Burkina Faso. Blaise Compaorè costretto alle dimissioni

LiberArt Online – 31 ottobre 2014

Continuano le manifestazioni a Ouagadougou contro l’ennesima rielezione di Compaorè. Protesta popolare deflagrata in un golpe dei militari. Sale intanto il bilancio delle vittime: almeno 30. Più di 100 i feriti in quattro giorni di scontri.

 

Anti-government protesters in Ouagadougou

Anti-government protesters in Ouagadougou

 

di Federica Iezzi

Ouagadougou (Burkina Faso) – Con in braccio il più piccolo e al seguito altri quattro bimbi in media, le donne lasciano le capanne all’alba e iniziano a camminare. Devono pensare all’acqua.
Nelle bustine di plastica, a righe bianche e nere, non mancano mai succhi di frutta e pane per i figli. I bambini sani, non ammalati, corrono con le taniche di plastica verso i fiumi asciugati dal sole ardente.
Lì qualcuno scavando trova acqua e poi circonda la buca con rami secchi di acacia. La voce si sparge e in pochi secondi, quelle buche dall’acqua lercia, diventano l’unico mezzo che placa la sete della giornata.
E’ questa la vita in equilibrio da anni nell’ex Alto Volta, oggi Burkina Faso.
Dal 27 ottobre scorso, pesanti manifestazioni contro un progetto di riforma costituzionale, incendiano Ouagadougou.
La revisione riguarda il limite di mandato presidenziale previsto dalla Costituzione, che il Parlamento è chiamato a rivedere, per consentire all’attuale Presidente Blaise Compaorè di candidarsi il prossimo anno. La proposta dunque, se adottata, permetterebbe a Compaorè di ricandidarsi ed essere rieletto.
Compaorè salì al potere con il colpo di stato del 1987, contro il Presidente uscente Thomas Sankara.
Da allora è rimasto in Parlamento per 27 anni, per quattro interi mandati, con l’opposizione che ne ha sempre contestato i risultati.
Cortei di proteste antigovernative, nelle principali città del Paese, hanno in questi giorni l’obiettivo di bloccare Compaorè alla candidatura del 2015. Un milione di manifestanti solo nella capitale.
L’opposizione guidata da Bénéwendé Sankara era pronta a dare battaglia in Parlamento ma migliaia di giovani hanno marciato sull’Assemblée Nationale per mettere fine ai 27 anni del regime neolberista di Blaise Compaoré.

Il Capo di Stato Maggiore delle forze armate burkinabè, il generale Honorè Traorè Nabèrè, circondato dai comandanti delle varie forze armate nazionali, ha confermato lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e del governo e ha annunciato un esecutivo di transizione, al fine di preparare le condizioni per il ritorno all’ordine costituzionale normale, entro un anno.
Dunque golpe dei militari contro l’incontrastato potere di Compaorè, che da ieri ha imposto un coprifuoco serrato dalle 19 di sera alle 6 del mattino.
Nella serata di ieri, in un discorso alla Nazione, il Presidente del Burkina Faso ha rifiutato di dimettersi di fronte alle violente proteste, informando invece che guiderà il governo di transizione dopo lo scioglimento del Parlamento.
La folla inferocita ha saccheggiato Parlamento e uffici governativi, invaso e danneggiato gli edifici della Radio Télévision du Burkina, attaccati i seggi del partito al potere, Congrès pour la Démocratie et le Progrès (CDP), e di formazioni politiche alleate, come la Fédération associative pour la paix et le progrès avec Blaise Compaoré (Fedap-BC).
Questa sera la notizia delle dimissioni di Compaorè e della presa del potere da parte del generale Honorè Traorè Nabèrè.
Attesa per l’annunciato discorso alla Nazione dell’ex Ministro della Difesa, il Generale Kouamè Louguè, destituito nel 2003, il cui nome circola fortemente nelle strade, in questi giorni di robusta protesta, come possibile nuovo Presidente.

