dimostrazioni si sono trasformate in proteste più ampie sull’emarginazione della minoranza anglofona del Camerun, che rappresenta circa un quinto della popolazione dell’intero Paese. Il governo ha rifiutato di riconoscere le rimostranze degli anglofoni mentre le forze di sicurezza hanno represso violentemente le proteste, imprigionando gli attivisti.

La conferma alla presidenza, dopo 36 anni di potere, di Paul Biya, lo scorso ottobre, ha intensificato ulteriormente gli scontri. Quasi dieci milizie separatiste ora combattono le forze governative, con a capo il governo ad interim dell’Ambazonia, autoproclamato Stato anglofono camerunense. Da allora, una lotta sempre più secessionista ha contrapposto il governo di lingua francese di Yaoundé, alle Forze di Liberazione dell’Ambazonia e altri gruppi ribelli.

Almeno 500 civili sono morti nelle violenze. Secondo i dati ufficiali dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, si contano 30.000 rifugiati anglofoni in Nigeria e 437.000 sfollati interni in Camerun, tra le rappresaglie del governo e l’intimidazione delle milizie. Secondo le stime dell’International Crisis Group, i combattimenti hanno già ucciso circa 200 soldati, gendarmi e agenti di polizia, con circa 300 feriti, e ucciso più di 600 separatisti.

Disinnescare la crisi richiederà il rilascio da parte del governo di tutti i detenuti politici, compresi i leader separatisti, un impegno da entrambe le parti per concretizzare un cessate il fuoco, colloqui tra il governo e i leader anglofoni, seguiti da qualche forma di dialogo nazionale comprensivo di discussione per un eventuale decentramento o per un’unione federale tra le due componenti francofona e anglofona. Già a metà dicembre le autorità camerunesi hanno rilasciato 289 detenuti anglofoni, sebbene centinaia, compresi i leader separatisti, siano ancora dietro le sbarre. Senza un significativo e reciproco compromesso, il Camerun rischia di scivolare verso un conflitto destrutturante.

Nonostante gli investimenti, il Paese sta soffrendo economicamente a causa del conflitto nelle regioni anglosassoni. La lobby del commercio camerunese ha dichiarato che, a causa della crisi, le perdite ammontano a 500 milioni di dollari insieme a 6.500 posti di lavoro.

Il Camerun anglofono nelle regioni amministrative del sud-ovest e del nord-ovest, armato di fucili da caccia, piccoli cannoni e armi bianche, usa tattiche di guerriglia per sfidare un esercito ben equipaggiato e altamente sofisticato, appoggiato da Francia e Stati Uniti. Le truppe governative mantengono il controllo dei principali centri urbani, mentre l’Ambazonia Defence Forces (ADF), l’ala militare del movimento separatista, opera in villaggi e territori remoti, dove i soldati meno numerosi e le infrastrutture stradali povere, limitano la portata diretta dello stato. Le operazioni governative hanno tuttavia gravemente danneggiato la catena di comando dell’ADF, costringendolo a operare in modo clandestino.

Il Camerun è un membro chiave della Multinational Joint Task Force contro le milizie di Boko Haram, nella sua regione più settentrionale, tra Nigeria a ovest e Ciad a est. Contribuisce con circa 1.000 soldati alla missione di peacekeeping MINUSCA, United Nations Multidimensional Integrated StabilizationMission in the Central African Republic. Ospita almeno 300.000 rifugiati dalla Repubblica Centrafricana nella sua impoverita regione orientale, già terreno di scontro tra pastori e agricoltori del bacino del Lago Ciad. Qualsiasi escalation del conflitto nel sud estenderebbe inevitabilmente nell’area l’esercito camerunense ben finanziato e ben addestrato, compromettendo così gli sforzi regionali per mitigare lo jihadismo militante e per migliorare la sicurezza e il mantenimento della pace alle frontiere. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Camerun dilaniato da violenze, proteste e separatismo” di Federica Iezzi


nigeria conflict al_jazeera

Roma, 12 gennaio 2019, Nena News

#conflicttowatch

Nigeria – Nuove elezioni presidenziali, nuova legislatura federale e nuovi governatori e legislatori statali. È così che si apre il 2019 della Nigeria. Paese dalle tradizionali violente e infiammabili campagne elettorali. Particolarmente dure saranno le urne destinate all’attuale presidente Muhammadu Buhari e al suo principale rivale, l’ex vicepresidente Atiku Abubakar. Astio nelle relazioni tra l’All Progressive Congress, attualmente al governo, e il People’s Democratic Party, che dominò il Paese nei 16 anni precendenti l’era Buhari. Le proteste elettorali hanno precedenti travagliati: le manifestazioni dopo i sondaggi del 2011 si sono trasformate in attacchi alle minoranze nel nord della Nigeria, in cui morirono più di 800 persone.

