SIRIA. I kurdi accolgono i rifugiati di Aleppo

Nena News Agency – 12 febbraio 2016

Oltre 10mila civili hanno raggiunto Afrin: le YPG cercano di fornire sicurezza, tende, cibo e servizi medici ma materiali e attrezzature scarseggiano. FOTO

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di Federica Iezzi 

Afrin (Siria), 12 febbraio 2016, Nena News – Nella città di Afrin, nella regione autonoma curda di Rojava, il Kurdistan occidentale, sono arrivati più di 10.000 rifugiati siriani in fuga dai combattimenti di Aleppo. Situato nell’angolo nord-ovest della provincia di Aleppo, Afrin è il più occidentale dei quattro cantoni che compongono il Rojava, una fascia di territori curdi nel nord della Siria, amministrati dal Partito dell’Unione Democratica.

Al Robar camp, nella regione di Afrin, controllata dall’Unità di Protezione Popolare, sono state trasferite dalla campagna a nord-ovest di Aleppo almeno 2.500 famiglie, dopo il raggiungimento di un accordo tra fazioni dell’opposizione siriana e YPG per l’apertura di un corridoio umanitario tra la città siriana settentrionale di Azaz e Afrin.

Tra i rifugiati ci sono anche centinaia di civili siriani tornati indietro dal valico di Kilis. “Abbiamo aspettato quasi una settimana che le autorità turche aprissero le frontiere a Kilis. È tutto chiuso. Nessuno di noi è passato. Siamo rimasti per giorni sul lato siriano del confine, dormendo solo qualche ora per notte – ci racconta  Layal – Alcuni di noi sono stati distribuiti in scuole e campi nella zona Afrin, mentre altri sono stati spostati nella campagna di Idlib”.

I valichi tra Siria e Turchia sono chiusi da almeno dieci mesi. L’accesso in Turchia è permesso solo per cure mediche, solo a rifugiati con lesioni gravi. A tutti gli altri è stato rifiutato l’ingresso, lasciando anziani e bambini in condizioni critiche, al di fuori dei cancelli e delle reti di filo spinato che indicano il confine turco.

L’Ypg hanno ripreso il controllo del villaggio di Dayr Jamal, nell’area a nord di Aleppo, e il controllo della strada 214 fino a Afrin, così possono continuare a permettere il trasferimento scortato dei rifugiati con autobus. Da circa una settimana i rifugiati si stanno riversando  in questo fazzoletto di terra curda. Tappeti, materassi e sacchi di plastica, circondano le famiglie siriane sfinite da chilometri di cammino.

“Centinaia di raid aerei russi, munizioni a grappolo e missili, come la pioggia, hanno invaso l’aria del quartiere di al-Shaar, controllato dai ribelli, ad Aleppo – continua Layal – Afrin non è bombardata né dai russi, né dal regime, né dall’opposizione”.

Il Comando Generale dell’YPG, ala militare del  Partito dell’Unione Democratica curdo, ha stabilito un piano di accoglienza per i rifugiati provenienti da Aleppo. Le autorità curde stanno fornendo mezzi di trasporto, coperte e medicine. Ma nonostante gli sforzi, gli aiuti non sono sufficienti e molti civili dormono a terra e bevono acqua non potabile. Le razioni alimentari messe a disposizione dal governo del Rojava non riescono a coprire le necessità di base delle decine di migliaia di rifugiati arrivati in meno di 24 ore a Afrin.

Continuano a sorgere nuovi piccoli campi spontanei, attorno al campo ufficiale di Robar. Attivo dal settembre del 2014, a Robar vivono già 30mila sfollati interni, per la maggior parte provenienti dalle città siriane di Homs e Hama. Nei campi spontanei la mancanza di servizi fognari e di servizi di distribuzione di acqua rende le condizioni igieniche drammaticamente scadenti. Materassi, coperte e tende di plastica di fortuna vengono condivisi da più persone. I bambini, malnutriti e a piedi nudi, riempiono le loro lunghe giornate giocando con corde per saltare, sacchi polverosi e pietre.

Nell’Afrin hospital vengono visitate più di 700 persone al giorno, per i casi più gravi bisogna ottenere le autorizzazioni ai trasferimenti in Turchia. Le attrezzature mediche sono limitate e i materiali sanitari scarsi.

