Nena News Agency – 20/06/2016
Nel suo ultimo report la ONG Human Rights Watch ha denunciato gli assassini e gli arresti arbitrari di centinaia di persone compiuti dalle forze di sicurezza di Addis Abeba nella regione di Oromia. A gennaio il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione di condanna della repressione in corso nel Paese
di Federica Iezzi
Addis Abeba (Etiopia), 20 giugno 2016, Nena News – Dall’ultimo report di Human Rights Watch “Such a Brutal Crackdown – Killings and arrests in response to Ethiopia’s oromo protests”, arriva un grido contro le forze di sicurezza governative etiopi. E’ ormai dallo scorso novembre che compiono reiterate violenze contro proteste pacifiste nella regione di Oromia. Si stima che siano state uccise almeno 400 persone. Si parla di migliaia di feriti. Centinaia gli arresti arbitrari e le sparizioni forzate. E mentre la frequenza di proteste sembra essere diminuita nelle ultime settimane, la repressione continua.
Tutto è iniziato nella piccola città di Ginchi a 80 chilometri dalla capitale Addis Abeba, abitata per il 95% dalla comunità oromo, il più grande gruppo etnico del Paese, per la maggior parte agricoltori e piccoli commercianti. Per progetti di ricchi investimenti, l’Addis Abeba Master Plan, il governo di Teshome annuncia di inglobare in una macroregione campi coltivati, riserve forestali e terre che da secoli appartengono agli oromo.
Negli anni, gli sfollati creati da iniziative analoghe del governo, hanno raramente ricevuto un indennizzo o un nuovo terreno su cui ricostruire le proprie vite. Alle proteste il governo risponde con rastrellamenti di massa, torture, soprusi, arresti e uccisioni. I primi manifestanti furono studenti della scuola secondaria, molti non ancora maggiorenni. Polizia federale etiope ed esercito hanno arrestato illegalmente studenti, insegnanti, musicisti, politici dell’opposizione, operatori sanitari e chiunque fornisse assistenza e rifugio ai dissidenti. E nonostante il rilascio di alcuni detenuti, molti rimangono in detenzione senza accusa e senza processo.
Agli studenti e agli agricoltori, nel tempo si sono uniti altri membri della comunità, nelle più di 500 manifestazioni pacifiste, sollevando più ampie rivendicazioni economiche, politiche e culturali. Salvo alcune segnalazioni di violenza durante le proteste, compresa la distruzione di alcune aziende di proprietà straniera e il saccheggio di alcuni edifici governativi, la maggior parte di queste sono state pacifiste.Per settimane, in alcune località del Paese le scuole sono rimaste chiuse, dopo ordini precisi dei funzionari governativi, per dissuadere le proteste.
Nelle interviste pubblicate dall’organizzazione per la difesa dei diritti umani, si descrivonosoldati che sparano indiscriminatamente sulla folla con poco o nessun preavviso, arresti porta a porta durante la notte, nessun accesso all’assistenza legale per i detenuti, repressioni brutali per il capillare dissenso popolare. Il governo etiope si giustifica collegando le manifestazioni di protesta ai gruppi politici di opposizione, come l’Oromo Federalist Congress (OFC), di Bekele Gerba. Convinto sostenitore per la non violenza e difensore della partecipazione dell’OFC nei processi elettorali viziati dell’Etiopia, anch’esso è stato arrestato durante una protesta e portato nel carcere Maekelawi di Addis Abeba.
Nel frattempo aumentano gli sforzi per limitare la libertà di stampa e bloccare l’accesso di informazioni nella regione di Oromia. Oscurati social network e la stazione televisiva Oromia Media Network. Quest’ultima ha giocato un ruolo chiave nella diffusione delle informazioni in tutta Oromia durante le prime proteste. Trasmetteva via satellite contenuti soprattutto nel linguaggio Afaan Oromo. Di recente costretta a trasmettere via radio ad onde corte.
La politica di repressione in Etiopia rappresenta una grave minaccia per il Paese, soprattutto per le sue ambizioni economiche internazionali. Attualmente appaiono essenziali le pressioni sul governo etiope per sostenere un’indagine credibile e indipendente, che ad oggi trova ancora irrisolti casi di uccisioni e arresti illegittimi risalenti al 2014.
Nel gennaio scorso, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione di condanna della repressione in Etiopia. Non c’è stata alcuna dichiarazione ufficiale invece da parte di Regno Unito e Stati Uniti. Nena News