La Nigeria è devastata contemporaneamente da una serie di conflitti. Nel nord-ovest, si combattono le milizie di Boko Haram. Nel Niger, si combatte il Movimento militante per l’Emancipazione del Delta del Niger. E nell’est del Paese si rinnova il sentimento separatista legato al Biafra. I livelli di criminalità violenta e di insicurezza generale restano elevati in gran parte del Paese.

I civili in alcune parti del nord-est sopportano il peso del brutale conflitto tra le truppe governative e gli insurrezionalisti di Boko Haram. La violenza tra pastori prevalentemente musulmani (Fulani) e agricoltori per lo più cristiani, nel centro del Paese, lo scorso anno ha raggiunto livelli preoccupanti, uccidendo circa 1.500 persone. Nel 2016, il conflitto aveva provocato la morte di 2.500 persone e una perdita di 13,7 miliardi di dollari di entrate. I continui soprusi hanno compromesso le relazioni intercomunitarie, specialmente tra musulmani e cristiani, in quelle stesse aree, che vedranno feroci scontri elettorali.

Ciò che manca è la prospettiva ambientale. La Nigeria si estende per oltre 1.000 km da un’area meridionale lussureggiante e tropicale, fino ai margini settentrionali del Sahara. I mandriani Fulani, che un tempo facevano affidamento sul lago Ciad, nell’estremo nord-est del Paese e oggi in gran parte prosciugato, sono costretti a spostarsi più a sud in cerca di pascoli e acqua per il proprio bestiame. E più a sud ci si muove, più la popolazione diventa cristiana, quindi nel momento in cui emergono conflitti di risorse, la trasformazione in conflitti religiosi è fulminea.

La risposta del governo Buhari ali scontri è stata vacua. Prestare al pascolo del bestiame dei Fulani, terre appartenenti ai contadini indigeni. Riportare il lago Ciad al grande sistema idrografico che è stato in passato. Secondo esami preliminari della Corte Penale Internazionale, oltre 1.300 persone sono state uccise e almeno 300.000 sono state sfollate a seguito di scontri tra pastori e agricoltori negli stati nigeriani di Plateau, Benue, Nasarawa, Adamawa e Taraba. L’escalation di violenze tra il 2017 e il 2018 è il risultato dell’aumento delle milizie etniche. E le sopravvalutate forze di sicurezza nigeriane sono spesso causa di conflitto. Lo scontro tra l’esercito nigeriano e la sua minoranza musulmana sciita è un esempio di come le forze di sicurezza sono una parte più grande del problema rispetto alla soluzione.

Nel sud-est del Paese continuano gli scontri tra comunità a Ebonyi e nello stato di Cross River. E sebbene al momento non si registra alcun conflitto in corso nel bacino del Delta del Niger, vi è il perturbante disordine economico, con il risorgere della militanza, nella maggior regione produttrice di petrolio, con continue minacce da parte di gruppi militanti.

Questi diversi conflitti hanno, in varia misura, contribuito allo sfollamento di più di due milioni di persone in Nigeria, secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Ciò ha causato un enorme calo della produzione agricola nella fascia centrale e ha accelerato l’enorme deriva rurale-urbana.

I diversi conflitti hanno messo a dura prova le capacità delle forze di sicurezza nigeriane: l’esercito nigeriano stesso si è schierato in 32 dei 36 stati del Paese a partire dal gennaio 2017, combattendo il terrorismo, la lotta tra agricoltura e pastorizia, i rapimenti e gli scontri etnici. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Nigeria, il Paese dilaniato dai conflitti” di Federica Iezzi


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Roma, 22 dicembre 2018, Nena News 

Repubblica Democratica del Congo – Le elezioni presidenziali nella Repubblica Democratica del Congo sono state rimandate al 30 dicembre.

Lo scorso giovedì la commissione elettorale del Paese ha dichiarato di non essere pronta a tenere le elezioni in seguito ad un incendio che avrebbe distrutto i sistemi elettorali e in seguito all’epidemia di Ebola che non tende ad arrestarsi nelle regioni ad est.

L’annullamento del voto, previsto inizialmente per domani, potrebbe provocare proteste da parte dei leader e degli studenti dell’opposizione nel vasto paese dell’Africa centrale.

Attualmente il campus dell’Università di Kinshasa è stato isolato dalle forze di sicurezza in seguito alle manifestazioni nella capitale, che chiedevano lo svolgimento dei sondaggi nei tempi previsti.