Il fronte nel nord di Aleppo è in fiamme, le operazioni militari stanno portando il sistema sanitario già devastato, vicino al collasso, nel distretto Azaz, a circa dieci chilometri dal confine turco. Nelle ultime due settimane, sono stati colpiti dai raid aerei ospedali e piccole strutture sanitarie intorno alla città di Aleppo. Dall’inizio dell’ultima offensiva nella provincia di Aleppo, iniziata circa dieci giorni fa, già 518 persone hanno perso la vita. Nena News

Nena News Agency “SIRIA. I kurdi accolgono i rifugiati di Aleppo” di Federica Iezzi

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VIDEO. Al valico di Bab al-Salama tra Siria e Turchia

Nena News Agency – 10 febbraio 2016

Nena News alla frontiera dove da giorni si sono ritrovati decine di migliaia di profughi siriani in fuga da Aleppo

di Federica Iezzi

Kilis (Turchia), 10 febbraio 2016, Nena News – Le strade di campagna del nord della Siria che conducono ai confini turchi sono attraversate da una massa confusamente ordinata, silenziosa e sommessa di anziani, donne e uomini, con addosso i resti delle loro vite distrutte. Ognuno di loro trascina un bambino livido, consumato dai brividi di freddo di un rigido febbraio. Ognuno di loro si chiede se potrà mai più tornare nella propria casa.

Ancora una volta dunque decine di migliaia di siriani vengono sradicati dalle loro terre e costretti a fuggire. Almeno 35mila rifugiati siriani sono rimasti bloccati nei pressi del valico di Kilis, al confine con la Turchia, dopo la fuga dall’offensiva del governo siriano, spalleggiato dalla Russia, sulle aree controllate dai ribelli, nella città di Aleppo. 20mila civili sono fermi al passaggio turco-siriano di Bab al-Salam. E altri 70mila sono attesi al valico di Oncupinar, tra il villaggio siriano di Azaz e Kilis.

Mentre i cieli del nord della Siria sono invasi ogni giorno dai bombardieri russi, continua l’assalto delle truppe di terra del governo, sulle aree di Aleppo ancora sotto il controllo dei combattenti dell’opposizione. Almeno 350mila civili sono ancora imprigionati nei quartieri di Aleppo in mano ai ribelli, che sono stati presi di mira nell’offensiva del governo. Già 40mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case. Nena News

Nena News Agency “VIDEO. Al valico di Bab al-Salama tra Siria e Turchia” – di Federica Iezzi

 

 

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La fuga dei siriani da Aleppo

Nena News Agency – 08 febbraio 2016

In fuga dai combattimenti sanguinosi in corso in città, negli ultimi tre giorni oltre 50.000 civili hanno raggiunto a piedi la città di Kilis al confine con la Turchia. Sempre più vicino, intanto, un accordo per l’apertura di un corridoio umanitario da Azaz (nord-ovest di Aleppo) alla città curda di Afrin

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di Federica Iezzi

Kilis (Turchia), 8 febbraio 2016, Nena News – Migliaia di siriani provenienti dai distretti di Azaz, Tel Rifaat e Hariyatan (nord di Aleppo) lasciano ancora una volta alle spalle le loro terre. Negli ultimi tre giorni oltre 50.000 civili siriani hanno raggiunto a piedi la città di Kilis al confine con la Turchia. E altri 70.000 civili sono attesi nella zona di confine di Oncupinar. Fuggono dalla distruzione, dai massacri, dai combattimenti sanguinosi delle aree di Aleppo controllate dai combattenti dell’opposizione siriana. Dopo più di 300.000 morti, oltre quattro milioni di rifugiati e più di un terzo di siriani sfollati interni, un nuovo tragico capitolo della guerra in Siria sta iniziando sotto gli occhi occidentali attenti, ma impotenti.

Il governo Davutoğlu ha deciso di chiudere tutti i valichi di frontiera ufficiali con la Siria. Quando il numero di profughi siriani residenti in Turchia ha raggiunto il milione e mezzo, Ankara ha deciso di ridurre al minimo l’ingresso dei rifugiati ammessi nel Paese. Fino all’inizio dello scorso marzo, infatti, solo i rifugiati siriani con documenti validi hanno potuto attraversare legalmente il confine turco a Reyhanli e a Oncupinar. L’obiettivo finale della Turchia sembra essere quello di creare una zona di sicurezza nel nord della Siria dove far stazionare i rifugiati.