LiberArt Online 31 ottobre 2014 “Burkina Faso. Blaise Compaorè costretto alle dimissioni” – di Federica Iezzi

 

 

 

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Abdel Basset Sayda: assicurare aiuti continui a combattenti kurdi

Nena News Agency – 30 ottobre 2014

 

INTERVISTA. Nato ad Amuda, nel governatorato di al-Hasakah, nel 1956, Abdulbaset Sieda (in curdo Abdel Basset Sayda), leader curdo siriano è stato in esilio in Svezia. Poi è tornato a combattere per l’autodeterminazione curda. Oggi a devastare la sua terra è lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) 

 

Abdulbaset Sieda (cente) - Last leader of the Syrian National Council

Abdulbaset Sieda (cente) – Last leader of the Syrian National Council

di Federica Iezzi

 

Quali sono gli ultimi aggiornamenti da Kobane?

L’attuale situazione a Kobane è molto grave. L’ISIS ormai da più di un mese assale barbaramente interi quartieri della città, per ottenerne il completo controllo. Allo stesso tempo, sopravvive l’insistenza da parte dei combattenti dell’Unità di Protezione Popolare, di opporsi fino all’ultimo respiro. I raid aerei della coalizione internazionale, condotti nei giorni scorsi, sono risultati in incursioni di successo su strategici siti Daash (in arabo lo Stato Islamico, ndt). Questo ha contribuito notevolmente ad impedire l’avanzata su Kobane dei combattenti jihadisti. E in molti luoghi addirittura si è assistito ad una loro ritirata. Kobane è attualmente il simbolo dei curdi siriani. La caduta della città potrebbe avere come conseguenza diretta, il convincimento popolare della mancanza di serietà della campagna internazionale contro il terrorismo. I combattenti curdi dell’YPG, che stanno difendendo la città ormai da settimane, hanno mostrato una resistenza eroica e stabile. Continua intanto il desiderio di molti giovani curdi di unirsi alle fila dell’Unità di Protezione Popolare.

 

Molti combattenti si sono uniti alla YPG, dopo l’inizio dell’offensiva su Kobane. Cosa si aspetta il popolo curdo dalla coalizione internazionale?

Confidiamo anche negli attacchi aerei della coalizione internazional, per ottenere il ripiegamento dell’ISIS da Kobane. C’è ancora forte necessità di armamenti, munizioni, materiale logistico e forniture mediche. Tutto ciò dovrebbe essere assicurato ai combattenti curdi continuativamente.

 

Cosa potrebbe realmente creare l’ISIS in Medio Oriente?

Lo Stato Islamico rappresenta un terrorista legittimo e brutale. Contraddice assolutamente il progetto di democrazia nazionale, per il quale più di tre anni fa scoppiò la guerra civile in Siria. L’ISIS non minaccia solo la Siria, ma l’intera regione mediorientale. In breve tempo, a subire il potere dell’ISIS, potrebbero essere Iraq, Libano e Turchia, a causa dei turbinosi rapporti con la politica interna, delle numerose e diverse etnie di cui è composta la popolazione. L’ISIS misura il suo vigore con la destabilizzazione di sicurezza e stabilità in un Paese. In questo caso di tutto il Medio Oriente. Uno degli effetti visibili al mondo è l’ondata di rifugiati verso l’Occidente. Legato a questo fenomeno, oggi iniziano a prendere forma e vita una serie di piccole operazioni di estremismo religioso, destinate a crescere, portate avanti proprio dai membri di quelle comunità strappate violentemente alla loro terra.

 

Parliamo della situazione di tutta la popolazione siriana, i più giovani, i più piccoli sono le prime vittime della guerra civile. Cosa pensa della condizione dei bambini costretti a lavorare?

Il fenomeno del lavoro minorile è fuori da ogni standard civile. I bambini che entrano nel mercato del lavoro, al fine di garantire il raggiungimento delle esigenze di una famiglia, sono forzatamente costretti ad abbandonare l’istruzione. Nello stesso tempo sono esposti a violenze psicologiche e fisiche, come risultato di azioni che non sono commisurate all’età. Il futuro più prossimo è quello della comparsa di una serie di mali sociali. Il fenomeno del lavoro minorile inoltre acuisce il già alto tasso di disoccupazione. E molti dei giovani disoccupati iniziano a spendere il loro tempo nelle reti di gruppi estremisti.