La campagna elettorale è stata preannunciata dalle violenze ai danni soprattutto dei sostenitori dell’opposizione.

Le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo, posticipate ripetutamente dal 2016, hanno lo scopo di scegliere un successore del presidente Joseph Kabila, che lascia il potere dopo 18 anni al governo.

Il Paese non è mai riuscito ad ottenere una transizione pacifica del potere da quando ha raggiunto l’indipendenza dal Belgio nel 1960.

Nigeria – Il governo nigeriano si dichiara ‘preoccupato’ riguardo le attività di Amnesty International. Le pesanti affermazioni arrivano solo pochi giorni dopo che il governo Buhari ha bandito l’UNICEF, con le inammissibili accuse di addestramento di spie solidali a Boko Haram.

Secondo quanto riportato dal portavoce ufficiale di governo, Garba Shehu, le operazioni dell’organizzazione internazionale in Nigeria sembrano orientate solo a danneggiare l’esercito federale, mediante la fabbricazione e macchinazione di accuse fittizie di presunte violazioni dei diritti umani e di sponsorizzazioni clandestine di gruppi dissidenti.

La risposta di Amnesty International è correlata da dati e avvenimenti dettagliati a partire dall’assassinio di quasi 4.000 persone negli ultimi tre anni, per finire alle centinaia di sfollati, ai limiti della sopravvivenza, in molte regioni del Paese.

La rivolta nel nord-est della Nigeria è iniziata nel 2009 e si è estesa ai vicini Camerun, Ciad e Niger, uccidendo almeno 27.000 persone e lasciando milioni di persone totalmente dipendenti da aiuti umanitari.

Etiopia – Ancora violenti scontri e intensi combattimenti tra gruppi etnici nel sud dell’Etiopia, che hanno costretto centinaia di persone alla fuga attraverso il confine con il vicino Kenya. Notizia cnfermata da Patrick Mumali, vice commissario nella contea di Moyale.

Le violenze sono scoppiate tra giovedì e venerdì scorsi nei pressi della città di Moyale, al confine con il Kenya, in una regione rivendicata sia dall’Oromo, il più grande gruppo etnico del Paese, sia dalle etnie somale, in particolare le Somali Garre.

I contrasti si sono riaccesi nella regione meridionale di Oromia da quando il primo ministro Abiy Ahmed, primo leader dell’Oromo nella storia moderna dell’Etiopia, si è insediato lo scorso aprile.

Dall’inizio di quest’anno, almeno 5.000 etiopi sono stati costretti a cercare rifugio in Kenya, in seguito a violenze ai danni di civili da parte dell’esercito etiope nel sud del Paese.

Nella regione di Oromia, convivono almeno quattro conflitti separati lungo linee etniche, oltre a una disputa sui confini.

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Nigeria preoccupata da Amnesty International, scontri etnici in Etiopia” di Federica Iezzi


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Roma, 15 dicembre 2018, Nena News 

Repubblica Democratica del Congo – Joseph Kabila, il presidente uscente della Repubblica Democratica del Congo, ha dichiarato di voler rimanere in politica e non esclude la possibilità di ricominciare a lavorare per un nuovo mandato nel 2023. Kabila, che si ritirerà dopo le elezioni a lungo ritardate, previste per il prossimo 23 dicembre, ha affermato di voler proteggere i suoi ‘successi’, rimanendo in politica.

L’ex presidente avrebbe dovuto dimettersi già nel 2016 alla fine del suo mandato costituzionale. Ma l’elezione per sostituirlo è stata ripetutamente ritardata, accendendo le proteste che poi hanno causato migliaia di vittime.

Le prossime elezioni segneranno il primo trasferimento democratico di potere nel Paese e segneranno la fine del governo di Kabila iniziato nel 2001, subito dopo l’assassinio di suo padre avvenuto durante una sanguinosa guerra civile che imperversò dal 1998 al 2003 e uccise cinque milioni di persone.

Kabila ha scelto il lealista Emmanuel Ramazani Shadary, come candidato della coalizione di governo. Su Shadary pendono le dure sanzioni dell’Unione Europea per il suo presunto coinvolgimento in violazioni dei diritti umani. Secondo gli attuali sondaggi di opinione Shadary sarebbe indietro rispetto ai principali personaggi dell’opposizione.

Il ritardo nelle elezioni è coinciso con un problema di sicurezza in gran parte del Paese. I ribelli armati continuano a combattere sui confini con l’Uganda e il Ruanda. Gli osservatori internazionali affermano che la mancanza di sicurezza renderà difficile la tenuta delle elezioni nel Paese equatoriale e creerà opportunità di brogli.