Joram, un ragazzo di Azaz in fila al valico di Kilis, ci racconta che prima era più facile attraversare illegalmente la frontiera turca. Adesso, però, i chilometri che segnano il confine tra Siria e Turchia sono strettamente pattugliati dalla Jandarma turca. Corrompere la polizia militare di confine per passare la frontiera per vie illegali ora può arrivare a costare oltre 400 dollari. Più di 1.000 persone aspettano le ore notturne nei pressi del villaggio di Shemarin e nell’area di Hawar Kilis con la speranza di poter scavalcare il recinto di filo spinato che separa i due Paesi.

Vanno avanti e prendono concretezza, intanto, gli accordi per l’apertura di un corridoio umanitario per le famiglie di rifugiati siriani dal villaggio di Azaz (a nord-ovest di Aleppo) alla città curda di Afrin. Una parte di rifugiati, invece, troverà riparo nella martoriata città di Idlib sotto la protezione dell’Unità di Protezione Popolare curda.

Continuano senza sosta gli scontri tra esercito governativo e fazioni dell’opposizione nelle zone di Khan Tuman (a sud di Aleppo), a Sheikh Ahmed (a est della città) e a Ratyan, Huraytan, Bashkoy, Azaz e Menagh a nord. Scontri anche nella campagna curda di Afrin tra combattenti dell’Unità di Protezione Popolare e l’esercito di al-Assad. Le incursioni aeree russe non si fermano nelle città di Bayanoun, Hayan e Menneg a nord di Aleppo.

“La distruzione di Aleppo è straziante” ci dice Qamar, una donna sulla quarantina con i nipoti infreddoliti al seguito. “Pietre, legno e vetro – dove una volta si posavano fortezze, musei, scuole strade eleganti e case, chiese e moschee – ora odorano di polvere da sparo e assomigliano sempre di più a gocce di memorie lontane”. Continua lo spopolamento a chiazza d’olio di una città che è stata abitata per millenni. Altre 40.000 persone si uniscono così all’esodo da Aleppo. E 350.000 civili rimangono intrappolati al buio delle case demolite dai razzi russi o dai mortai di al-Nusra [ramo siriano di al-Qa’eda, ndr].

Campi di fortuna vengono allestiti velocemente in terra siriana al confine turco-siriano nei pressi di Kilis. Solo qualche palo di acciaio sostiene i teli di plastica necessari per ripararsi dall’umidità e dalla pioggia. Mancano acqua, corrente elettrica, cibo, vestiti e coperte per le rigide temperature notturne.

Secondo il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, 5.000 siriani sarebbero entrati in Turchia attraverso Kilis. Altri 50.000 sono invece bloccati al confine. Anche sul lato siriano dei valichi di Bab al-Hawa e Bab al-Salam tende di plastica strappate e sporche colorano l’aria grigia. La Croce Rossa Internazionale e le Nazioni Unite hanno iniziato a distribuire cibo e coperte, ma gli aiuti umanitari non sono ancora sufficienti per coprire i dieci campi profughi ammassati sul lato siriano del confine in cui vivono attualmente più di 70.000 persone.

Nena News Agency “La fuga dei siriani di Aleppo” – di Federica Iezzi

 

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SIRIA. Entrati aiuti umanitari a Mleiha. Esercito libera Nubl e Al-Zahraa

Nena News Agency – 04 febbraio 2016

Mezzaluna Rossa siriana e convogli dell’UNHCR sono entrati nel villaggio abitato da 26.000 civili, tra cui 10.000 sfollati interni. Dopo tre anni è terminato l’assedio di due centri abitati sciiti da parte dei qaedisti di al-Nusra

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di Federica Iezzi

Roma, 4 febbraio 2016, Nena News – Alla periferia orientale di Damasco, isolata negli ultimi tre anni, la cittadina di al-Mleiha ha finalmente ricevuto aiuti umanitari, dopo logoranti colloqui e confusi accordi tra governo e forze di opposizione. Mezzaluna Rossa siriana e convogli guidati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sono entrati nel villaggio abitato da 26.000 civili, tra cui 10.000 sfollati interni.