 

Molte scuole siriane sono state danneggiate dagli scontri interni, altre vengono oggi usate come sistemazioni per i rifugiati interni siriani. Pensa che la mancanza di un organizzato sistema di istruzione, incoraggi il lavoro minorile?

L’istruzione in Siria non può attualmente raggiungere tutti gli studenti, a causa della distruzione di un gran numero di edifici scolastici. Gran parte degli edifici rimasti in piedi si sono trasformati in rifugi per gli sfollati, fenomeno che porta ad aggravare, già l’enorme problema. Fornire istruzione a questi bambini è importante, ma non sufficiente. L’allarme potrebbe essere arginato agevolando l’attività lavorativa dei genitori e consentendo loro di ottenere i requisiti di base per vivere e per mandare i figli a scuola.

 

Ci sono milioni di siriani che vivono come rifugiati nei Paesi limitrofi? Sono davvero sfruttati e sottopagati?

I rifugiati siriani che vivono nei paesi confinanti con la Siria, sopportano una vera tragedia a causa delle dure condizioni di asilo. A questo si aggiungono le inclinazioni negative che iniziano ad emergere da parte dei cittadini dei Paesi limitrofi, verso i rifugiati siriani. I rifugiati siriani sono costretti allo sfruttamento come conseguenza di un lavoro abusivo, non regolarizzato. E i salari sono sproporzionatamente inferiori, rispetto ai duri sforzi che stanno vivendo.

 

Pensa che un giorno i rifugiati siriani possano tornare nella loro terra e vivere una vita senza guerra?

Questa guerra deve finire, non importa come e quando. Si deve lavorare ad una soluzione politica. E qualsiasi soluzione non sarebbe corretta se non prendesse in considerazione la questione del ritorno dei profughi, consentendo loro di ripartire da zero nella loro vita quotidiana. Se le cose dovessero continuare in questo modo, il numero delle vittime crescerà esponenzialmente. E tutto questo sarebbe una rigida perdita per la Siria e per i siriani. Nena News

Nena News Agency 30 ottobre 2014 “Abdel Basset Sayda: assicurare aiuti continui a combattenti kurdi” – di Federica Iezzi

 

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SIRIA. Nei campi profughi

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Nena News Agency – 11 ottobre 2014

Dalla Turchia in Siria. Migliaia di rifugiati siriani vivono sulle terre di confine, in centri collettivi senza riscaldamento, medicine, coperte, vestiti e scarpe. Schiacciati tra i bombardamenti aerei del governo di Bashar al-Assad, i colpi di mortaio dei ribelli islamici e i kalashnikov delle brigate dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. 

 

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di Federica Iezzi

Aleppo (Siria), 11 ottobre 2014, Nena News – A nord della Siria, a pochi chilometri da quell’Aleppo strappata ai jihadisti, dopo il lungo assedio durato oltre un anno, villaggi distrutti e strade semi deserte. Qui le bombe continuano a cadere, soprattutto nelle zone liberate, ora sotto il controllo dell’Esercito Siriano Libero, vigorosa coalizione contro il regime di Bashar al-Assad. Colpi di artiglieria e incursioni aeree dipingono i cieli caldi. Le strade corrono sui perimetri dei nuovi posti di blocco militari, che in media sono a 500 metri l’uno dall’altro. Stravolgono le città in labirinti di paure. Il traffico è scarso sulle vie di collegamento.

Nomi in arabo segnano i sovraffollati campi profughi siriani, al confine con la Turchia, che ospitano migliaia di anime, costrette a lasciare le proprie case per gli estenuanti scontri. Molti campi sono nati nei territori liberati dagli uomini dell’Esercito Siriano Libero. L’assedio è rotto dall’alba. Non ci sono regole, non c’è protezione, non c’è rispetto. Fumo nero marchia l’orizzonte. Macchie di carburante, crateri di esplosioni e aloni scuri di rottami bruciati feriscono la terra.