Rwanda – Un tribunale ruandese ha assolto Diane Rwigara, ferma oppositrice del veterano presidente Paul Kagame, dell’accusa che includeva l’incitamento all’insurrezione e la falsificazione di documenti.

Rwigara, 37 anni, è stata arrestata nel settembre 2017 dopo che il suo tentativo di candidarsi alle elezioni presidenziali in Ruanda fu negato per falsificazione delle firme dei sostenitori dell’opposizione. L’attivista è stata anche accusata di incitamento all’insurrezione per le critiche verso il governo Kagame durante la preparazione delle elezioni.

Il caso di Rwigara ha attirato nuovamente l’attenzione globale sul sempre più esiguo spazio che Kagame lascia ai critici nel Paese dell’Africa orientale. Sotto accusa la libertà di espressione, le esecuzioni extragiudiziali e alla mancanza di libertà politica.

La giovane politica è stata una voce insolita di critica nel Rwanda prima delle ultime elezioni, ed è stata vittima di una campagna diffamatoria disonesta. Inoltre, con la madre, ha trascorso più di un anno in prigione prima del rilascio su cauzione dello scorso ottobre.

Tanzania – I partiti di opposizione in Tanzania si schierano contro gli attuali legislatori per non approvare proposte di emendamento di legge che disciplinerebbero i partiti politici, con la causa di criminalizzare le loro attività. Hashim Rungwe, presidente di uno dei 10 partiti dell’opposizione, ha affermato che gli emendamenti proposti ridurranno le libertà costituzionali.

Tra le disposizioni, la nuova legge vieterebbe ai partiti di funzionare come gruppi ‘attivisti’. Fornirebbe a un funzionario governativo poteri radicali per sospendere o addirittura licenziare un membro del partito.

I critici dell’attuale presidente John Magufuli, che è salito al potere nel 2015, contestano una dura repressione del dissenso, con restrizioni sull’opposizione politica, i media, i blogger e le organizzazioni non governative. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Kabila lascia la presidenza del Congo. Anzi no” di Federica Iezzi


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Roma, 8 dicembre 2018, Nena News 

Sudafrica – Il parlamento sudafricano ha approvato un rapporto che approva un emendamento costituzionale che consentirebbe l’esproprio della terra senza compenso o indennizzo. La proprietà terriera è ancora un’aperta questione in Sud Africa, dove la disuguaglianza razziale rimane radicata da più di due decenni dopo la fine dell’apartheid, quando milioni di civili della maggioranza nera furono espropriati della loro terra dalla minoranza bianca.

Il presidente Cyril Ramaphosa, che ha sostituito Jacob Zuma al governo lo scorso febbraio, ha dato la priorità alla ridistribuzione della terra, mentre cerca di unire il frammentato African National Congress (ANC) e ottenere il sostegno pubblico prima delle elezioni del prossimo anno.

I partiti di opposizione, guidati dalla Democratic Alliance rimangono estremamente critici nei confronti dei piani del governo, che di fatto metteranno a repentaglio i diritti di proprietà e allontaneranno i grandi investitori.

Zimbabwe – Entra nella seconda settimana il secondo grande sciopero del 2018 dei medici zimbabwiani occupati negli ospedali pubblici, per chiedere migliori condizioni economiche, mentre il governo del presidente Emmerson Mnangagwa lotta con un’economia in deterioramento.

La nazione dell’Africa meridionale dal 2009 fa i conti con picchi esponenziali di prezzi e carenza di beni di prima necessità, tra cui medicine e carburante. L’inflazione annuale è del 20,85%. Dalle ultime stime più della metà dei medici del settore pubblico ha aderito allo sciopero. Ogni ospedale è a corto di strumenti medicali e dipende dalle disponibilità economiche degli stessi pazienti, costretti a comprare farmaci e materiale sanitario per i propri trattamenti ospedalieri.

Già lo scorso marzo, i medici aderirono ad un esteso sciopero, con il risultato di un aumento delle retribuzioni e delle indennità, mettendo fine alla prima grande disputa sul lavoro che Mnangagwa ha affrontato da quando prese il potere.

Burundi – Il governo del Burundi avrebbe chiesto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite di chiudere il suo ufficio nel Paese entro due mesi, secondo ministero degli Esteri e fonti ONU. L’esecutivo sta diventando sempre più radicale e provocatorio nei confronti della comunità internazionale. Il Paese ha sospeso la collaborazione con l’ufficio per i diritti umani ormai dall’ottobre 2016 e il governo ha accusato l’organismo internazionale di ‘complicità’ nella stesura di un rapporto delle Nazioni Unite che evidenziava gravi violazioni dei diritti umani e possibili crimini contro l’umanità, da parte delle autorità burundesi.