L’ultima consegna di aiuti umanitari, da parte dell’UNHCR, nella zona intorno a al-Mleiha risale ai primi mesi del 2013. Limitate forniture commerciali di cibo, prodotti medici e altro materiale sono state autorizzate nelle aree contese ad est della città. Poco meno di una settimana fa distribuiti a 1.300 persone i primi pacchi alimentari, nelle aree cuscinetto, intorno a al-Mleiha.

Lo scorso agosto al-Mleiha è tornata in mano alle forze governative, sostenute dai combattenti di Hezbollah, dopo mesi di occupazione da parte dei militanti islamici. Cambio di guardia che ha tuttavia lasciato la situazione dei civili pressoché identica. Al-Mleiha doveva servire, all’esercito  siriano e alle Forze di Difesa Nazionale, come porta d’ingresso per recuperare il controllo su Ghouta orientale, avamposto del gruppo ribelle Jaish al-Islam, a lungo nel mirino delle forze governative.

Case in frantumi, strade paralizzate, mercati e edifici violati, materiale di scarto e plastica bruciati come fonte di riscaldamento, materassi ammucchiati sulla terra fredda dei cortili. Canali di comunicazione quasi inesistenti. L’unica rete di acqua potabile è stata danneggiata durante i combattimenti, così come l’intero sistema fognario.

Due delle tre scuole della zona sono state distrutte e la terza non è funzionante. Ospedali di fortuna accolgono ogni giorno decine di persone. La medicina si è trasformata in un ‘impegno’ insostenibile, senza personale, senza strumenti e senza materiale. Tubercolosi e lebbra sono tornate a torturare i bambini. Ecco quello che hanno lasciato i gruppi ribelli e quello che hanno ereditato e protratto le forze del presidente Bashar al-Assad.

Almeno 50.000 persone vivevano ad al-Mleiha prima dell’inizio dela guerra civile siriana. Centinaia le famiglie fuggite dopo anni di fame e privazioni. Il logorio della vita sotto assedio rimane inciso sui volti scarni di coloro che rimangono. La gente fruga nei sacchi della spazzatura alla ricerca di foglie di lattuga per allontanare la fame. Donne e bambini in molti casi sono vestiti di stracci.

Mentre la Siria entra nel suo sesto anno di conflitto interno, più di quattro milioni di persone nel Paese vive ancora in zone difficili da raggiungere. 486.700 i civili che vivono in città integralmente isolate. La pratica dell’assedio è diventata ormai un’arma comune di guerra. E l’accesso frammentario degli aiuti umanitari diventa forzatamente insufficiente.

Caduto nelle mani del governo siriano ieri anche il regno dei qaedisti di Jabhat al-Nusra, su Nubl e Al-Zahraa, villaggi sciiti a nord-ovest di Aleppo. I quasi quattro anni di lungo assedio e di feroci offensive da parte del braccio siriano di al-Qaeda, si sono trasformati nella sospensione totale degli spostamenti per gli abitanti delle due cittadine al confine con la Turchia. Truppe filogovernative siriane infatti ne disegnano i perimetri, non permettendo né uscite né ingressi. Il disumano assedio di Nubl e al-Zahraa, portato avanti dalla coalizione guidata da al-Nusra, fa parte dell’ampia ‘battaglia di Aleppo’, attraverso la quale dal 2011 più di 28.000 persone hanno perso la vita. Mentre il conflitto siriano va avanti, la situazione sul terreno sta crollando.

Dunque a pagare rimangono anche in questo caso i 13.000 civili, intrappolati ancora tra le rovine delle due città sventrate. Nena News

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L’Etiopia affamata da siccità e dittatura

Nena News Agency – 03 febbraio 2016

La peggiore carestia dal 1984 ha messo in ginocchio un paese che vive soprattutto di agricoltura. E mentre fattorie, scuole e ospedali collassano, il governo dice che va tutto bene 

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di Federica Iezzi

Roma, 3 febbraio 2016, Nena News – L’Etiopia si prepara ad affrontare una carestia peggiore rispetto alla crisi del 1984, che causò la morte di almeno un milione di persone, per la carenza estrema di acqua. La nuova siccità che sta aggredendo l’Etiopia è causata dai fenomeni atmosferici legati a El-Niño: riduzione delle precipitazioni e siccità in alcune regioni del mondo e inondazioni in altre, dovute al riscaldamento anomalo delle acque superficiali dell’oceano Pacifico.