Oltre alla Siria, con i suoi 6,5 milioni di profughi interni, sono cinque i paesi coinvolti dalle conseguenze del conflitto: Libano, Giordania, Turchia, Iraq e Egitto. E il Libano è quello che oggi ospita almeno il 30% dei rifugiati in arrivo. La meta’ di loro e’ ammassata nei campi rifugiati governativi tra leishmaniosi e morbillo. Gli altri sono distribuiti e anonimamente disseminati in migliaia di piccoli, sconosciuti campi spontanei, non tracciati sulle cartine. Ci sono bambini scalzi che corrono tra macerie e fango. Non sono soldati di Assad, non sono ribelli, non sono nelle milizie qaediste, ma combattono ogni giorno per sopravvivere tra filo spinato e melma, razioni di cibo fredde e insipide, coperte logorate da dividersi in dieci.

Vivono nelle tende che si riempiono di acqua durante le improvvise e furiose piogge. Sentono i colpi di mortaio risuonare a pochi metri, incessantemente, senza sosta, tutte le notti. Il filo spinato sembra concedere una fallace protezione. Dall’altra parte delle rete, in fila con i cartoni e i sacchi sulle spalle, moltitudini di siriani che pregano perchè ci sia la guardia giusta che li faccia entrare. Fuori dal campo, in mezzo a bombe e macerie, uomini anziani fumano torpidamente il narghilè e la vita di tutti i giorni va avanti. Desolazione e malattie. Elettricità per un’ora e mezzo al giorno. Dopo il calare del sole, le strade restano al buio, nessuna luce, da nessuna parte. Dai rubinetti non sgorga più acqua, al massimo poche gocce erigono un sottile filo freddo e sterile. Non ci sono più nemmeno le latrine.

Fuori, nelle abitazioni senza muri, gli occhi percorrono le superfici impolverate di mobili, divani e letti. La gente corre alle finestre per sentire da dove provengono gli spari. All’ingresso di ogni campo profughi siriano guardie o ribelli stringono gelosamente in mano kalashnikov, lanciagranate, caricatori, munizioni e grappoli di bombe a mano. Appena un paio di chilometri più avanti da Aleppo comincia la terra di nessuno. Sventola la bandiera nera del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Un vessillo di morte. E’ lo Stato Islamico che comanda ora. Appare come una guarnigione misera e trascurata, sopra nuvole color rame cariche di pioggia. Nena News

Nena News Agency – 11 ottobre 2014 “SIRIA. Nei campi profughi” – di Federica Iezzi

“Nei campi profughi siriani” – Reportage e immagini di Federica Iezzi

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SIRIA. Cos’è l’ISIS per la gente comune

Nena News Agency – 29 settembre 2014

Nelle strade delle province siriane di al-Raqqa e Deir Ezzor, territori di dominio indiscusso dell’ISIS, parla la gente. Ha paura di uscire, paura di pregare. Paura di non essere parte del gruppo jihadista 

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di Federica Iezzi

Aleppo, 29 settembre 2014, Nena News – Pick-up in fila indiana come convogli, uomini con sciarpe nere aggrovigliate attorno ai magri volti. Kalashnikov in bella vista, puntati verso l’alto. Dietro di loro la bandiera nera dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria vola spietatamente insieme al vento. Ormai si contano tra i 20.000 e i 31.500 combattenti nel gruppo jihadista guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, lontana costola dell’al-Qaeda di Osama Bin Laden.

Gli estremisti sunniti dell’ISIS hanno il dominio di circa un quarto del territorio iracheno. E controllano approssimativamente un terzo della Siria. La roccaforte siriana dell’ISIS è al-Raqqa. Deir Ezzor è soffocata completamente, fatta eccezione per la base aerea militare. I militanti jihadisti regnano su alcuni quartieri nelle città di al-Joura, al-Ummal e al-Hamidiya, su vaste aree nel governatorato di al-Hasakah, tra cui Ash-Shdadi e al-Houl Markda, su molti villaggi nel nord-est di Aleppo, vicino al confine turco, come al-Bab, Akhtarien, al-Mashoudiya, al-Aziziya, Doybaq, al-Ghouz, Turkman Bareh e al-Rahie.