La Nazione dell’Africa orientale è stata coinvolta in una crisi politica da quando il presidente Pierre Nkurunziza ha annunciato la sua controversa candidatura per un terzo mandato presidenziale nell’aprile 2015. Poi conclusosi con una rielezione nel luglio dello stesso anno. Le violenze che hanno accompagnato la crisi hanno ucciso almeno 1.200 persone e hanno creato più di 400.000 sfollati tra l’aprile 2015 e il maggio 2017, secondo le stime del Tribunale Penale Internazionale.

Il Burundi ha boicottato lo scorso novembre un vertice della comunità dell’Africa orientale, concentrato sulla crisi politica in corso nel Paese. Scontri aperti anche con l’Unione Africana (UA), in seguito all’emissione di un mandato di arresto contro l’ex presidente Pierre Buyoya, attualmente inviato di pace dalla stessa UA.

Nel 2017, il Burundi ha abbandonato il Tribunale Penale Internazionale dopo che quest’ultimo aveva avviato un’indagine sulle presunte atrocità commesse nel Paese. Nena News

Nena News Agency “FOCUS ON AFRICA. Esproprio della terra in Sudafrica, protesta dei medici in Zimbabwe” di Federica Iezzi


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Roma, 1 dicembre 2018, Nena News

Madagascar – Si sfideranno al secondo turno nelle presidenziali malgasce previste il prossimo dicembre, un ex presidente del Paese, al potere fino al 2009, Marc Ravalomanana, e l’uomo che rovesciò il suo governo in un colpo di stato Andry Rajoelina.

Nel primo turno di novembre, Ravalomanana ha ricevuto il 35,3% dei voti, subito dietro Rajoelina che ha ottenuto il 39,2% dei consensi, secondo i calcoli ufficiali dell’Alta Corte Costituzionale.

L’attuale presidente Hery Rajaonarimampianina ha ricevuto solo l’8,8% dei voti, per cui non prenderà parte al secondo turno. Il tribunale ha inoltre respinto la sua richiesta di annullamento delle elezioni.

Il voto per il secondo turno è fissato al 19 dicembre. La corte ha dichiarato che l’affluenza totale degli elettori al primo turno è stata del 53,9%.

Sia Ravalomanana che Rajoelinaerano sono stati esclusi dalla corsa nelle ultime elezioni del 2013, sotto la pressione internazionale, per evitare il ripetersi di violenze politiche che già inghiottirono l’isola nel 2009. L’ex colonia francese al largo della costa sud-orientale dell’Africa, ha anche una lunga storia di instabilità politica e colpi di stato.

Ravalomanana amministrò il Paese dal 2002 al 2009, fino a quando il suo governo fu rovesciato in un colpo di stato militare, da Rajoelina, che rimase al potere fino al 2014.

Entrambi i contendenti avevano avanzato denunce legali su presunte irregolarità durante il primo turno, tutte respinte dalla commissione elettorale.

Repubblica Democratica del Congo – Secondo i dati recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ultima epidemia di ebola che ha colpito la Repubblica Democratica del Congo è la seconda più grande nella storia, dietro la devastante propagazione in Africa occidentale che ha ucciso almeno 11.000 di persone nel 2014.

Il ministero della salute della Repubblica Democratica del Congo ha annunciato che il numero di casi ha raggiunto il numero di 426. Questo include 379 casi confermati e 47 casi probabili. Finora questo focolaio, dichiarato agli inizi di agosto, ha causato 198 morti confermate.

La crisi è centrata intorno alla città orientale di Beni nel nord Kivu, una regione tuttora distrutta da conflitti armati, che hanno ostacolato di fatto tutti gli sforzi messi in atto per frenare l’epidemia.

Le stime dell’OMS, prevedono che l’epidemia nella parte nord-orientale del Paese durerà almeno altri sei mesi prima che possa essere contenuta.

Più di 37.000 persone hanno ricevuto vaccinazioni contro l’ebola e la Repubblica Democratica del Congo ha avviato la prima prova per testare l’efficacia e la sicurezza di quattro farmaci sperimentali.

Tuttavia, il rischio di diffusione dell’ebola nelle cosiddette ‘zone rosse’, aree praticamente inaccessibili a causa della minaccia dei gruppi ribelli, rimane una delle maggiori incognite.

Un numero allarmante è anche quello dei neonati infetti. Nell’ultima dichiarazione dell’OMS sono stati segnalati 36 casi di ebola tra neonati e bambini sotto i 2 anni.

Due delle più importanti rivist