L’Etiopia è abitata da 93 milioni di persone, la maggior parte delle quali vive di agricoltura. Ma la siccità ha provocato la perdita della maggior parte delle coltivazioni: i raccolti si sono ridotti dal 50% al 90%, allo stremo gli animali da fattoria.

Secondo i dati del governo etiope e dei partner internazionali umanitari, più di dieci milioni di persone sono a rischio di insicurezza alimentare, soprattutto nelle regioni colpite nel nord e nell’est del Paese. Le stime parlano di almeno 400.000 casi di grave malnutrizione tra i bambini sotto i cinque anni. In totale 40 milioni di persone sono a rischio in dieci Paesi dell’Africa centrale e del sud, tra i quali Malawi, Zimbabwe, Madagascar e Lesotho. Quasi tre milioni di persone sono sulla soglia della malnutrizione in Malawi, almeno 1,5 milioni fronteggiano carenza alimentare in Zimbabwe, quasi due milioni di persone a rischio in Madagascar e 650.000 in Lesotho.

Piccoli villaggi etiopi, nelle zone remote maggiormente colpite a nord-est, centro e sud, combattono la malnutrizione in modeste cliniche che cercano di distribuire razioni alimentari e acqua. Lavorano per soddisfare le esigenze degli almeno 7.500 arrivi ogni giorno. L’Etiopia è sempre stata contrassegnata da ricorrenti carestie e anche a fronte di un aumento della produttività agricola, la minaccia della fame e la fame rimangono. In meno di un anno, il numero di etiopi con bisogno di assistenza alimentare è notevolmente aumentato, da tre milioni a oltre dieci milioni.

Il disagio in Etiopia è già considerevole per le migliaia di donne e bambini che trascorrono fino a sei ore al giorno alla ricerca di acqua. Le scuole sono chiuse nelle zone maggiormente colpite, con conseguente interruzione della formazione per 1,2 milioni di bambini. I servizi sanitari locali segnalano una cronica mancanza di acqua e forniture necessarie per offrire servizi di base, come il parto.

Il Paese con una delle più rapide crescite economiche in Africa, starebbe rispondendo a questa emergenza con un piano nazionale di 300 milioni di dollari, per la distribuzione capillare di aiuti alimentari. Ma sono forti le critiche per la dittatura, con pretese democratiche, di Malatu Teshome e la gestione dei fondi da parte del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope, attuale partito al potere in Etiopia. Coloro che si oppongono apertamente alla politica di Teshome ricevono scarse risorse, mentre distorte campagne mediatiche di propaganda dicono che il cibo sarebbe sufficiente. Intanto il governo ha disposto l’accesso limitato alle zone colpite del Paese da parte di organizzazioni umanitarie.

L’assistenza internazionale per povertà e fornitura di beni primari per la crescente popolazione e per i 750.000 rifugiati, è sostanziale. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha annunciato un piano da 50 milioni di dollari per aiutare gli 1,8 milioni di agricoltori e allevatori di bestiame in Etiopia. L’intervento comprenderà distribuzione di sementi, progetti di irrigazione e accesso ai microcrediti.

Secondo i dati ufficializzati dall’UNICEF, 350.000 bambini sono in attesa di un trattamento per malnutrizione acuta grave. E più di otto milioni di persone aspettano assistenza e soccorso. Nena News

Nena News Agency “L’Etiopia affamata da siccità e dittatura” – di Federica Iezzi

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TURCHIA. Cizre, una vita sotto assedio

Nena News Agency – 30 gennaio 2016

Ospedali al collasso, telecomunicazioni bloccate, scuole trasformate in caserme militari turche: la campagna anti-curda di Ankara sta soffocando i civili 

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di Federica Iezzi

Cizre (Turchia), 30 gennaio 2016, Nena News – Carri armati turchi continuano assidui bombardamenti sulla città sud-orientale di Cizre e il quartiere di Sur, a Diyarbakir, contro il braccio armato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan.