A Mosul, nell’Iraq del nord, la gente nelle strade sa che la maggior parte dei membri dell’ISIS è irachena. L’organizzazione terroristica ha trovato inizialmente terreno fertile nella comunità sunnita locale, scontenta per l’operato del governo a trazione sciita di Nouri al Maliki, ma è stata subito frenata dal nuovo esecutivo di Haider Al-Abadi.  L’ISIS, invece, ha trovato rifugio sicuro in Siria, strozzata da più di tre anni di guerra civile e dalla politica fortemente instabile di Bashar al-Assad.

L’ISIS non è islam. E’ questo che in terra siriana la gente urla. L’ISIS come conseguenza della guerra in Iraq del 2003 e del governo siriano di al-Assad; l’ISIS come gruppo di crudeli terroristi, ma meglio rispetto all’ateismo; l’ISIS come nemico dei musulmani; l’ISIS come kalashnikov, fucili d’assalto, mitragliatrici, obici e mortai, cannoni antiaerei e razzi anticarro, veicoli blindati, carri armati e centinaia di Humvee. Ma il pensiero comune, in terra siriana, è che la forza dei militanti islamici risiede nell’intensa lealtà all’interno dell’organizzazione.

In Siria il gruppo jihadista si scontra con più di 100.000 miliziani del fronte Jabhat al-Nusra, del Fronte Islamico e degli altri movimenti islamici. A opporsi, i ribelli dell’Esercito Siriano Libero e i 50.000 combattenti dell’YPG, Unità di Protezione Popolare curda. In Iraq sono i peshmerga ad affrontare sul campo i jihadisti.

Il muezzin annuncia la preghiera del venerdì, ma le moschee non sono piene. La gente ha paura di camminare per strada, così si accontenta di pregare tra le mura di casa, dove solo Allah può arrivare. Alla domanda “chi sono i combattenti dell’ISIS” risponde con sure del Corano o con brani tratti dai discorsi del profeta Muhammad “leggono il Corano ma non lo capiscono”.

Le donne hanno paura di non coprirsi abbastanza per la shari’a professata dall’ISIS. “Essere bambine è pericoloso” è questo l’assillo della gente, è questa l’inquietudine di ogni madre. I comandanti portano via le giovani vergini per darle come premio ai combattenti più valorosi. E tra le giovani, ci sono bambine che fino al giorno prima giocavano con le bambole nel cortile di casa. In sottofondo il pianto inconsolabile dei bambini, che si accompagna al pianto degli adulti. Fa male. Ogni donna ha perso qualsiasi briciolo di libertà. Le donne possono uscire se accompagnate da un muhram, dal padre, dal fratello, dal marito o da un parente uomo. C’è un coprifuoco. Si rientra a casa alle 7 di sera. Il buio, l’assenza di elettricità, la mancanza di protezione da parte dell’esercito governativo rende potenzialmente fatale ogni spostamento.

“Essere curdi, cristiani o sciiti è pericoloso. Non essere ISIS è pericoloso”. Mentre i siriani nelle province di Idlib e Homs manifestano contro gli Stati Uniti, i curdi siriani appoggiano la decisione di bombardare i territori controllati dai miliziani jihadisti. Quelle zone sono deserte, dicono. Le case sono depredate. Gli abitanti scappano quando sentono colpi di mortaio a poca distanza o quando l’YPG li avverte dell’arrivo delle truppe dell’ISIS. Gli abitanti che rimangono o sono fedeli al gruppo terrorista o sono civili sotto assedio.

E mentre continuano i bombardamenti delle forze americane sulle aree intorno ad al-Raqqa, Deir Ezzor, al-Hasakah, sul nord-est di Aleppo e sulle zone del confine iracheno, la morte di civili dipinge le giornate. Nena News

Nena News Agency – 29 settembre 2014 – “SIRIA. Cos’è l’ISIS per la gente comune” di Federica Iezzi

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