Nena News Agency – 19/05/2016
Dietro questa sempre più probabile decisione ci sono presunte ‘ragioni di sicurezza’ legate alle attività terroristiche del gruppo al-Shabaab. Il passo avrebbe conseguenze umanitarie devastanti
di Federica Iezzi
Nairobi, 19 maggio 2016, Nena News – Il governo kenyano sta discutendo la possibilità di chiudere i campi profughi di Dadaab e Kakuma entro un anno e rinviare centinaia di migliaia di rifugiati indietro in Paesi dilaniati da guerre e carestie o in Paesi terzi per il reinsediamento.
Un piano già denunciato da gruppi umanitari e dei diritti umani come imprudente, illegale e di dubbia efficacia.
Al momento rimandata la decisione sul campo di Kakuma, nel distretto di Turkana, che ospita circa 200.000 rifugiati dal Sud Sudan. Attualmente ogni giorno 70-100 richiedenti asilo entrano in Kenya dal Sud Sudan, ma nessuno può essere registrato e spostato nel campo di Kakuma.
Invece, la soluzione per proteggere la sicurezza del Paese, dopo una serie di attacchi terroristici da parte dei jihadisti somali di al-Shabaab, secondo il governo di Uhuru Kenyatta, sarebbe quella di chiudere la rete di campi di Dadaab, che per 25 anni ha dato accoglienza a 330.000 rifugiati, in gran parte somali.
Il Ministro degli Interni kenyano, Joseph Ole Nkaissery, in un recente comunicato ha ribadito che i combattenti di al-Shabaab continuano ad utilizzare i più di 50 chilometri quadrati sull’arido confine somalo-kenyano, del campo di Dadaab, come base per il contrabbando di armi.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sostiene che la chiusura di uno o entrambi i campi potrebbe avere conseguenze umanitarie devastanti. Potrebbe inoltre non essere possibile forzare civili oltre confine, in Paesi in cui si continua a combattere.
Human Rights Watch teme che il governo kenyano per svuotare i campi ricorra ad abusi, molestie, violenze e detenzioni arbitrarie, come già successe nel 2013, quando 55 mila rifugiati furono costretti ad abbandonare aree urbane per essere trasferiti in campi profughi.
Si teme anche che la polizia sfrutterà la minaccia di espulsione, intensificando gli arresti tra i rifugiati e le richieste di tangenti per evitare l’arresto.
Il Kenya sarebbe disposto a indietreggiare se ricevesse più sostegno internazionale? Già l’anno scorso, dal Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, la distribuzione di razioni alimentari si era ridotta del 30%.
E se le Nazioni Unite rinnovassero il mandato in scadenza a 3.500 soldati kenyani attualmente facenti parte della forza dell’Unione Africana in Somalia?
Intanto il governo di Kenyatta avrebbe già impostato una linea temporale e un bilancio di 10 milioni di dollari che lascerebbe in un limbo amministrativo i rifugiati e le organizzazioni umanitarie che lavorano per loro.
Secondo il Ministero degli Interni kenyano il primo gruppo di rifugiati lascerebbe Dadaab entro il prossimo novembre, e il campo verrebbe completamente chiuso entro il mese di maggio, contro ogni principio del diritto umanitario internazionale.
Dadaab ospita intere generazioni di famiglie somale, fuggite dalla sanguinosa guerra civile scoppiata nel 1991. Nonostante le restrizioni severe l’attività economica nel campo è impressionante, circa 14 milioni di dollari all’anno entrano nelle casse kenyane dalle imprese gestite dai rifugiati. E solo una piccola frazione dei costi di gestione di Dadaab proviene dal Ministero dell’Interno del Kenya.
L’esecutivo di Nairobi comunica ufficialmente anche la chiusura del Dipartimento per gli Affari dei Rifugiati, da cui dipendono i permessi dei rifugiati per potersi muovere all’interno del Paese, gli spostamenti per le cure mediche, le certificazioni per il lavoro.
La sconsiderata decisione da parte del governo del Kenya potrebbe portare al ritorno involontario di migliaia di rifugiati nei Paesi di origine, dove la vita rimane costantemente in pericolo, o peggio potrebbe alimentare il fiorente mercato dei trafficanti.
Riapparsa in queste settimane è infatti la ‘rotta egiziana’. Sempre più numerose le partenze dei rifugiati dai porti egiziani di Alessandria d’Egitto e Port Said verso le coste europee. Nena News