I particolari sull’assedio da parte della stampa turca sono scarsi, mentre restano quasi interamente inosservate a livello internazionale le effettive condizioni delle popolazioni curde a Cizre, nella provincia di Şirnak, e nel distretto di Sur, punto di contatto tra Turchia, Siria e Iraq. Il primo ministro turco, Ahmet Davutoğlu descrive gli scontri tra esercito governativo e PKK come ‘una lotta contro il terrorismo’. Per l’opposizione turca gli scontri invece sarebbero parte integrante di una campagna più ampia per diminuire sostegno ai partiti politici curdi e tagliare il vigore dei partiti filocurdi in parlamento.

Limitati ragguagli provengono da fonti curde: almeno 711 combattenti curdi e 170 civili, tra cui 39 bambini, sono stati uccisi da fine luglio nelle città di Cizre, Silopi e Sur; più di 140 feriti nell’ultimo mese; centinaia gli abitanti fuggiti dall’area di Diyarbakir. Una cintura di carri armati segna il perimetro della città di Cizre e i giorni di coprifuoco, sono saliti a 150, cresciuti di intensità e frequenza ormai dalla scorsa estate. Ad oggi sono 19 le città con coprifuoco.

Secondo quanto dichiarato da Amnesty International in un rapporto recente, le lunghe settimane di coprifuoco continuano a mettere in pericolo le vite di più di 200.000 persone, rimaste senza elettricità, con carenza di acqua e con difficoltà ad accedere a cibo e cure mediche. Instabili le linee telefoniche mobili. L’escalation si è avuta a dicembre con poca o nessuna interruzione del coprifuoco a Cizre, Nusaybin, Sur e Silopi. Secondo le autorità turche è ‘finalizzato a proteggere i civili in mezzo a scontri quasi quotidiani’. Ma sono stati distrutti decine di edifici storici, scuole e centri sociali dai 10.000 soldati turchi e carri armati introdotti per rafforzare il corpo di polizia.

“La mia scuola elementare nel quartiere di Yafes a Cizre è stata presa di mira da bombe molotov”, ci racconta un’anziana insegnante curda. I violenti combattimenti hanno lasciato nelle città cartucce di kalashnikov, rifiuti per le strade, avvilenti buchi sulle pareti delle case. Tra trincee e barricate, gli abitanti hanno seppellito decine di vittime che giacevano esangui sulle strade.

Mentre l’assedio militare e gli attacchi nel Kurdistan turco si intensificano, la popolazione turca affronta una nuova ondata di repressione, dagli arresti arbitrari, violenze, punizioni collettive, pressioni politiche e sociali, alle sparizioni forzate. I curdi costituiscono circa un quinto della popolazione della Turchia.

I giovani combattenti del PKK con l’aiuto dei residenti delle città assediate hanno costruito muri di sabbia all’ingresso di ogni quartiere, lungo le strade, lenzuola sono stese a protezione dai colpi dei cecchini, appostati sui tetti dei più alti edifici. Strade in frantumi assomigliano sempre di più a città devastate dalla guerra.

Con l’accesso all’ospedale della città di Cizre tagliato fuori, anche le lesioni più banali si trasformano facilmente in fatali. Ogni strada per e da Cizre è stata bloccata dalle forze di sicurezza turche. Non solo i civili non hanno il permesso di entrare e uscire dalla città, ma hanno l’obbligo di non stazionare sui loro balconi e non sedersi davanti alle finestre delle proprie case. Nei negozi, distrutti dopo giorni di assedio, le scorte di cibo sono scarse, in particolare mancano latte e pane.

“Per mesi, le forze armate turche hanno utilizzato gli ospedali e le scuole come quartieri militari”, ci dice Arif, arrestato durante una manifestazione lungo le strade di Sur e rilasciato dopo insulti e maltrattamenti. Continua “Dietro la definizione geografica di Kurdistan si nasconde uno dei luoghi più ricchi di petrolio al mondo”. Nena News

Nena News Agency 30.01.2016 “TURCHIA. Cizre, una vita sotto assedio” di Federica Iezzi

 

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